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Emiliano Manfredonia: è tempo di essere cristiani in uscita. Intervista al Presidente delle ACLI nazionali

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In Italia, il mondo del lavoro è colpito da due piaghe connesse alla mancanza di stabilità e di sicurezza. La pandemia ha ampliato una serie di fenomeni negativi che continuano a generare disagi per giovani, famiglie e migranti. Il piano dell’Unione Europea volto a superare la crisi pandemica è un’occasione di crescita che il nostro Paese deve necessariamente sfruttare nel tentativo di congiungere lo sviluppo economico a quello sociale.

Di questi temi discutiamo con Emiliano Manfredonia. Da sempre impegnato nel no profit, Manfredonia è Presidente delle ACLI nazionali. Nel 2020 è uscito per le Edizioni San Paolo il suo volume intitolato Vite in circolo. Luoghi dell’anima.


La conta dei morti sul lavoro in Italia assomiglia sempre più a un bollettino di guerra. Dalla sicurezza allo sfruttamento, dall’irregolarità alle nuove forme di schiavitù, il nostro Paese ha un problema rilevante connesso alla dignità da riconoscere e garantire a tutti i lavoratori. Su tale questione, qual è la posizione delle ACLI?

Il nuovo corso delle Acli sarà incentrato soprattutto sul tema del lavoro. Il lavoro che intendo però è quello buono, è il lavoro che dà e non toglie dignità ad una persona, che le fa progettare il futuro, che la rende elemento essenziale nella creazione di una società più giusta, come ci insegna la Chiesa da 2mila anni e come ci ripete spesso Papa Francesco. Oggi che siamo alle prese con lo sblocco dei licenziamenti e quindi con il rischio di una bomba sociale senza precedenti, abbiamo anche l’occasione irripetibile dei fondi del PNRR: basta con i bonus, investiamo sul futuro dei nostri giovani. Servono strumenti di potenziamento delle occasioni di incontro fra domanda ed offerta di lavoro. Nuove infrastrutture fisiche e digitali, nuove risorse preparate per orientare e formare coloro che sono alla ricerca di lavoro. Ci sarebbe molto da fare sul piano della formazione professionale, quella iniziale e quella continua, sicuramente servono investimenti e uno sforzo di coordinamento ben congegnato che consideri il contrasto al disallineamento tra l’istruzione che viene data e invece i profili professionali richiesti dalle nostre aziende. Puntiamo sulla formazione professionale di secondo livello, visto che è dimostrato come chi esce da queste scuole abbia poi possibilità molto alte di trovare lavoro. Come Acli siamo chiamati a responsabilizzare tutti gli attori, dalle istituzioni, ai partiti politici fino agli stessi corpi intermedi, affinché al lavoro venga dato il giusto valore, in un’ottica di sviluppo pieno di ogni persona.

La pandemia ha colpito tutti. Dai giovani agli anziani, dal mondo del lavoro alle famiglie il virus ha messo in ginocchio la società italiana, e non solo la nostra, che prima della pandemia arrancava tra una crisi e un’altra. Dal primo luglio i vostri circoli hanno ripreso la consueta attività associativa. La socialità e il desiderio di comunità possono rappresentare i capisaldi della ripartenza?

La pandemia ha reso ancor più evidente che abbiamo bisogno di vita associativa, abbiamo sentito ancora più forte l’esigenza di incontrarci, di istaurare relazioni, scambiare opinioni, soprattutto esserci per qualcun altro meno fortunato di noi. Oggi avremo ancora un ruolo nella società che cambia così rapidamente solo se daremo voce a chi è scartato o sta rimanendo ai margini, solo se sapremo rispondere all’appello che Papa Francesco ha lanciato dall’inizio del suo Pontificato, quello di essere cristiani in uscita. E i circoli per noi sono gli avamposti, sono la cellula intorno a cui cresce l’associazione ma soprattutto rappresentano dei luoghi che danno linfa vitale alla comunità. L’altro grande insegnamento che ci lascerà questa pandemia è che nessuno si salva da solo, ecco perché abbiamo bisogno di luoghi dove si possano connettere le domande dei più bisognosi, degli ultimi, ma anche di coloro che sono semplicemente in difficoltà, con l’offerta di chi si mette a disposizione attraverso il volontariato, il servizio civile, attraverso un lavoro che è qualcosa di più di un semplice impiego, come avviene nei nostri sportelli. Il 1 luglio scorso abbiamo riaperto tutti i nostri circoli, e siamo molto felici di poter riprendere pienamente tutte le nostre attività, anche se in questo anno e mezzo la maggior parte aveva chiuso solo fisicamente perché gli aclisti hanno continuato ad operare sul territorio, a stare accanto alle persone fragili e a cercare di dare delle risposte ai nuovi bisogni, legati all’emergenza sanitaria e sociale esplosa con il Covid-19.

Spesso nelle nostre comunità assistiamo a fenomeni connessi al razzismo, al mancato riconoscimento delle diversità, alla violenza sulle donne, all’assenza di una reale integrazione dei migranti. A suo parere, come sta la società italiana?

Purtroppo non bene. Basti pensare a quanto siamo indietro sul diritto di cittadinanza. Poche settimane fa abbiamo organizzato un convegno dedicato allo ius soli e abbiamo ascoltato le testimonianze di alcuni giovani che hanno studiato qui, si trovano sul suolo italiano da più di 10 anni, conoscono perfettamente la lingua italiana, sono integrati, lavorano, praticano sport, eppure per vedersi riconosciuta la cittadinanza, ed essere cittadini anche formalmente, devono aspettare e aspettare, in base ad una legge, lo ius sanguinis, le cui radici risalgono ai primi del ‘900. La politica deve avere coraggio di non cedere ai facili proclami, agli slogan detti per accaparrare qualche voto in più, perché è in gioco il nostro futuro e la nostra associazione, che vuole essere popolare e non populista, continuerà a dare battaglia sullo ius soli, perché crediamo sia una legge giusta, una legge di civiltà.

La tragedia connessa alla diffusione del virus ha spinto l’Europa verso un piano, unico nel suo genere, di investimenti per il futuro. Come valuta il progetto di rilancio previsto dall’Italia in particolare per quel che riguarda le politiche del lavoro?

Siamo nella fase embrionale e per il momento il giudizio non può che essere positivo perché si tratta di un piano di proporzioni gigantesche che andrà a incidere su tutti i settori: sanità, istruzione, lavoro, welfare. È chiaro però che la vera prova sarà quello che è sempre stato il punto debole dell’Italia e cioè la gestione dei fondi europei con il passaggio all’effettiva realizzazione di un progetto. Il PNRR, nella Missione numero 5 (quella che riguarda inclusione e coesione), affida al Terzo settore proprio il compito di co-progettare in una collaborazione che deve essere tra tutti gli attori in campo, e tra pubblico e privato. Si aprono di fronte a noi tante sfide, come quella sulla realizzazione di un nuovo modello di sanità pubblica, più legato alla presa in carico multidimensionale che all’erogazione di una semplice prestazione e poi la sfida delle imprese sociali che possono rendere ancora più concreto e vincente il modello di una nuova economia non più basata sulla massimizzazione del profitto ma sul benessere di ogni individuo.

Quella fra i cattolici e la politica è una delle relazioni più importanti e discusse all’interno e all’esterno della Chiesa. Se è vero che i cattolici italiani devono continuare a interessarsi della sorte della propria comunità nazionale è altrettanto veritiero che il nostro non è più il tempo dei partiti d’ispirazione cristiana. Nel nostro Paese, dal suo punto di vista, quale peculiarità dovrebbe assumere l’opera dei credenti in politica?

Il cristiano vive la sua inquietudine ogni giorno e in ogni aspetto della sua vita e la trasferisce anche in politica. La C di cristiani presente nella nostra sigla, lo dico spesso, dovremmo cambiarla con la I di inquieti che vuol dire non fermarsi alla superficie, cercare di dare risposte vere, scendere in profondità nei rapporti umani per farsi toccare dalle fragilità dell’altro e solo così capire veramente come aiutarlo. Come membri di un’associazione che ha sempre fatto pensiero politico anche noi siamo chiamati a testimoniare il nostro incontro con il Salvatore che è Calvario, Croce ma anche Resurrezione: dall’incontro che ha riempito di senso la nostra vita dobbiamo partire e poi, tra alti e bassi, tra inciampi e buone idee continuare a camminare.

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