Il canto XXVII
I tre – Dante, Virgilio e Stazio, che negli ultimi canti si è unito – sono quasi giunti alla vetta del Purgatorio. In cima al monte è il giardino dell’Eden, il Paradiso terrestre, che segna l’approdo alla felicità di questo mondo. Ma una cortina di fuoco lo circonda ed essi devono attraversarla. È l’ultima purificazione. È un fuoco che non causa dolore, anche se Dante lo teme. Oltre il fuoco, inizia la scala che porta al giardino. L’angelo guardiano sta per accoglierli, e Virgilio, proprio al levar del giorno, consegna al discepolo le sue ultime parole, il suo testamento spirituale. Le parole di Virgilio sono un esempio luminoso di quel che significa essere maestri consapevoli del proprio compito.
Il testo: vv. 109-142
E già per li splendori antelucani,
che tanto a’ pellegrin surgon più grati,
quanto, tornando, albergan men lontani,le tenebre fuggian da tutti lati,
e ‘l sonno mio con esse; ond’ io leva’mi,
veggendo i gran maestri già levati.«Quel dolce pome che per tanti rami
cercando va la cura de’ mortali,
oggi porrà in pace le tue fami».Virgilio inverso me queste cotali
parole usò; e mai non furo strenne
che fosser di piacere a queste iguali.Tanto voler sopra voler mi venne
de l’esser sù, ch’ad ogne passo poi
al volo mi sentia crescer le penne.Come la scala tutta sotto noi
fu corsa e fummo in su ‘l grado superno,
in me ficcò Virgilio li occhi suoi,e disse: «Il temporal foco e l’etterno
veduto hai, figlio; e se’ venuto in parte
dov’ io per me più oltre non discerno.Tratto t’ho qui con ingegno e con arte;
lo tuo piacere omai prendi per duce;
fuor se’ de l’erte vie, fuor se’ de l’arte.Vedi lo sol che ‘n fronte ti riluce;
vedi l’erbette, i fiori e li arbuscelli
che qui la terra sol da sé produce.Mentre che vegnan lieti li occhi belli
che, lagrimando, a te venir mi fenno,
seder ti puoi e puoi andar tra elli.Non aspettar mio dir più né mio cenno;
libero, dritto e sano è tuo arbitrio,
e fallo fora non fare a suo senno:per ch’io te sovra te corono e mitrio».
“Ti ho guidato fin qui”
“Quel dolce frutto (dolce pome) che il desiderare degli uomini cerca attraverso tanti rami, oggi soddisferà la tua fame”. Mi rivolse queste parole Virgilio, e mai vi furono regali tanto graditi come questi. Mi venne una tal voglia di trovarmi in cima, che ad ogni passo mi sentivo quasi crescere le ali. Percorsa tutta la scala e arrivati in vetta, Virgilio mi guardò fisso negli occhi e disse: “Hai visto le pene temporanee e le pene eterne, figlio mio, e sei arrivato là dove io non sono più in grado di guidarti.
Ti ho condotto fin qui con senno ed accortezza. Ormai a guidarti sia il tuo discernimento; sei fuori dalle vie ripide e strette. Vedi il sole che splende di fronte a te; vedi le erbette, i fiori e gli alberelli che qui la terra produce spontaneamente. Fino a quando verranno i begli occhi felici che in lacrime mi spinsero da te, puoi sederti e stare qui.
Non aspettarti più alcuna mia parola o cenno. La tua volontà è libera, retta e sana, e sarebbe un errore non esercitarla pienamente: per questo io ti costituisco maestro e signore di te stesso”.
Non un’allegoria ma un uomo
Era giusto onorare il testo nella sua letteralità. E scrutarlo in tutta la sua struggente solennità. Virgilio è stato con noi per sessantuno canti, e ancora starà, muto compagno di viaggio, per altri due. Qui pronuncia la sintesi del suo magistero, che Alighieri ha voluto fissare a sigillo della sua irripetibile esperienza umana e spirituale.
Virgilio non è solo un’allegoria, un simbolo. Non è “la Ragione”. Virgilio è un uomo, storicamente e culturalmente determinato, e Dante lo ha voluto quale suo maestro per consegnare all’umanità un messaggio dal significato che va oltre le coordinate medievali della sintesi tra pagano e cristiano. Molto oltre.
Il maestro che si fa da parte
È il significato dell’essere maestri. Che ad un certo punto si fanno da parte perché i propri discepoli hanno interiorizzato il loro insegnamento, hanno costruito nel tempo la capacità di aderire a se stessi, di volere quel che desiderano: “lo tuo piacere omai prendi per duce”.
Ormai a guidarti sia il tuo discernimento, e sarebbe un errore se non lo facessi. Il maestro ha educato il suo discepolo ad interrogare la propria coscienza, ed il discepolo adesso può starsene seduto sui prati del paradiso terrestre e godersi la gioia che proviene dall’avere conquistato la libertà dai propri pesi esistenziali, in attesa che gli occhi amati, quelli che hanno pianto per lui, gli si ripresentino per condurlo dove il saggio maestro non può più condurlo.
Maestro di umanità
Dante avrebbe potuto scegliere un santo come maestro. Tredici secoli di cristianesimo glielo avrebbero permesso. Ha scelto quel che oggi si direbbe – forzando un po’ – un agnostico. Che non ha conosciuto Dio. E ha dimostrato che anche senza conoscere Dio si può essere maestri di umanità, quell’umanità senza la quale la fede è solo contraffazione esistenziale.
Dante ha amato il maestro partorito dalla sua immaginazione poetica, e da lui si è sentito profondamente amato come figlio, generato alla fede e alla visione di Dio attraverso un cammino faticoso, fatto di conoscenza, esperienza, scoraggiamenti, cadute, risalite.
Il maestro lo ha condotto per mano, lo ha rassicurato e quando serviva rimproverato, ha tenuto saldo il timone che doveva portare l’allievo – spesso chiamato “figlio” – al compimento dei suoi desideri, per quanto non fossero gli stessi desideri del maestro.
La nostalgia che si fa magistero
Virgilio è stato dipinto, fin dall’inizio del poema, come colui che ha nostalgia di Dio. Non lo conosce perché è un pagano, come un agnostico del nostro tempo non conosce Dio pur senza negarne l’esistenza, e magari ammira e ama chi desidera conoscerlo, ed è pure capace di guidarlo nel tentativo di creare le condizioni per la fede.
Sconfinamenti paradossali tra religioso e non religioso. Sarà Beatrice, maestra della fede, a condurre Dante davanti all’Eterno. Ma l’Alighieri scrittore che ha messo mano al capolavoro non ha mai dimenticato quel tenero maestro che non lo ha abbandonato neppure per un minuto prima di consegnarlo alla donna paradossalmente e non istituzionalmente amata per tutta la vita.
Virgilio, il pagano, epicureo e agnostico Virgilio, invenzione allegorica e poetica del cristianissimo Dante Alighieri, è un icona per ogni cammino religioso che voglia ancorarsi all’autenticità dell’umano. E per questo, fieramente, può congedarsi dal discepolo dicendogli: ti incorono e ti benedico.
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