INTERVISTA A DON COSIMO SCORDATO
RETTORE DELLA CHIESA DI SAN FRANCESCO SAVERIO
17.9.2012
La Chiesa di San Francesco Saverio pulsa di grande vitalità. Arrivo una mattina di un giorno feriale: la Chiesa è spalancata, un viavai di persone che mettono in rdine, entrano, escono; la canonica, la cui porta di ingresso dà sulla via adiacente la piazza, è aperta. Mi accompagnano da don Cosimo, nella sua stanza, piena di libri, sopra la Chiesa. Don Cosimo conferma la stessa apertura e accoglienza della Chiesa di San Saverio e, durante l’intervista, mi indica almeno una decina di nomi di parrocchie, rettorie, collaboratori e coordinatori di iniziative sociali e culturali con altrettanti numeri telefonici (se volete mantenerli segreti, non dateli a don Cosimo!) per contattarli e per potere avere migliori informazioni. Non troverete i nomi in questa intervista, ma nel tempo contatteremo tutti!
Quanto è grande la rettoria?
La rettoria di San Saverio ha le sue peculiarità. Per un verso ha un suo territorio che possiamo delimitare all’interno del quartiere Albergheria, con tutto quello che si sviluppa intorno ad esso, per altro verso non ha un territorio, perché è un punto di incontro di tante persone che dalla città credono di poter trovare qui un momento di confronto, di aggregazione e anche di particolare appartenenza religiosa. La rettoria la possiamo individuare dal punto di vista religioso, dal punto di vista culturale e dal punto di vista sociale.
Dal punto di vista religioso-ecclesiale, è una comunità di persone che si incontrano abitualmente e che, soprattutto, ritrovano nella celebrazione domenicale della messa la loro particolare espressione religiosa. Per noi è importante la celebrazione domenicale perché cerchiamo di sviluppare la vita della comunità intorno al Vangelo della domenica, ci alimentiamo soprattutto della Parola di Gesù Cristo ed è con questa che vogliamo confrontare la nostra continua ricerca della contemporaneità, assumendo i problemi del nostro tempo, ma sempre con riferimento alla Parola profetica del Vangelo. Quindi, se volessimo identificare la comunità di san Saverio, essa coincide con la comunità di coloro che partecipano alla messa domenicale.
Dalla messa domenicale promanano altri momenti, i momenti di celebrazione infrasettimanale, la celebrazione dei matrimoni e, soprattutto per la gente del quartiere, il momento dei funerali. La gente del quartiere ci tiene a celebrare a San Saverio il funerale, perché si sente a casa propria e quindi coltivo questo momento per aprirlo alla speranza della resurrezione. Spesso tende a prevalere la concezione quasi esclusivamente luttuosa della morte, questo è vero, ma dobbiamo tentare di aprire alla speranza della resurrezione, quindi io volentieri cerco di celebrare i funerali.
Risulta prevalente il radicamento territoriale o la presenza di persone che vengono da zone territoriali diverse?
Le persone del quartiere vivono il rapporto con san Saverio a modo loro, soprattutto nelle feste popolari come per l’Addolorata e per san Michele, nei matrimoni, nei funerali e per certi aspetti anche alla messa domenicale. La messa domenicale comprende anche le persone del quartiere, ma non sono la maggior parte. La nostra è una comunità mista che integra persone del quartiere, persone da altre parti della città, c’è un gruppo di famiglie che ha preso l’abitudine di venire, che è cresciuto nel corso degli anni e che si trova molto a proprio agio nella messa domenicale, ci sono gli studenti universitari dai pensionati e dalla zone circostanti
Svolgete attività di preparazione per i sacramenti? I catechisti per la preparazione alla prima comunione e alla cresima vengono preparati, a loro volta? Come? Da chi?
Negli anni precedenti le coppie che ho sposato, che hanno frequentato qui e che nel frattempo, hanno avuto bambini, mi hanno chiesto di preparare i bambini per la prima comunione. Abbiamo avviato questa esperienza per alcuni anni. Questa esperienza ha avuto una grande adesione, perché veniva incontro al bisogno delle persone: proponevano un anno di preparazione con la partecipazione alla messa domenicale delle famiglie. Questa esperienza è andata talmente bene che il numero è cresciuto e poi mi sono fermato, perché l’ultima volta, che risale a 10 anni fa circa, c’erano più di 100 persone e non potevo più continuare. La notizia si è diffusa, mettendo in crisi la proposta fatta dalle parrocchie. Questo mi dispiace, non voleva essere una concorrenza. Per me va bene venire la domenica prima della messa e vivere la domenica anche come formazione per la prima comunione. A me interessa sia un prima che un dopo la prima comunione. Se le famiglie sono già integrate, la gente continua a partecipare con i loro figli.
Comunque l’iniziativa è stata interrotta, non volevo che ci fossero fraintendimenti, perché improvvisamente si presentavano famiglie che non avevano esperienze pregresse qui. Negli ultimi due anni un gruppo di famiglie che ha continuato a frequentare, ha chiesto di poter preparare i bambini e io ho detto potevano preparare loro. Si sono svolti due anni di preparazione che hanno curato gli stessi genitori, che conosco bene perché sono cresciuti qui. Di tanto in tanto io li visitavo. Qual è la formula: si riuniscono prima della messa con i figli, leggono il vangelo e lo commentano tra loro, poi lo leggiamo insieme nella messa. In alcuni casi hanno fatto momenti di incontro, quando i genitori hanno ritenuto opportuno li hanno presentati e hanno fatto la prima comunione.
Questo per me è importante, perché voglio ricordare che la formazione dei figli compete in primo luogo ai genitori. Noi presbiteri e i catechisti dobbiamo aiutare i genitori, non dobbiamo sostituirci ai genitori, se i genitori non sono formati aiutiamoli a formarli.
C’è un gruppo giovanile permanente? Che età hanno i partecipanti in media?
C’è un gruppetto di ragazzi, dopo la prima comunione, che da qualche anno viene seguito e che abbiamo sensibilizzato alle tematiche di Libera. Stiamo svolgendo un’opera di sensibilizzazione, cerchiamo di portare avanti alcune iniziative che possono interessar loro. All’interno della proposta religiosa, non essendo una parrocchia, ci concentriamo essenzialmente sulla messa domenicale.
Quale il ruolo dei laici?
Io penso che la Chiesa è il popolo cristiano, specialmente il popolo cristiano che vive in un territorio. La parola “popolo” si dice in greco “laos,”da cui viene il termine laico, quindi tutti siamo laici, nel senso letterale della parola, perché partecipiamo al popolo di Dio. All’interno di questo popolo offriamo dei ministeri.
Io come presbitero presiedo la comunità domenicale, ma la mia presidenza della celebrazione eucaristica non vuole essere sostitutiva di tutto quello che ogni genitore deve fare, in quanto responsabile della formazione di suoi figli, e quindi è importante per noi che i genitori si sentano parti in causa nella crescita dei figli.
Se c’è da aiutarli a crescere in questa responsabilità e in una formazione li aiutiamo. Tra l’altro, i bambini a casa fanno le domande ai genitori, perché non dovrebbero rispondere i genitori a domande che loro stessi hanno affrontato da bambini? Se c’è da approfondire un argomento si aiuta, si fa leggere un libro. Anche al catechismo si fa leggere quello che si vuole, i genitori da adulti hanno vissuto queste domande e, in qualche modo, le hanno superate, perché non devono riviverle con i loro figli e quindi vivere anche la genitorialità non solo fisica, non solo culturale, ma anche religiosa e spirituale. Lo so che tanti genitori non sono in grado di farlo e qualche volta non sono neanche disponibili a crescere pure loro, ma la nostra proposta prevede come condicio sine qua non che non facciamo catechesi se non con i genitori e non accettiamo bambini a messa se non accanto ai loro genitori. Quindi i genitori non mandano a messa nessuno, non mandano al catechismo nessuno, vengono con i loro figli e sono parti in causa del processo di formazione.
Quali sono i rapporti tra la parrocchia e le associazioni, i gruppi e i movimenti (Azione cattolica, Scout, etc.) – se ce ne sono – che operano al suo interno?
Ma noi siamo in comunicazione con tutto quello che avviene nel territorio. Poi siamo in contatto con alcune iniziative, anche con parrocchie fuori dal territorio. Gli altri sanno quello che facciamo e noi sappiamo quello che fanno gli altri. Con le due parrocchie di san Giuseppe e di san Nicola ci conosciamo; ognuno sa quello che fanno gli altri. Abbiano contatti con gli enti sociali, per alcune iniziativa abbiamo contatti con la chiesa di san Gabriele.
La rettoria da più di 6 anni ha un suo momento di approfondimento che abbiamo chiamato assemblea permanente. Su questo si esprimeranno coloro che la coordinano. Nell’assemblea permanente, durante l’anno ogni 15 giorni, ci confrontiamo su tematiche scottanti da punto di vista religioso e dal punto di vista socio politico. Scegliamo una volta un tema religioso e una volta uno socio politico. Su quel tema, abbastanza problematico, cerchiamo di creare uno spazio di approfondimento fino al momento in cui definiamo un documento, un testo che proponiamo all’assemblea domenicale dopo la messa. In genere, viene chiesto di esprimere un parere sul testo deliberato dall’assemblea. Abbiamo affrontato i temi più scottanti dal celibato del clero, ai dico, alla scomunica a chi produce le armi, al problema della omosessualità. Su tali tematiche ci confrontiamo e vogliamo anche poter esprimere le nostre idee con una certa libertà, che non sempre ci porta sulle posizioni ufficiali. Qualche volta ci siamo assestati su posizioni più problematiche e ci siamo assunti la nostra responsabilità ad esprimere le opinioni, disposti a confrontarci sempre e anche a riconoscere che non sempre ci troviamo a condividere le posizioni ufficiali.
L’assemblea permanente è composta da persone che partecipano alla liturgia domenicale e che vogliono approfondire la tematica del vangelo, confrontandola sugli aspetti scottanti che oggi avvertiamo. L’assemblea è aperta a tutti, il testo è poi presentato all’assemblea domenicale che viene a volte anche coinvolta ad esprimere un parere tramite un referendum. Cerchiamo di creare un’informazione il più possibile pubblica all’interno della comunità.
La rettoria ospita tante cose: la celebrazione domenicale, il corso prematrimoniale, le feste popolari, i momenti formativi aperti alla comunità sulla riconciliazione, sul vangelo, sul cristianesimo, concepiamo la rettoria come spazio aperto. Ad esempio, la rettoria promuove il doposcuola per i ragazzi di scuola media superiore del nostro quartiere e ne abbiamo una quarantina.
Nei locali della rettoria abbiamo dei volontari che si occupano di sostenere i ragazzi in vista delle interrogazioni per la promozione. È una bella attività per le scuole medie superiori, poiché i genitori non possono aiutarli, talvolta non sono in grado. Abbiamo insegnanti che li aiutano, ci sono dei coordinatori, diamo anche un aiuto economico per i libri, per l’iscrizione universitaria grazie ad un fondo cassa che alimentiamo. Cerchiamo di occuparci anche dell’inserimento lavorativo.
La rettoria ospita il gruppo degli alcolisti anonimi, ospita il gruppo Ali d’Aquila, che è parte integrante della nostra liturgia. Quest’anno hanno programmato l’approfondimento dei temi biblici relativi all’omosessualità e stanno invitando le persone che sono disposte a trattarlo. La rettoria è aperta anche per incontri condominiali, per un compleanno. Quanto prima vorremmo fare partire un servizio domiciliare per gli anziani. E, poi, abbiamo organizzato una consulenza alla famiglia per curare i rapporti tra gli sposi e i rapporti tra genitori e i figli. Questo è un servizio nuovo, domani c’è il secondo incontro con un gruppo di consulenti a cui ho chiesto di offrirci una mano di aiuto per il miglioramento della qualità della vita all’interno della coppia.
Sul piano culturale, poi, la rettoria ospita concerti, mostre d’arte, presentazione di libri, mostre fotografiche.
Sul piano sociale promanazione della rettoria è il Centro sociale che è aconfessionale, per il quale si può parlare con l’attuale presidente.
Stiamo anche lavorando a fare regolamentare il mercato, che è irregolare. Abbiamo già fatto assemblee popolari e incontri con l’assessore e poi cerchiamo di promuovere iniziative di lavoro nel quartiere.
Quali sono i tratti essenziali della esperienza di fede che vi caratterizza)? Vi riconoscete in una spiritualità particolare?
Parliamo di una fede che trova la sua forma piena nella carità e nella speranza.
Nella speranza intesa come sguardo in avanti che ti nutre, uno sguardo di grande criticità che non si accontenta mai dello status quo, ma tende a guardare avanti. Come diceva don Milani, di fronte alla politica bisogna essere sempre critici. Per carità intendo non solo l’atteggiamento interiore che ci viene donato da Dio, l’amore che ci rende partecipi della vita di Dio, ma anche l’organizzazione di questo amore che prende forma politica e quindi responsabilizzazione in senso politico e in senso di compartecipazione alla promozione del nostro territorio.
Qual è il gruppo o il cammino spirituale che ritenete più vicino a quello che perseguite?
Ci sono tante esperienze di cui cerchiamo di fare tesoro. Tutti cercano di farsi strada con una loro identità commisurata al territorio: teologia della liberazione sudamericana, l’esperienza di don Milani soprattutto l’importanza data alla scuola e al recupero scolastico, l’importanza che la formazione ha nel processo identificativo della persona, l’esperienza di Danilo Dolci delle autoanalisi popolari e le assemblee popolari.
Qual è l’iniziativa che vorreste realizzare insieme ad altri gruppi e\o parrocchie?
Vorremmo condividere tutte le iniziative che facciamo. Per esempio abbiamo chiesto alla Caritas di farsi promotrice dell’iniziativa di realizzare in ogni quartiere una mensa o in alternativa, se non si riesce in ogni quartiere, di chiedere al Comune che realizzi nel territorio cittadino delle mense e dei dormitori comunali che possano fare fronte alle emergenze cui attualmente fanno fronte Biagio Conte, i Cappuccini, la Caritas stessa. Ma non può andare avanti così. Le associazioni di volontariato fanno la loro parte, ma anche il Comune deve fare la sua. A quanto pare, si sta chiedendo l’utilizzazione di una caserma che potrebbe servire come mensa e come dormitorio.
Cosa ritenete urgente per risolvere o affrontare i problemi, se ce ne sono, della città di Palermo?
Il problema della città di Palermo è la mafia. Bisogna prevenirla sul territorio. La città si deve organizzare contro la mafia, costruendosi come luogo alternativo, come luogo di aggregazione sociale in cui promuovere progetti di sviluppo, praticare la democrazia diretta. La gente ha troppi problemi con gli amministratori.
Cosa ritenete urgente per risolvere o affrontare i problemi, se ce ne sono, della chiesa di Palermo?
Non so quali siano i problemi della Chiesa di Palermo. Credo che ci sia bisogno che le comunità rafforzino il loro legame con il territorio, ogni comunità deve chiedere quali sono i problemi del proprio territorio. Bisogna poi collaborare con le istituzioni connesse con il territorio, con le scuole, gli ospedali, gli enti di aggregazione.
Bisogna chiedersi quale collaborazione possiamo dare anche noi, unendo le forze con gli altri e tutto questo intestarlo per davvero ad un incarnazione del Vangelo, perché l’azione di Gesù cambia le cose. Gesù guarisce, libera, crea una realtà nuova; la sua parola dà forma alla realtà: l’azione non avviene dentro il tempio in un luogo ritenuto a parte, opera nella strada, senza atteggiamenti miracolistici.
La comunità deve ripartire da questo: l’atteggiamento del Vangelo, della bella notizia, che dobbiamo sapere tradurre in fatti concreti da ricondurre sempre alla celebrazione domenicale come forza che ci sostiene, ma anche come profezia sul mondo, di una vita donata e condivisa con gli altri.
O la Chiesa è la gente che vive nel territorio e da lì vive il suo cammino, la sua vita, le sue speranze e sofferenze o altrimenti è un corpo malato. Tante volte, nell’organizzazione ecclesiastica, prevale la standardizzazione. Invece ogni esperienza ha le sue peculiarità, a seconda dell’originalità di ogni presbitero e del territorio di riferimento. In ogni comunità bisognerebbe imparare ad esprimersi nella originalità, nella diversità.
A volte, invece, prevale la standardizzazione, si va tutti allo stesso modo, altrimenti è come se si alimentassero dei privilegi. Ogni comunità si dia una sua identità; sull’indispensabile abbiamo tutto in comune, la fede nel suo essenziale non deve essere messa in discussione. Ma le comunità facciano una sperimentazione originale sul proprio territorio nella ricerca di prassi e di modalità di realizzazione e poi si confrontino, mettendo a frutto a vicenda le proprie esperienze.
Non importa volere salvaguardare l’uguaglianza, a noi interessa che ogni persona, che ogni comunità, viva gioiosamente la propria risposta al Vangelo e tutti ne abbiano un beneficio, che la gente possa tornare a sorridere, dare speranza a guardare in avanti con gioia.
Intervista di Luciana De Grazia
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