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“Per un’economia fondata sull’Amore”. Intervista a Edoardo Barbarossa

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Nuovi paradigmi per l’economia

A livello globale, la crisi generata dalla pandemia da Covid-19 ha certificato l’esigenza di un’urgente ripensamento dei modelli economici attualmente vigenti. All’interno di tale riflessione, per molti studiosi e operatori economico-sociali va riformulata l’idea di società alla luce del principio di prossimità. Di tale tema discutiamo con Edoardo Barbarossa.

Imprenditore sociale e presidente della Fondazione Èbbene, Barbarossa è un membro attivo della Comunità papa Giovanni XXIII e ha contribuito alla nascita del Consorzio Sol.Co. Sicilia. Ha promosso esperienze innovative d’impresa fondate sulla sostenibilità e sull’innovazione.

– Il nostro Paese attraversa una crisi figlia non solo dell’emergenza Coronavirus, ma anche di un lungo percorso di decrescita economica accompagnato da una sistemica crisi della classe dirigente. In questo contesto, regge il modello del welfare italiano?

Il welfare italiano è ovviamente condizionato negativamente dalla crisi in atto e risponde con strutture e servizi non adeguati, puntando su un concetto indifferenziato di offerta che non corrisponde ai reali bisogni della persona e comunque non li soddisfa. L’introduzione di una misura universale di contrasto alla povertà ha indubbiamente creato un effetto tampone contro la crisi sistemica della nostra economia, ma non parte da un’attenzione e cura della persona, bensì da una serie di algoritmi e da strutture di servizi pubblici largamente inefficaci.

Peraltro, questa misura universale lascia fuori proprio coloro che ne hanno più bisogno, perché vivono in strada, sono immigrati, hanno molti figli, includono persone con disabilità o altre fragilità… Aggiungo che questo modo di gestire le risorse pubbliche è insostenibile ed è allora meglio modulare la risposta in funzione della domanda e dell’effettivo bisogno.

Un modello economico che produce scarti e che ipotizza una loro gestione con politiche pubbliche di assistenza è destinato a morire, anzi, è già morto. Ecco che nasce la necessità di operare secondo una logica inclusiva, che comprenda tutti e che rispetti il pianeta. Se davvero tutte le persone avessero l’opportunità di uno spazio vitale per esprimersi, verrebbero meno i presupposti dell’esclusione e maturerebbero i presupposti dell’inclusione.

– Nell’analizzare la crisi globale, Papa Francesco, a più riprese, ha affermato che bisogna investire “sul noi inclusivo anziché sull’io divisivo e distruttivo”. In termini economico-sociali, che significato assume il pensiero di Francesco?

Parto proprio da una frase del pensiero di don Oreste Bensi, che diceva “non ci si salva da soli, ci si salva insieme”. Papa Francesco oggi ci invita a recuperare il senso di comunità ed a vivere concretamente e quotidianamente per costruire il bene comune. Si pensi a quale beneficio sociale potrebbe derivare da un percorso davvero inclusivo e che comprenda tutti. Ma per fare ciò, l’uomo deve uscire da una concezione autoreferenziale ed entrare in quella collaborativa, in cui nel bene di tutti c’è anche il mio.

L’economia oggi è drogata da un manipolo di affaristi che detengono il potere economico e per i loro interessi producono quotidianamente nuovi poveri. C’è una grande parte del mondo che soffre ed in essa soffrono coloro che vi abitano, costretti spesso ad estenuanti migrazioni in cerca di un futuro migliore…ma questa è un’utopia, è inattuabile e soprattutto è inumano.

– Il modello capitalistico è al collasso. Urgono nuovi modelli economici per la convivenza planetaria. Nel recente passato, lei ha presentato l’idea di un’economia dell’amore. Che vuol dire? Quali sono le caratteristiche di tale sistema?

Puntare su un pensiero orientato al benessere della persona e del pianeta. Cosa vuol dire? La mia risposta è che il motore della vita è l’amore e che è la mancanza d’amore che genera ogni povertà ed ogni esclusione. Si può impostare un ragionamento economico sull’amore? Assolutamente sì!

Basta partire da un punto fermo e cioè che il sistema economico attuale produce scarti di ogni genere, materiali ed umani e non ha alcuna preoccupazione rispetto all’aumento di questi scarti, lasciando alle generazioni future il problema della loro gestione. La conseguenza del disastro ecologico e sociale è evidente attraverso gli episodi eclatanti di cambiamento climatico e attraverso le imponenti migrazioni verso le porzioni più “sane” del pianeta. Ma anche nella piccola porzione di pianeta che appare sana, sono evidenti gli effetti dello scarto di persone e cose e l’incapacità di farvi fronte con politiche pubbliche improntate al sostegno assistenziale, non all’empowerment.

Si può poi disquisire su quale sia l’approccio migliore per una politica economica inclusiva, ma è del tutto evidente che occorra punire lo scarto e premiare l’inclusione. Solo così chi ha interesse allo scarto avrà convenienza a cambiare modello… purché la convenienza non diventi uno specchietto per le allodole. Infatti, già adesso le grandi multinazionali ed i grandi mecenati che detengono il potere economico si ammantano di “sostenibilità”, ipotizzando che la si trovi in scelte compensative, ovviamente marginali rispetto al profitto e ai “danni collaterali”. Questa sostenibilità è forse peggiore del business puro, perché convince con una comunicazione mirata ed autoreferenziale della bontà dell’azione prodotta.

La via indispensabile è allora una nuova economia fondata sull’Amore. Questa via nuova pretende che ad ogni persona sia data una “chance”, un’opportunità, sia concessa fiducia. L’agire secondo l’Amore (Agapào) è determinante per assumere responsabilità in campo civile, sociale, organizzativo, politico, imprenditoriale… nulla di tutto ciò può essere fatto senza amore.

Dunque l’amore conduce alla responsabilità, che si basa sulla giustizia: la giustizia che significa “diritto”, cioè la possibilità per ogni uomo di godere dei diritti essenziali, connaturati alla vita ed assolutamente uguali per tutti gli uomini. È in questa giustizia che io trovo la vera civiltà.

Ma attenti a quelle forme di giustizia umana che sono costruite per garantire le differenze sociali: quante norme e quanti comportamenti sono “giusti” per la legge, ma “ingiusti” umanamente. L’amore consente di superare questa distorsione e superare le forme delle giustizie umane, ci porta ad una concezione di giustizia universale, a quella “conversione ecologica” di cui spesso parla Papa Francesco.

– In Italia, quotidianamente migliaia di volontari cercano di lenire le difficoltà dei poveri, degli emarginati, degli esclusi. Perché è importante nel nostro territorio il servizio di gruppi come la Comunità Giovanni XXIII?

C’è una responsabilità alla costruzione del bene comune che non è delegabile, per cui ciascuno di noi deve sentirsi coinvolto in prima persona per il cambiamento del paradigma dell’economia ed è evidente che la testimonianza della volontà di cambiamento è l’unico antidoto all’insipienza e all’indifferenza. Il povero ci guida e ci istruisce a vivere secondo lo spirito evangelico ed a condividere effettivamente la nostra vita con lui. Nel povero scorgiamo il Cristo che ci chiede di restare insieme a noi.

Le nostre tavole, le nostre case, le nostre strade, i nostri luoghi di aggregazione diventano mense eucaristiche, in cui l’elemento di scambio diventa l’Amore gratuito. Ma non basta la carità condivisa, bisogna rimuovere le cause che producono la povertà ed ingenerano l’ingiustizia. Ecco che l’economia di condivisione può diventare un terreno sano e fruttuoso perché il cambiamento sia visibile. Anche esperienze apparentemente piccole e insignificanti, sono un potente segnale di cambiamento.

– Negli orientamenti pastorali Educare alla vita buona del Vangelo, i vescovi italiani ci hanno ricordato l’importanza della sfida educativa. Sfida da accogliere, percorrere e vincere a partire dalle tante marginalità del nostro tessuto comunitario. Perché è fondamentale educarsi alla cittadinanza attiva e responsabile?

Mi viene da dire “laconicamente” perché siamo cittadini ed esserlo implica diritti e doveri, responsabilità e cura della casa comune. La sfida educativa è un compito degli adulti verso le giovani generazioni, ma in una società in cui gli adulti sono diventati adolescenti, forse tocca ai giovani educare gli adulti. Lo dimostrano le grandi lotte ecologiche e lo dimostra l’accorata risposta all’invito di Papa Francesco.

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