di Giorgio Bisagna
La nota Legge Bossi Fini, la 189/2002, è una legge che ha introdotto delle modifiche al Testo Unico delle Leggi sull’Immigrazione, che invece reca le firme di Livia Turco e Giorgio Napolitano ( Legge 40/1998, poi inglobata nel decreto legislativo 286/1998).
La Bossi Fini ha sicuramente inasprito una serie di norme sanzionatorie già previste nel testo iniziale, quello della Legge Turco Napolitano, che tuttavia presentavano degli aspetti critici.
Il primo di questi è l’introduzione nel nostro ordinamento della c.d. detenzione amministrativa e la istituzione dei Centri di Permanenza Temporanea ( CTP) poi ridenominati con la legge 125 2008 in Centri di Identificazione ed Espulsione.
La norma originaria, la Turco Napolitano, prevedeva il trattenimento dello straniero che doveva essere espulso dal territorio dello stato perché clandestino o comunque irregolare, per il tempo strettamente necessario ad acquisire gli accertamenti sulla sua identità o la disponibilità di un vettore, e comunque per un termine non superiore a giorni 10, prorogabili di altri 20, per un totale di giorni 30.
Con i vari governi Berlusconi, si è passati ad un trattenimento massimo prima di 60 giorni( Bossi Fini), poi di 180 giorni ed in ultimo si è arrivati ad un termine massimo di “detenzione amministrativa” di un anno e mezzo.
In pratica un clandestino, ma in generale chi non ha più il permesso di soggiorno può restare oggi in un Centro di Identificazione ed Espulsione sino ad un anno e mezzo.
Non è un po’ tanto per un centro che dovrebbe essere invece finalizzato ad “identificare ed espellere” e non a punire con la privazione della libertà?
Ancora: molti dei trattenuti nei centri sono cittadini stranieri pregiudicati, che all’atto della scarcerazione, avendo perso il titolo di soggiorno per il reato commesso, prima di essere rimpatriati vengono trattenuti per “l’identificazione e l’espulsione” nei centri, così fanno anche un altro anno e mezzo “gratis” dopo avere espiato la pena. Ma non si potrebbero “identificare” quando sono in carcere, ed avviare poi le procedure a garanzia dei loro diritti in prossimità della loro scarcerazione? Un anno e mezzo dopo vari anni di carcere non è un po’ eccessivo?
Oppure vengono trattenuti perché i paesi di provenienza non hanno firmato gli accordi di riammissione, in altri termini non li vogliono, e quindi si “posteggiano” nei Centri. Centri che, è bene dirlo, non sono alberghi, ma strutture detentive, in cui gli ospiti sono privati della libertà personale, e spesso sono stati censurati, da organismi internazionali quali UNHCR, ONU etc…
Eppure è bene precisarlo nei CIE si finisce non perché si è commesso un reato ( per i reati eventualmente c’è il carcere) ma solo per il tempo “strettamente necessario ad eseguire l’espulsione”
Un anno e mezzo tempo strettamente necessario?
Tanto più che, mentre in carcere c’è sempre una speranza, la scarcerazione anticipata per buona condotta, le misure alternative, nei CIE si sa che la via di uscita conduce al rimpatrio, con ulteriori problemi anche in patria…insomma si è privati della libertà senza avere un barlume di speranza.
Proprio l’assenza di speranza, contraddistingue la permanenza dei migranti nei CIE, storie di vita che si rincorrono, simili tra loro e tutte diverse, storie che pongono un’unica domanda, senza risposta: perché sono qua?
Non è facile rispondere con il buon senso a questa domanda.
Non sei là perché hai commesso un reato, né perché sei una persona pericolosa.
Sei in un CIE perché devi essere “espulso dal territorio dello stato”, e sei quindi “temporaneamente trattenuto” per il “tempo strettamente necessario” ad eseguire l’espulsione… fino ad un anno e mezzo.
E così l’unica “speranza” diventa la ribellione, il tentativo di fuga, la rivolta, in questi luoghi, definiti da alcuni “non luoghi”, con status giuridico incerto, con regole a geometria variabile, fissate dalle singole prefetture, con personale di polizia a volte stanco ma professionale a volte né stanco né professionale, con un campionario di umanità varia, dagli assistenti sociali agli infermieri, in cui convivono eroismi e miserie, umanità e ferocia.
Sicuramente uno Stato deve “governare” il fenomeno migratorio, ma la “cattiveria” di Stato, così come la definì un Ministro di uno scorso governo, non dissuade l’immigrazione irregolare, aumenta i costi, economici e sociali e forse, in ultimo, benché ce lo chieda una Europa sempre attenta allo Spread e meno ai diritti delle persone, viola quelle antiche parole “… ero forestiero e mi avete ospitato”.
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