Hanno volti “puliti”, molti sono giovani, se si guarda il loro curriculum si scopre che hanno una laurea, vengono dal mondo delle professioni, hanno una storia di impegno nel sociale. Esprimono, insomma, la società civile. Sono i candidati eletti, domenica, in Sicilia, nelle liste dei 5stelle: persone, non “personaggi”, uomini e donne “della strada”, non frequentatori delle segreterie dei potenti, non clienti, non “figli di” impresentabili, gettati in avanscoperta da un padre troppo compromesso con la giustizia per presentarsi direttamente agli elettori. Niente di tutto questo, ma semplici cittadini. Sono loro i vincitori di questa tornata elettorale.
Al contrario di ciò che era avvenuto alle regionali del 5 novembre scorso, quando a prevalere erano state liste infarcite di nomi discussi e discutibili, in vari modo riconducibili alla casta e loro, i “grillini”, avevano avuto la maggioranza relativa dei consensi – il 34, 65% – , affermandosi come il primo partito dell’Isola, ma avevano fallito l’obiettivo di eleggere il presidente della Regione. A ricoprire questa carica era andato, infatti, Nello Musumeci, candidato della coalizione di centro-destra, ripristinando una lunga e infelice tradizione politica che l’esperimento del governo Crocetta aveva interrotto, ma non sovvertito, anzi riuscendo perfino a farla rimpiangere. E così erano tornati i volti fin troppo noti dei protagonisti di quel non glorioso passato, primo fra tutti quello di Gianfranco Miccichè, leader di Forza Italia, eletto poco dopo presidente dell’Assemblea regionale.
E forse, nel trionfo dei 5stelle, domenica, ha avuto una parte anche la veemente reazione popolare al discorso inaugurale dello stesso Miccichè, il giorno della sua elezione, quando – in un’Isola ridotta allo stremo e da cui migliaia di giovani ogni anno sono costretti a fuggire per trovare uno straccio di lavoro – non ha trovato di meglio da fare che rassicurare i deputati e i vertici dell’amministrazione regionale meno efficiente d’Italia (già privilegiati e lautamente retribuiti) che non avrebbe confermato il “tetto” dei loro emolumenti. Dice Platone nel Protagora che le virtù della politica, di cui ogni cittadino dev’essere dotato, sono la giustizia e il pudore, la capacità di provare vergogna. Era ben chiara da sempre la ragione della prima virtù. Dopo il discorso di Miccichè tutti hanno capito perché sia indispensabile anche la seconda.
E così domenica i siciliani hanno votato, a furor di popolo, per chi da tempo impostava tutta la sua linea politica sulla lotta contro la casta. Con le incognite e le ambiguità che ogni forma di anti-politica presenta e che i diversi esempi di populismo sotto i nostri occhi confermano ogni giorno. Perché non basta spazzare via l’esistente per ricostruire vita pubblica devastata dal malgoverno di decenni. Ed è vero che in una democrazia degna di questo nome la classe politica non può essere autoreferenziale, lasciando ai margini la società civile o, peggio, corrompendola con i tristi meccanismi del clientelismo: ma è vero anche che per governare è necessaria una cultura politica che fino a questo momento i 5stelle non hanno dimostrato di avere. Così come è vero che, se il tempo delle astratte ideologie è finito, troppo incerto è un programma politico come il loro, soggetto a brusche inversioni di rotta (anche positive, come la cancellazione dal loro ultimo programma elettorale del referendum, richiesto da sempre, per far uscire l’Italia dall’euro).
Forse però proprio questa indeterminatezza – sullo sfondo di una sincera volontà di cambiamento e di una chiara promessa di superare le logiche del privilegio – potrebbe costituire il terreno adatto a recepire idee e istanze positive, presenti nella nostra migliore tradizione, recuperando quella logica del bene comune troppo a lungo dimenticata non solo in Sicilia, ma nel nostro Paese. Il tempo dirà se questa speranza è fondata e se questo, che finora si è presentato soprattutto come il “partito degli onesti”, saprà fare un salto qualitativo che gli consenta di aprire davvero una nuova pagina di storia – si parla di Terza Repubblica – di cui oggi l’Italia ha estremo bisogno.
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