di Augusto Cavadi
Anch’io ho ricevuto, come chi sa quante centinaia di navigatori in rete, l’invito a “Un’ora di guardia”. In un primo momento sono rimasto perplesso: in difesa di cosa, e a fronte di quale minaccia, mi si chiede di dedicare un’ora? E come potrei esercitare questa vigilanza armata? E’ bastato scorrere un po’ il messaggio per ricevere l’illuminazione: mi si chiedeva di dedicare un’ora di “guardia” – usando “l’arma” della preghiera alla Madonna e a tutti i santi – per chiedere alle forze celesti di evitare l’approvazione della legge Cirinnà che sarà presentata in Senato il 26 gennaio.
A questo punto mi è venuta la curiosità di andare a capire di cosa tratti questa legge che, secondo l’appello ricevuto, riguarderebbe non una mera questione politica, ma addirittura “la lotta eterna fra il Bene e il Male”. Scopro così che, a parere di esperti come Stefano Rodotà, è un timido e incompleto tentativo (imposto dall’Unione europea) di adeguare la legislazione italiana agli standard del mondo civile in fatto di convivenze, in generale, e tra persone dello stesso sesso in particolare. Ciò che viene maggiormente criticata è la cosiddetta stepchild adoption, ossia l’adozione del bambino che vive in una coppia dello stesso sesso, ma che è figlio biologico di uno solo dei due.
Si capisce bene perché, come ogni proposta di legge, anche questa ovviamente possa essere valutata da angolazioni opposte con argomenti etici, giuridici e di buon senso. Si capisce molto meno – da parte di cittadini laici e anche di numerosi cattolici democratici – perché questa discussione debba essere appesantita da riferimenti teologici e trasformata in guerra di religione. Solo un’ignoranza notevole può infatti supporre, e lasciar intendere, che dai tempi di Gesù a oggi il cristianesimo abbia conosciuto un unico modello di matrimonio e di famiglia: basti pensare che, per i primi mille anni della storia cristiana, i fedeli vivevano il matrimonio non come “sacramento” istituito dal Cristo ma secondo i riti e le norme del gruppo etnico di appartenenza (ebraico, greco, romano, barbaro e così via). E’ solo con la Scolastica dei primi secoli del secondo millennio che le chiese romano-cattolica e greco-ortodossa teorizzano il vincolo matrimoniale, pur con differenze fra esse stesse (gli ortodossi ammettono un secondo matrimonio dopo l’eventuale fallimento del primo), nei termini attuali (per altro radicalmente contestati, poco dopo, dalla riforma protestante e dallo scisma anglicano).
L’insistenza con cui alcune frange retrograde del mondo cattolico ritornano sulla paradigmaticità della “sacra famiglia” ha, poi, qualcosa di umoristicamente paradossale. Anni fa lo fece notare, nel corso di un’omelia, il noto teologo italiano Giampeiro Bof: “Secondo la dogmatica ecclesiale Giuseppe non era un vero padre, Maria non era una vera moglie e Gesù non era un figlio naturale. Infatti Giuseppe era un padre solo ‘putativo’, cioè supposto tale; Maria era una moglie ‘ufficiale’ che, però, non conviveva col marito more uxorio; Gesù stesso è stato concepito con modalità differenti dal rapporto sessuale ‘ordinario’ ”: modalità che, in linguaggio medico, si direbbero ‘eterologhe’ ”. Con tali riferimenti esemplari – che superano le fantasie più ardite – ci si aspetterebbe che i cattolici, se proprio volessero scomodare l’immaginario teologico, fossero i più predisposti a comprendere che l’amore, come la vita, ha mille volti. E tutti, come le molteplici sfaccettature dell’unico poliedro, rifrangono qualcosa del mistero ineffabile della Sorgente divina.
Articolo tratto da www.nientedipersonale.it
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