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Al cuore della misericordia – Lectio Divina su Lc 6,39-45

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Il brano del Vangelo: Lc 6,39-45

9Disse loro anche una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? 40Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. 
41Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?42Come puoi dire al tuo fratello: «Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio», mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.

43Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono.44Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo.45L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.

La perfezione della misericordia

 

Il vangelo odierno è la terza parte che conclude “il discorso della pianura” (Lc 6,17-49). Il comandamento del versetto 36, centro di tutto il vangelo di Luca, “Diventate misericordiosi, così come anche il Padre vostro è misericordioso”, viene ora proposto alla comunità con una serie di similitudini.
Esse hanno lo scopo di condurre i cristiani da una ricerca di perfezione mediante l’osservanza della legge al riconoscimento della grazia di Dio che ama ogni uomo. La conversione a cui siamo chiamati tutti è la testimonianza dell’amore di un Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me.
“Non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20).
Chi ritiene che c’è una perfezione superiore al perdono e alla misericordia è un cieco, non è un illuminato. Al di fuori di questa via c’è la perdizione della propria identità che è essere figlio di Dio e c’è la perdizione dell’identità di Dio che è amore senza condizioni.

La cecità di un giudizio senza amore

La parabola sul cieco che guida un altro cieco (v.39) sembrerebbe fare riferimento ai farisei che pensavano attraverso la stretta osservanza della legge di giungere alla perfezione, ma per Luca essa può essere rivolta al cristiano che giudica e condanna, a chi ha la pretesa di guidare altri giudicando.
Come la luce è all’origine della prima creazione, la nuova creazione inaugurata da Cristo ha il suo cardine nella misericordia. I ciechi sono allora coloro che ritengono di poter fare a meno della misericordia di Dio e non si comportano secondo la legge dell’amore.

Il detto sul discepolo (v.40) riprende la parabola precedente invitando a seguire l’esempio di Cristo, il vero Maestro, usando la misura della misericordia con tutti.

La pagliuzza e la trave

Quindi il brano prosegue con la celebre sentenza sulla pagliuzza e la trave (vv. 41-42a): il falso maestro ripete gli insegnamenti di Gesù ma applicandoli agli altri e non a se stesso.

Se io giudico l’errore dell’altro ho la trave nell’occhio, cioè sono morto, sono il contrario di Dio, mi oppongo a Dio che non giudica, a Dio che perdona; inoltre se guardo il male dell’altro, giudico e condanno con lui anche me, perché “con la misura con la quale misurate sarà rimisurato a voi” (v. 38b).
Alla critica va sostituita l’autocritica, perché tutti siamo bisognosi di misericordia, altrimenti siamo ipocriti.

Le radici dell’azione

Il nostro atteggiamento è specchio delle nostre radici. La metafora dell’albero, così ricorrente in tutta la Sacra Scrittura, richiama alla possibilità di riconoscere dal frutto la qualità dell’albero.
Dalle nostre azioni è possibile riconoscere ciò che c’è nel nostro cuore.
Il riferimento all’impossibilità che dalle spine nascano fichi e dai rovi l’uva esprime non solo che un albero può produrre frutti necessariamente secondo la propria natura, ma che i frutti nobili, i fichi e l’uva, sono doni dello Spirito che non nascono dalla nostra giustizia, ma dalla grazia di Dio e dall’albero della sua misericordia, la croce di Cristo.

Il principio del bene è nel cuore dell’uomo. Nel linguaggio biblico, il cuore ha un significato molto esteso perché designa tutta la persona nell’unità della sua coscienza, della sua intelligenza, della sua libertà: è l’organo che meglio rappresenta la vita umana nella sua totalità.
Il cuore è il “luogo” della presenza di Dio e se Dio abita il mio cuore avrò occhio e parola buona e darò frutti di misericordia.

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