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SCOLA, LO STATO LAICO E LA LIBERTÀ RELIGIOSA
È tradizione che i discorsi tenuti il giorno di Sant’Ambrogio dagli arcivescovi di Milano siano caratterizzati da una profonda attenzione all’attualità sociale e politica. È il caso anche del discorso tenuto ieri a Milano da Angelo Scola, nel quale il cardinale è giunto a pronunciare parole molto pesanti. Parole a mio avviso poco fondate, su un tema di straordinaria delicatezza quale quello della laicità e della aconfessionalità dello Stato. Scola è partito da molto lontano, dall’anno 313, visto che l’anno prossimo saranno 1700 anni da quell’Editto di Milano con cui Costantino e Licinio posero fine alle persecuzioni contro i cristiani. Scola non esita a celebrare tale editto come “l’atto di nascita della libertà religiosa”. È doveroso chiedersi per chi tale libertà nacque, e la risposta corretta è per i cristiani, i quali, da perseguitati sotto alcuni imperatori romani (in particolare Decio, Valeriano e Diocleziano) iniziarono a godere libertà di culto e poterono professare pubblicamente la loro religione ….
Ma alla loro libertà non seguì la libertà di altri. Io penso quindi che non sia corretto da parte di Scola elogiare così tanto l’Editto di Milano senza neppure ricordare l’Editto di Tessalonica dell’imperatore Teodosio del 380 con cui si toglieva la libertà di religione ai pagani, cui seguirono tra il 391 e il 392 i Decreti teodosiani che mettevano al bando ogni forma di sacrificio pagano, anche in forma privata, compresi i culti dei lari e dei penati che da secoli gli abitanti della penisola italica praticavano nelle loro case. È vero che Scola scrive che l’Editto di Milano fu un “inizio mancato”, ma non si può sorvolare in questo modo così leggero su secoli e secoli di sanguinosa intolleranza cattolica, generata da tale editto e dal matrimonio con il potere imperiale che esso comportava. La cosa era del tutto chiara già a Dante Alighieri: “Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, non la tua conversion, ma quella dote che da te prese il primo ricco patre!” (Inferno XIX, 115-117), laddove tra i mali procurati dall’alleanza con il potere politico oltre alla corruzione della Chiesa vi sono le sanguinose persecuzioni contro ogni forma diversa di religione, in particolare contro i catari, i valdesi, gli ebrei. La storia insegna che si dà libertà religiosa solo nella misura in cui lo Stato non si lega a nessuna religione particolare, solo se si pone di fronte ai suoi cittadini con l’intenzione di rispettare tutti, minoranze comprese, solo se pratica quella forma di neutralità così esplicitamente criticata dal cardinal Scola nel suo discorso di ieri. Per Scola infatti occorre “ripensare il tema della aconfessionalità dello Stato”, facendo in modo che lo Stato passi da una visione pluralista a una visione culturalmente in grado di sostenere le “dimensioni costitutive dell’esperienza religiosa: la nascita, il matrimonio, la generazione, l’educazione, la morte”: insomma i cosiddetti valori non negoziabili tanto cari a Benedetto XVI, cioè vita, scuola, famiglia, da intendersi alla maniera del Magistero cattolico attuale (che non è detto coincida con il vero senso del cristianesimo). Prova ne sia proprio il tema della libertà religiosa, la quale, se è giunta a essere un patrimonio della dottrina sociale della Chiesa, è solo grazie alla lotta in favore dei diritti umani da parte della laicità illuminista. La libertà religiosa è stato il dono della laicità al cristianesimo. Senza lo Stato laico, senza la sua volontà di rispettare le minoranze come quelle dei valdesi e degli ebrei dando loro gli stessi diritti della maggioranza cattolica, la Chiesa non sarebbe mai giunta al documento Dignitatis humana e del Vaticano II che apre finalmente la gerarchia cattolica alla libertà religiosa, dopo ben 1573 anni (distanza temporale tra la Dignitatis humanae del 1965 e l’ultimo decreto di Teodosio del 392)! Per rendersene conto è sufficiente leggere i documenti pontifici che durante la modernità condannavano aspramente la lotta dei laici e di alcuni teologi a favore della libertà religiosa, come per esempio le parole di Gregorio XVI che nel 1832 bollava la libertà religiosa come deliramentum o le parole di Pio IX nel 1870 o quelle di Leone XIII nel 1888. Scola ha ragione nel dire che “il nostro è un tempo che domanda una nuova, larga cultura del sociale e del politico”. Ma questa larghezza della mente e dell’anima dovrebbe riguardare davvero tutti, anche la Chiesa cattolica, la quale non può limitarsi a rimpiangere Costantino e Teodosio e magari a cercare candidati politici che ne ricalchino le orme.
Vito Mancuso
Da La Repubblica 7 Dicembre 2012
EDITTO DI MILANO: LIBERTÀ RELIGIOSA PER TUTTI
a cura di Antonio Tarzia
Nel 2013 ricorrono i millesettecento anni dall’Editto di Milano, con cui gli imperatori Costantino e Licinio proclamavano il cristianesimo «religio licita». Terminava così l’epoca delle persecuzioni e del martirio, iniziava la breve era del pluralismo religioso chiusa dalla proclamazione teodosiana del cristianesimo come religione di Stato. E oggi? Che cosa significa ricordare quell’evento? Quale l’attualità dell’Editto di Milano e del suo artefice?
Sono radicati nel nostro Paese sin dalle origini della Riforma, anzi da prima di Lutero, eppure sono quasi sconosciuti dalla gran massa degli italiani. La galassia dei protestanti italiani mostra un volto che non corrisponde agli stereotipi. E l’arrivo di pentecostali e immigrati evangelici dal Sud del mondo pone nuove sfide agli eredi di Calvino
Il cosiddetto «Editto di Milano» di Costantino e Licinio fu promulgato nel corso del 313 dopo le vittorie di Costantino su Massenzio (28 ottobre 312) e di Licinio su Massimino Daia (30 aprile 313). Anche prima di quei due episodi militari, del resto, almeno tre degli imperatori protagonisti della guerra civile su quattro – quindi Massenzio escluso – si erano già espressi accettando l’editto che l’imperatore Galerio, insistentemente consigliato da Licinio, aveva emesso nell’aprile del 311.
Esso garantiva ai cristiani diritto di professare la loro fede e libertà di culto riconoscendo il cristianesimo come «religio licita». L’Editto di Milano ci è stato conservato nella forma più esplicita e completa dal De mortibus persecutorum (XLVIII, 2-12) di Lattanzio, che scrisse pochissimo tempo post eventum. Dell’Editto parla anche l’Historia ecclesiastica di Eusebio (X, 5), in forma più succinta. L’originale documentario dell’Editto non ci è pervenuto. Di seguito ne pubblichiamo il testo integrale, così come lo riporta Lattanzio.
«Nella felice occasione in cui io, Costantino Augusto, e io, Licinio Augusto, ci incontrammo a Milano, affrontammo insieme tutte le questioni relative al benessere e alla sicurezza pubblica. Tra i provvedimenti che ci sembrava avrebbero giovato a più persone e che fossero da disporre per primi, ci parve esservi questo, che stabilisce a quali divinità dovesse essere tributato onore di culto, al fine di dare, tanto ai cristiani quanto a tutti, libera facoltà di seguire la religione che ciascuno voglia, sicché qualsiasi divinità risieda in cielo, essa possa essere benevola e propizia a noi e a tutti coloro che sono posti sotto la nostra autorità. Perciò ci è sembrato con sana e retta riflessione di dover stabilire che non si debba assolutamente negare il permesso ad alcuno che si voglia dedicare alle pratiche dei cristiani o alla religione che senta a sé più congeniale, cosicché la somma divinità, alla cui venerazione ci dedichiamo con libertà di coscienza, possa manifestare in tutto il suo consueto favore e la sua benevolenza. Per cui è opportuno che la tua devozione sappia che ci è piaciuto di eliminare del tutto le condizioni contemplate dalle norme scritte che ti erano state fornite per il tuo ufficio riguardo alla categoria dei cristiani, cancellando ciò che in precedenza appariva odioso ed estraneo alla nostra clemenza; e ora ciascuno di coloro che desiderano seguire la religione dei cristiani la possa osservare liberamente e apertamente, senza ricavarne alcuna angoscia od offesa. E noi abbiamo ritenuto di dover comunicare alla tua sollecitudine queste cose nel modo più completo, affinché tu sappia che noi abbiamo concesso ai suddetti cristiani assoluta e completa libertà di professare la loro fede. E sulla base del fatto che noi abbiamo concesso questo a loro, la tua devozione comprenderà che anche ai seguaci delle altre religioni e al rispettivo culto è stata accordata la piena e libera facoltà a vantaggio della pace nel nostro tempo, cosicché ciascuno abbia il diritto di praticare liberamente la religione che ha scelto. Noi abbiamo stabilito ciò perché appaia chiaro che non viene da noi sminuito alcun atto di culto e alcuna religione. E, oltre a ciò, riguardo ai cristiani abbiamo ritenuto di dover stabilire che siano loro restituiti, gratuitamente e senza richiesta di indennizzo, senza alcun inganno né sotterfugio, quei medesimi luoghi nei quali in precedenza erano soliti radunarsi, sui quali mediante lettere al tuo ufficio erano state anche date prima d’ora determinate disposizioni, qualora tali luoghi risultino essere stati acquistati dal nostro fisco o da chiunque altro; e anche coloro che li hanno ottenuti in dono li restituiscano quanto prima ai medesimi cristiani, sia quelli che li hanno comprati, sia quelli che li hanno ricevuti in dono. E se vorranno chiedere un qualche risarcimento alla nostra benevolenza, si rivolgano al nostro vicario, perché si provveda anche nei loro confronti grazie alla nostra generosità. Insomma bisognerà che tutti questi edifici per tua mediazione siano restituiti al più presto, senza indugio, alla comunità dei cristiani. E poiché è noto che i medesimi cristiani non possedevano solo i luoghi in cui erano soliti radunarsi, ma anche altri di proprietà non di singoli, ma della loro comunità e cioè delle loro chiese, ordinerai che tutti questi luoghi, secondo la legge sopra esposta, vengano restituiti, senza alcun sotterfugio né opposizione ai medesimi cristiani, cioè alla loro comunità e ai loro gruppi locali, seguendo ovviamente il medesimo criterio sopra menzionato, e cioè che quelli che restituiscono gratuitamente tali luoghi possano sperare in un indennizzo dalla nostra benevolenza. In tutte queste faccende dovrai esercitare a favore di detta comunità dei cristiani la mediazione più efficace possibile, affinché il nostro comando trovi il più rapido compimento, in modo tale che anche in questo si provveda alla quiete pubblica per mezzo della nostra clemenza. In tal modo, come si diceva in precedenza, accadrà che il favore divino nei nostri confronti, di cui abbiamo fatto esperienza in circostanze così importanti, si manterrà per sempre propizio in ogni nostra prossima impresa, con felicità della popolazione. Affinché possa giunger notizia a tutti delle prescrizioni di tale nostra benevola disposizione, sarà opportuno che tu diffonda ovunque queste norme, accompagnate da un tuo ordine, e le renda note a tutti, così che questa nostra benevola disposizione non possa restare sconosciuta».
Traduzione a cura di Paolo A. Tuci, Istituto Gonzaga di Milano
Da JESUS
http://www.sanpaolo.org/jesus/1212je/dossier-1.htm
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