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È ancora tempo di Concilio? Il Vaticano II tra eredità e impegno

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di Mariano Crociata

 

Il mio intervento si colloca a conclusione di un percorso di riflessione sul Concilio Vaticano II che ha posto all’attenzione gli argomenti principali dei suoi documenti e del suo svolgimento. Il tema che mi è stato chiesto di trattare non riguarda un argomento specifico né un aspetto particolare, ma una visione d’insieme nella prospettiva dellattualità ecclesiale. Mio compito non è, perciò, fare un rias-sunto del Concilio ma cercare di raccoglierne il senso unitario e rispondere alla domanda su che cosa esso continua a offrirci e, soprattutto, ci chiede. Per questo ho voluto dare al titolo la seguente formulazione: “È ancora tempo di Concilio? Il Vaticano II tra eredità e impegno”.

La domanda, un po’ provocatoria, da cui vorrei partire suona così: perché è importante il Vaticano II? Perché non possiamo prescinderne?

Una prima risposta è di tipo dottrinale. Il Concilio rappresenta levento ecclesiale più autorevole e più recente per noi; il nostro essere credenti e la nostra appartenenza ecclesiale non possono esprimersi se non agganciandosi a esso.

Ciò è conforme, del resto, alla lezione della storia della Chiesa. Lattività conciliare è antichissima, anzi viene fatta risalire ai tempi apostolici. Infatti la riunione degli apostoli, di cui narra il capitolo 15 del libro degli Atti, viene tradizionalmente definita “Concilio di Gerusalemme”. Le forme che questo genere di riunioni ecclesiali ha assunto nel corso del tempo hanno subito una certa evoluzione, ma rimane costante il loro carattere di risposta allesigenza di affrontare insieme i problemi e consultarsi a vicenda sulle decisioni da prendere in situazioni di particolare difficoltà o al manifestarsi di nuove esigenze nella vita della Chiesa. Non sempre la convocazione di Concili è stata tempestiva, ma quelli celebrati sono rimasti punti di riferimento duraturo. In modo particolare hanno assunto rilievo i Concili ecumenici, quelli cioè che in qualche modo vedevano radunati i rappresentanti dellintera comunità ecclesiale e affrontavano questioni inerenti la fede e la vita di tutti i credenti. Non sono meno importanti, tuttavia, anche quei raduni a carattere locale, diocesano, regionale, nazionale e oggi anche continentale, che mettono a tema le rispettive esigenze di Chiesa.

 

Al di là della forma e della storia dellattività conciliare, essa è stata ricono-sciuta sempre come intimamente connessa con la natura stessa della Chiesa, sia per il suo carattere di comunità di credenti convocata in assemblea, sia per la centralità dellatto eucaristico che la definisce e la identifica, come attesta la medesima radice delle parole greche che stanno per Concilio e per celebrazione eucaristica: synodos e synaxis.

«Il Concilio, che non è né un parlamento né un consiglio damministrazione, si concepisce prima di tutto come luogo della tradizione» (1). La risposta teologica generale alla domanda sullimportanza del Vaticano II si trova, perciò, ultimamente nella dimensione sinodale della Chiesa e, quindi, nel valore dellatto conciliare di cui siamo partecipi e testimoni. In tal senso, il Concilio Vati-cano II è un segno e una chiamata di Dio.

Una seconda risposta è di carattere storico. Il Vaticano II non appartiene semplicemente al passato, anche se sono trascorsi cinquantanni. La distanza temporale, che è certo significativa, non permette di relegarlo in unepoca remota, come è il caso dei precedenti Concili. La sua efficacia storica è ancora attiva, e in maniera ben diversa da quella degli altri. Il loro insegnamento, infatti, è naturalmente parte integrante della dottrina della nostra fede e il loro accadimento contribuisce ad alimentare la fede della Chiesa nella corrente viva di quella tradizione che ci costituisce e ci collega alle origini nellavvenimento di Gesù Cristo. Ma del Vaticano II siamo ancora pienamente sotto gli effetti; la sua importanza è imponente per la Chiesa di oggi e continuerà a esserlo per quella di domani, sia per i contenuti del suo insegnamento sia per gli orientamenti elaborati e gli indirizzi adottati.

Senza dubbio si deve rilevare una differenza tra la nostra generazione e quella che ha vissuto il Concilio: quanto allOccidente (o forse più semplicemente allItalia), quella si trovava di fronte allultimo tentativo di ridire in modo aggiornato e convincente il Vangelo in un contesto che ancora conservava i tratti di una società cristiana e cominciava a vedere i segnali di un mondo, non più impregnato di cristianesimo; la nostra è ormai immersa in una cultura i cui tratti cristiani, pur senza potersi dire scomparsi, appaiono ormai residuali e comunque privi della forza sociale di imprimere una visione e un orientamento etico corrispondente alle perso-ne. «Lorizzonte comune deriva dal fatto che la questione centrale per questa gene-razione, quella del rapporto con la cultura, con il mondo e con gli altri (non-cristiani, cristiani non-cattolici ecc.), è stata una delle questioni cruciali per i padri conciliari e al centro dellinsegnamento del Vaticano II. Insomma, entrambe pon-gono la stessa questione» (2).

Per questo – ed è il terzo livello della risposta – il Vaticano II è un evento di cui viviamo nellalveo della cui esperienza ancora ci troviamo come credenti di questa fase della storia della Chiesa. Tutto ciò che essa compie e vive – e noi in essa – ha una fortissima impronta conciliare, ne continua ad attuare gli indirizzi e ne accoglie lispirazione. Tutta la tradizione cristiana, che nutre la nostra fede e la vita ecclesiale di oggi, è mediata dallevento conciliare e dai suoi complessi molteplici effetti (3).

In tal senso, il Vaticano II è leredità di cui viviamo. La parola qui, naturalmente, prende un significato più ricco di quello letterale, perché ha una valenza antropologica, come in fondo avviene anche nella vita delle persone e delle famiglie. In genere essa ci fa pensare ai beni terreni, di carattere economico, che vengono passati da una generazione allaltra; ma leredità ha innanzitutto una portata complessiva, inerente tutto lumano, dalla dimensione biologica – per cui parliamo di caratteri ereditari e di ereditarietà – alle varie dimensioni psicologica e affettiva, intellettuale e culturale, spirituale e religiosa. Un autorevole studioso del Vaticano II fa osservare che, anche in riferimento al Concilio, essere eredi non è una cosa semplice né esente da rischi. Infatti una eredità può essere dilapidata e dissipata, oppure seppellita (nel caso del Vaticano II questo avverrebbe qualora lo si pietrificasse relegandolo nei libri come in un museo, lontano dai cuori e dalla vita); uneredità, an-cora, può essere rifiutata o anche – per disputa tra gli eredi – smembrata (pensiamo agli sviluppi di certe controversie sullermeneutica conciliare). Infine essa può essere ricevuta, aumentata e fatta fruttificare (4).

Qual è leredità del Concilio? In che modo la riceviamo? Come possiamo farla nostra? Probabilmente il nostro pensiero va spontaneamente ai documenti che il Vaticano II ha prodotto, approvato, pubblicato: le quattro costituzioni, i nove decreti, le tre dichiarazioni. E in realtà testi così autorevoli sono un riferimento sicuro e imprescindibile per linsegnamento conciliare. Una delle attività principali della comunità ecclesiale ormai da decenni e non solo in ambito accademico, è studiare e approfondire quei testi, come pure diffonderli e farli conoscere sempre meglio. Purtroppo è frequente il caso di chi parla del Concilio solo per sentito dire. Certo, se lunica condizione per ricevere leredità del Concilio fosse la conoscenza dei documenti, molti rischierebbero di trovarsi esclusi da tale opportunità. Non cè dubbio che la lettura dei testi e la loro appropriata interpretazione devono essere promossi, anche da parte di quanti non hanno la possibilità di un accostamento diretto e tuttavia possono essere aiutati a farlo attraverso adeguate mediazioni e divulgazioni. Nondimeno questa necessaria assimilazione dei contenuti dei documenti non esau-risce il compito di ricezione delleredità conciliare.

Tanto meno può assicurare la ricezione del Concilio lutilizzazione soltanto dei mezzi di comunicazione. È di questi anni, in particolare, lavvio di ricerche sulla risonanza mediatica dellattività conciliare sia negli anni del suo svolgimento sia negli anni successivi; e non si può negare che giornali, radio e televisioni, e poi ancora tutti gli altri media di nuova generazione, abbiano dato un contributo enorme a far conoscere che cosa è successo al Concilio e quale sia stata la sua importanza per la vita della Chiesa. La coscienza di tale contributo non può tuttavia ingannare al punto da far pensare che basti esserne informati, sia pure diffusamente, per raccogliere uneredità così importante.

Quella del Concilio, in effetti, è uneredità con cui siamo già in relazione. Il Vaticano II non è solo un avvenimento del passato, ma fa corpo con la vita della

Chiesa oggi; non solo nel senso che un Concilio è pur sempre espressione della Chiesa e un fattore che a sua volta influisce su di essa, ma nel senso che i suoi effetti non sono ancora esauriti e noi ci troviamo entro il flusso della sua corrente. Questo significa che la Chiesa che ha accolto la chiamata a celebrare il Concilio coincide, a distanza di cinquantanni, con la Chiesa che sente la responsabilità di portarne a effetto tutto quanto esso ha avviato; è lo stesso soggetto ecclesiale, non solo in forza della sua essenza perenne, ma in ragione della contiguità temporale, spirituale e pastorale. È la stessa Chiesa che ha avuto la missione di attuare il Concilio quella che oggi vive nellaccoglienza di quel dono e nelladempimento del suo compito. È per questo che ci può essere – come difatti cè – una recezione del Concilio che attende di essere completata: una Chiesa fedele a se stessa sente il Concilio come compito attuale, al di là della distanza temporale (5).

Pertanto non ci è consentito dire che il Concilio sia ormai superato da una situazione diversa da quella di allora; il contesto modificato in realtà accresce la sua attualità, per la capacità che esso mostra – forse più di prima – di rispondere a istanze avvertite già nel corso della sua celebrazione e ora esplose o, quanto meno, divenute impellenti. Noi siamo immersi nel Concilio, sia in forza di ciò che si è ormai irreversibilmente consumato, sia in ragione di ciò che è in corso di compimento. In relazione al Concilio, la costruzione ecclesiale è in fase avanzata di realizzazione, ma siamo lontani dal completamento; il cantiere è ancora aperto e ferve di lavori in ogni sua parte.

Pensiamo a come tutto questo risulti evidente in alcuni settori peculiari della nostra vita ecclesiale.

– La liturgia: ciò che è avvenuto è straordinario, nel passaggio dalla separazione tra celebrante e popolo, tra rito e partecipazione, alla coscienza della soggettualità dellassemblea liturgica e alla comprensione dischiusa anche solo dallutilizzazione della lingua parlata; evidente, poi, che la qualità della celebrazione e della partecipazione ha dinanzi a sé ancora molta strada da percorrere per dirsi raggiunta.

– La sacra Scrittura: anche qui il passo in avanti è decisivo, con la diffusione dellascolto, della lettura e della conoscenza di essa; siamo però ancora ben lontani dal vederla accostata e posseduta con competenza e condivisione spirituale tra i fedeli.

– La coscienza di Chiesa come popolo di Dio, comunità fraterna, luogo di attiva partecipazione è cresciuta in misura considerevole, ma il senso della responsabilità dei laici, sia negli organismi di partecipazione istituiti sia in altre realtà, e soprattutto nellimpegno nel mondo, non è ancora tale da vedere coniugate armonicamente varietà di carismi, comunione ecclesiale e coerenza morale.

– La collegialità episcopale, che è stata uno dei frutti principali del Concilio in connessione con linsegnamento sul carattere sacramentale dellepiscopato, ha trovato collaudata realizzazione nelle varie forme di conferenze episcopali e nel riconoscimento della necessaria articolazione tra Chiesa universale e Chiese particolari; essa ha bisogno, però, di integrare armonicamente la comunione e lunità della Chiesa con la sua presenza territorialmente inculturata e una corrispondente soggettività locale.

– Il dialogo con le altre confessioni cristiane e con le culture e le religioni è un dato consolidato dagli sviluppi istituzionali ed esperienziali del dopo Concilio; ma il cammino verso lunità con le une e la concordia con le altre appare molto lungo.

Sono, questi, solo pochi accenni al fatto che il Vaticano II rappresenta allo stesso tempo una realizzazione acquisita e avanzata, ma anche unopera in attesa di completamento, e talora perfino di più decisa attuazione. Esso non è per noi un episodio tra altri nel divenire della storia della Chiesa, ma fattore costitutivo della nostra identità e della responsabilità ecclesiale in questo tempo; esso permane storicamente attivo e interpellante, non solo espressione ma fattore di coscienza ecclesiale che addita e spinge verso una missione ancora largamente aperta. Nel Concilio si è espressa la coscienza della Chiesa; ora, è esattamente questo ciò che ancora perdura nei suoi effetti. La coscienza della Chiesa di oggi è intrisa di Concilio, è di natura sua conciliare, al punto che voler prescindere da esso pone fuori dalla comunione.

Ciò che è avvenuto in questi cinquantanni mostra che un processo vivo è in atto in maniera inseparabile dallevento conciliare in sé storicamente concluso. Non è ormai solo questione di traduzione e attuazione del Concilio, perché molto è stato fatto e non si tratta più tanto di adempimenti formali; cè bisogno, invece, di assimilare sempre più profondamente leredità conciliare in un dialogo costante tra levento ormai storicamente definito, la coscienza attuale della Chiesa e i compiti che oggi si profilano via via sempre più chiaramente.

Se tale è leredità del Concilio, limpegno che da esso scaturisce sembra già delinearsi; ma per essere adeguatamente disegnato, esso ha bisogno di essere colto alla luce di una considerazione più approfondita di che cosa è stato il Concilio Vaticano II. Per dire che cosa è stato il Concilio bisogna chiedersi come intenderlo e interpretarlo. A un esame attento e a uno sguardo ravvicinato il Concilio si presenta con un carattere complesso. Come abbiamo già osservato, esso ha prodotto docu-menti della massima autorevolezza, anche se i testi approvati non ne esauriscono il significato. Il Concilio è, innanzitutto, un evento con una sua storia, preparato, attraversato e seguito da vicende che hanno concorso a plasmarne la configurazione e lo svolgimento, le decisioni e gli effetti, a cominciare dagli stessi documenti approvati.

Esso è stato un evento in cui le dimensioni costitutive della Chiesa sono state raccolte e poste in evidenza: infatti è stato un atto di culto, una professione di fede, un momento alto di tradizione ecclesiale, una condivisione di esperienza ma anche uno scambio delle esperienze di cui i padri erano portatori per provenienza e per storia, un confronto sui problemi e un discernimento sul momento storico, un atto di annuncio e una riproposizione dei contenuti della fede cristiana, una risposta a domande nuove e ad attese variamente formulate e percepite, unassunzione di responsabilità nei confronti della vita della Chiesa di cui si avvertiva lesigenza di riforma e a cui si è dato seguito con lassunzione di decisioni corrispondenti.

Se questo è stato il Concilio, allora sono tre gli aspetti essenziali dellimpegno che comporta la ricezione attiva della sua eredità: i contenuti, il metodo, lo stile.

Il primo di tali aspetti consiste, dunque, nellapprofondimento dei contenuti. Lapprofondimento avviene innanzitutto attraverso un contatto diretto con i testi; ma i testi, per essere capiti, hanno bisogno di essere conosciuti e compresi alla luce della storia della loro genesi e formazione, anzi – bisogna aggiungere – anche alla luce degli effetti che hanno prodotto. Questo lavoro può essere svolto sistematicamente, cioè studiando documento per documento, oppure tematicamente, cioè seguendo il filo di un tema che attraversa i vari documenti e che poi si sviluppa nel magistero successivo. Nel primo caso si tratta di prendere in considerazione un documento alla volta; nel secondo caso si tratta di scegliere un tema, per esempio quello dei laici o quello dellannuncio, per vedere come esso viene trattato nei vari documenti. Naturalmente solo pochi possono dedicarsi a uno studio accurato di questo genere; ma tutti coloro che lo vogliono possono sia accostare personalmente i testi sia ideare e utilizzare forme di adeguata divulgazione in sede di attività di catechesi e di formazione di giovani e adulti.

Vorrei, a proposito di accostamento ai testi, indicare unulteriore possibilità di ricerca tematica; e precisamente quella dettata non da una scelta ispirata da interessi o esigenze attuali, ma emergente dal di dentro stesso del Concilio e dei suoi documenti. Al riguardo, è importante tenere presente che i documenti conciliari sono stati approvati secondo un ordine temporale che non era né precostituito né teoricamente organizzato, ma in un modo che si intreccia con il complesso dibattito e le vicende che lo accompagnano. Infatti il primo documento a essere approvato è stata la costituzione sulla liturgia Sacrosanctum Concilium, e precisamente nella seconda sessione (cioè nellautunno del 1963); la Lumen gentium è invece dellautunno del 1964, mentre Dei Verbum e Gaudium et spes dellautunno 1965. È facile immaginare che un documento già approvato abbia esercitato – nel suo insieme o su questioni specifiche – il suo influsso su quelli elaborati e approvati successivamente, in una sorta di processo intertestuale (6).

Di fatto si può verificare come alcuni temi emersi nella Sacrosanctum Concilium diverranno, in qualche modo, motivi portanti dellinsegnamento conciliare anche successivo. Un esempio illuminante è quello rappresentato dal motivo della “partecipazione attiva” (actuosa participatio): proveniente dal movimento liturgico dei decenni precedenti, lespressione viene introdotta con riferimento alla celebra-zione liturgica, ma poi il tema si riscontra nella costituzione sulla Chiesa, e nei decreti sui laici, sui presbiteri, sullattività missionaria, sui vescovi, nella costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo e anche in quella sulla rivelazione, nella quale occupa un posto importante la responsabilità nel diffondere la lettura e la conoscenza della Sacra Scrittura anche presso tutti i fedeli. Nozioni conciliari correlate – in cui risuona anche una concreta esperienza di partecipazione nellassise vaticana – sono quelle di collaborazione, di scambio, di dialogo, di cooperazione, di coordinazione e di solidarietà (7).

Se pensiamo agli effetti che il tema ha conosciuto anche dopo il Concilio – basti vedere anche solo listituzione degli organismi di partecipazione o la promozione di servizi e ministeri laicali – ci accorgiamo di trovarci di fronte a una struttura portante dellinsegnamento e dellesperienza conciliare, con la conseguente indicazione di un impegno crescente a favore di forme e qualità di partecipazione alla vita della Chiesa come condizione essenziale per essere credenti nella linea conciliare e del suo corrispondente sviluppo.

Gli esempi si potrebbero moltiplicare, ma è sufficiente lindicazione di orien-tamento che si lascia così intravedere. Quel che è necessario intendere è lesigenza di crescere nella coscienza di Chiesa a partire dalla maturazione interna dal tessuto vivo dellinsegnamento conciliare, a cui si deve associare ciò che è cresciuto in seguito nella vita della Chiesa: pensiamo, sul piano universale, al Catechismo della Chiesa Cattolica e al Codice di Diritto Canonico, o, sul piano nazionale, ai catechismi e, per noi, al Progetto catechistico italiano; ma anche in altri ambiti è possibile scoprire dietro tutto ciò che è espressione della vita della Chiesa le radici conciliari, che invitano a rivisitarne levento originario per un rinnovato slancio verso una qualità sempre più alta e un futuro più fecondo di vita cristiana.

Un secondo aspetto dellimpegno ad accogliere leredità conciliare consiste nel capire e nellimparare a praticare il metodo che esso ha adottato. La sua indicazione originaria la troviamo nel magistero di Giovanni XXIII, soprattutto nellallocuzione di apertura Gaudet Mater Ecclesia (8). Che cosa ha voluto e come ha proceduto il Concilio? Esso ha cercato di comporre due esigenze o orientamenti, e cioè accogliere in maniera rinnovata la ricca tradizione biblica, patristica, liturgica e spirituale della Chiesa e, nello stesso tempo, ascoltare luomo, la sua storia, i suoi drammi e le sue gioie, per porgergli con maggiore incisività lannuncio del Vangelo. Il metodo consiste nel far interagire queste due istanze, così da riproporre lannuncio come evento significativo anche per luomo di oggi, presentare la dottri-na nella sua integrità ma in modo rispondente alle esigenze dellepoca. Ascoltare Dio e ascoltare luomo, simultaneamente, sapendo di essere, come comunità credente, con lumanità intera nellascolto di Dio e con Dio nella testimonianza della sua parola di salvezza rivolta a tutti.

Una delle indicazioni più originali su questo punto è quella dei cosiddetti “segni dei tempi” (9). Nei decenni successivi, ha riacquistato valore su scala ecclesiale lesigenza di adottare una formula classica della tradizione spirituale cristiana, quella del discernimento: unopera di discernimento del tempo è esattamente ciò che ha compiuto e insegnato il Concilio. Essa si presenta oggi, se possibile, ancora più necessario e urgente. Imparare e praticare il discernimento è la maniera appropriata per eccellenza di porsi sulla scia del Concilio e di raccoglierne leredità.

Il terzo aspetto dellimpegno ad accogliere leredità conciliare consiste nellassimilazione dello stile del Concilio. Soprattutto in riferimento a esso è necessario aprire i documenti e ascoltarne il linguaggio. Il modo di esprimersi, infatti, denota uno stile nuovo. Chi ha studiato un po di storia della Chiesa e ha avuto modo di leggere qualche testo di Concili antichi e moderni, da Nicea (325) al Vaticano I (1870), si rende subito conto che, al Vaticano II, siamo dinanzi a qualcosa di inedito; o, meglio, a qualcosa di molto antico, ma poi perduto con il tempo. Nel passato, i Concili sono stati per lo più il luogo deputato a condannare gli errori e a comminare sanzioni; una misura e uno stile necessari a motivo della diffusione ciclica di eresie e di prassi variamente difformi dalla dottrina della fede e dalla disciplina morale. Ora il Concilio Vaticano II non è stato convocato perché cerano degli errori da condannare o degli eretici da perseguire, ma per lesigenza profondamente avvertita e non più prorogabile di raggiungere lumanità di oggi con un annuncio rinnovato e reso vivo dalla capacità di farsi capire e di toccare il cuore dei destinatari.

Uno studioso paragona questo stile a quello dei Padri della Chiesa, definendolo, con formula aristotelica, “epidittico”. «Proposito dellepidittico non è tanto il chiarimento dei concetti, quanto favorire lapprezzamento per una persona o un evento o unistituzione o un modo di vita. Si propone di suscitare lammirazione per un ideale, con lo scopo di acquisire lassenso interiore e di far desiderare lappropriazione di quellideale» (10). Se analizziamo poi da vicino il vocabolario, ci troviamo di fronte a un vero e proprio programma retorico, tradotto in parole orizzontali, di eguaglianza, di reciprocità, di interiorità, di cambiamento, che sono strettamente imparentate tra di loro e impregnano il Vaticano II di ununità nuova e singolare, esprimendo un orientamento complessivo, una coerenza nei valori e una prospettiva originale. «Il Vaticano II è un evento linguistico – scrive John OMalley. Tra le altre, nel corpus del Concilio troviamo parole come fratelli e sorelle, popolo di Dio, amicizia, cooperazione, collaborazione, libertà, sviluppo, evolu-zione, carisma, dialogo, collegialità, coscienza, mistero e santità» (11).

Tale vuole e deve essere lo stile della Chiesa di oggi, così come il Concilio lo ha praticato e insegnato. Non perché ora tutto diventi consentito o non ci siano errori da rilevare e stigmatizzare, ma perché quando si osservano deviazioni e deformazioni non ci si fermi alla condanna, ma si promuova il loro superamento e il rafforzamento della positiva tensione ideale, unendo alla chiarezza di giudizio lo stile dellascolto e del dialogo, dellincoraggiamento e del fascino del Vangelo. In tal modo anche il Vaticano II persegue il compito che i Concili hanno sempre svolto nella storia della Chiesa: salvaguardare la sua unità e attualizzarne la missione. In questo senso non è esagerato considerare papa Francesco semplicemente licona di un tale stile.

Indicando questi tre aspetti dellimpegno a raccogliere leredità conciliare non abbiamo parlato solo di istituzioni lontane, ma ci siamo sentiti direttamente coinvolti. Esso non è, infatti, un impegno che riguardi solo Papa e vescovi, o anche preti; esso ci riguarda tutti. Si tratta di noi, poiché il Concilio è al cuore della Chiesa e la Chiesa – anche questa è una delle grandi acquisizioni oggi alquanto appannata – siamo noi; noi le apparteniamo ed essa ci appartiene. Dobbiamo chiederci, perciò, conclusivamente, in che modo possiamo tradurre nella nostra vita personale e soprattutto comunitaria, in quella delle parrocchie e dei gruppi, oltre che delle diocesi, lapprofondimento dei contenuti, ladozione di un metodo di discernimento dei segni dei tempi nellascolto di Dio e dellumanità di oggi, lo stile dellesortazione e dellincoraggiamento, dellapprezzamento e del dialogo nel rapporto con tutti.

Linvito che papa Francesco non si stanca di ripetere, e che ha ribadito nel primo incontro assembleare con i vescovi italiani, è a uscire dai recinti chiusi, ad andare incontro agli altri con la parola dellannuncio e i gesti della solidarietà. Senza ripetere continuamente la parola Concilio, papa Francesco non fa altro che riproporre il cuore stesso del messaggio e dellevento conciliare, prefigurando una Chiesa estroversa. Una Chiesa è tale se sa unire evangelizzazione e riforma. I primi destinatari dellannuncio siamo noi credenti, sono le nostre comunità; e daltra parte solo una Chiesa che sta in ascolto e si lascia plasmare dalla Parola e dallo Spirito di Dio annuncia secondo verità e con efficacia la salvezza. Cè una continuità diretta e unintima connessione tra conversione e riforma, poiché la riforma delle strut-ture della Chiesa richiede la riforma dei costumi, e il cambiamento dei comporta-menti e delle prassi ha il suo inizio nella conversione, dei singoli e delle comunità (12). Chiesa estroversa o decentramento sono le parole dordine che indicano latteggiamento di fondo che scaturisce da una spiritualità conciliare. Il Concilio «propone di costruire un asse orizzontale (fraterno) e uno verticale (teologico) che si incrociano in un terzo termine, la vita della Chiesa, la quale opera un duplice de-centramento, volgendosi da una parte verso Dio che si rivela e al quale rende culto e, dallaltra, verso gli uomini […]. Questi due movimenti di decentramento portano la Chiesa a ripensare se stessa nella sua struttura interna», ovvero a cercare la riforma (13).

Un autentico decentramento presuppone, però, un ricentramento su Cristo; solo la centralità di Cristo, abbracciata con piena consapevolezza e adesione, assicura di scongiurare i due pericoli estremi tra i quali la Chiesa rischia di oscillare, ovvero la comunità chiusa e settaria o la comunità indefinita e confusa. Per questo «lecclesiologia del Vaticano II non è centrata sui rapporti tra le persone allinterno della Chiesa, ma su ciò che significa essere cristiano nella condizione episcopale, presbiterale, religiosa e laicale nel mondo contemporaneo […]. Distogliendosi da questa finalità missionaria del Concilio, interamente rivolta verso il mondo con-temporaneo, si perde completamente il senso del suo insegnamento» (14). Solo il rapporto con Cristo (colui che è in persona Lumen gentium) e una corrispondente tensione missionaria, allora, presidiano adeguatamente i confini della Chiesa, tra aper-tura e accoglienza, da un lato, e radicalismo evangelico e conversione, dallaltro. Oggi ciò significa «laffermazione della differenza cristiana ovvero la costruzione dellidentità del credente in un mondo pluralista e, correlativamente, la relazione con il mondo, con la cultura e con gli altri» (15). In questo orizzonte va inserita la chiamata alla santità, che costituisce non solo loggetto del quinto capitolo della Lumen gentium, ma anche uno dei temi più pervasivi di tutti i documenti conciliari, attraverso i quali val la pena compiere una di quelle scorribande da cui far emergere il messaggio peculiare del Vaticano II.

Il Concilio, nella comunione della Cattolica, ora più che mai si attua e deve vivere nelle Chiese locali, a cominciare da una rilancio della sinodalità, cioè della partecipazione e della condivisione. Innanzitutto in unopera di discernimento del tempo, della cultura, della vita sociale, non solo in riferimento a quelli di fuori, ma al nostro stesso popolo (che poi siamo noi), il quale sembra a volte avere una co-scienza confusa o disorientata della propria situazione; leggere la sua condizione e la sua sensibilità è uno dei compiti che discendono dallesperienza conciliare; una lettura che non si accontenta di snocciolare dati sociologici, ma che interpreta nella luce della fede, cioè fa discernimento che sa cogliere lattesa di Vangelo che sta al cuore di tante persone. Solo così lannuncio del Vangelo può raggiungere i destina-tari della società di oggi, in un mondo caratterizzato dal pluralismo culturale, dalla democrazia, dalla partecipazione e dallinformazione, o ancora dalla cultura della discussione.

A questo allora porta raccogliere leredità del Concilio: ritrovare, per così di-re, lo “stato dinvenzione” che hanno sperimentato i padri cinquantanni fa (16). Esso è il punto di riferimento sicuro per il cammino verso il futuro. Cè futuro là dove è conservata la memoria; e la memoria della nostra fede e vita di Chiesa passa attra-verso la cruna dellevento conciliare. I suoi testi non solo non hanno perso il loro valore e il loro smalto, ma sono diventati «ciò che si chiamerebbe un „classico, cioè un testo che si può riprendere allo scopo di esserne di nuovo nutriti» (17). E che si tratta di qualcosa che ci appartiene intimamente, lo dicono le cinque grandi questioni che la nostra generazione condivide con quella del Concilio Vaticano II: «lincontro con Dio; lincontro con gli altri; liscrizione della singolarità cristiana in una società pluralista e la proposta della vita cristiana al mondo; la vita fraterna dei cristiani; la riforma della Chiesa» (18). Siamo fiduciosi che la ripresa delleredità conciliare che il cinquantesimo anniversario ci sollecita a compiere, è destinata a portare frutti in una nuova stagione di primavera per la Chiesa.

 

Marsala, 27 maggio 2013

da http://www.diocesimazara.eu/

 

1 G. Routhier, Il Concilio Vaticano II. Recezione ed ermeneutica, Vita e Pensiero, Milano 2007, 304.

2 G. Routhier, Un Concilio per il XXI secolo. Il Vaticano II cinquant’anni dopo, Vita e Pensiero, Milano 2012, 34. «Il valore permanente del Vaticano II […] pensare il cattolicesimo al di fuori del modello di cristianità o della nuova cristianità» (ib., 62).

3 Il Concilio «è anzitutto un’esperienza di discernimento e di rilettura della tradizione. È a partire dal Vaticano II che oggi va letta la tradizione e non il contrario» (Ib., 146).

4 Cf. G. Routhier, Un Concilio per il XXI secolo, VII-IX; anche Id., L’eredità del Vaticano II, in «Rivista del Clero Italiano» 93/9 (2012) 566-569.

5 «Al di là dei suoi testi, il Concilio, come evento, ha foggiato un nuovo immaginario catto-lico e – auguriamocelo – è stato in grado di dare forma a una nuova spiritualità […]. Il nostro imma-ginario cattolico integra, ormai, questa immagine della Chiesa cattolica in dialogo con credenti di altre religioni e con cristiani di altre confessioni […]; l’attuazione del Concilio non si è limitata a cambiamenti di strutture, ma ha influito sulle mentalità» (G. Routhier, Il Concilio Vaticano II. Recezio-ne ed ermeneutica, Vita e Pensiero, Milano 2007, 315-316).

6 Cf. J.W. OMalley, Che cosa è successo nel Vaticano II. Continuità e riforma nella Tradizione del-la Chiesa, in «Rivista del Clero Italiano» 91/3 (2010) 199.

7 Cf. G. Routhier, Il Concilio Vaticano II, 108.

8 Cf. Giovanni XXIII, Allocuzione Gaudet Mater Ecclesia, 11 ottobre 1962.

9 Cf. Gaudium et spes, n. 4.

10 Cf. J.W. OMalley, Che cosa è successo nel Vaticano II, 196.

11 «Un semplice accoppiamento dei modelli implicati da questo vocabolario con quelli di cui prende il posto o che cerca di bilanciare, esprime il significato dello stile di discorso del Concilio.

da comando a invito

da legge a ideale

da definizione a mistero

da minaccia a persuasione

da coercizione a coscienza

da monologo a dialogo

da governare a servire

da verticale a orizzontale

da esclusione a inclusione

da ostilità a amicizia

da ricerca della colpa ad apprezzamento

da rivalità ad associazione

da sospetto a fiducia

da statico a dinamico

da modificazione del comportamento ad appropriazione interiore dei valori.

I valori che queste parole esprimono sono comuni e tradizionali nel discorso cristiano ma sono nuovi per un concilio» (Ib., 198).

12 Infatti, «ancor più oggi, vivo è il presentimento che tale rinnovamento non possa avvenire senza una conversione in profondità» (G. Routhier, Il Concilio Vaticano II, 317). «Così, oggi una delle eredità del Vaticano II è tenere insieme nuova evangelizzazione e riforma della Chiesa» (G. Rou-thier, Un Concilio per il XXI secolo, 14).

13 G. Routhier, Il Concilio Vaticano II, 287. E di ermeneutica della riforma ha parlato Bene-detto XVI nel suo famoso discorso del 21 dicembre 2005, lasciando trasparire attraverso il termine riforma la ricca tradizione che il suo uso ha alle spalle nella storia della Chiesa.

14 G. Routhier, Un Concilio per il XXI secolo, 60; cf. anche 63 e 65.

15 Ib., 31-32.

16 Cf. ib., XIV.

17 Ib., 4.

18 Ib., XVII.

 

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