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Figli di Dio: figli nel Figlio, monaci nel mondo

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“Ut sitis Filii Patris vestri”, questo il motto della Comunità, questo il termine della vita cristiana: essere figli del Padre, come insegna Gesù nel sermone della Montagna (Mt 5,45). Siamo già figli nella nostra dipendenza da Dio come creature, abbiamo genitori nel sangue, nella carne, ancora ci manca però essere figli di Dio in senso proprio, nascere da Dio divenendo suoi figli nella identificazione con Cristo.

Figli di Dio sono tutti i cristiani ma noi abbiamo preso questo nome perché vogliamo vivere la consacrazione a Dio, avvenuta con il Battesimo, in modo consapevole, vogliamo vivere quotidianamente, nella nostra vita ordinaria, la realtà straordinaria della filiazione divina. Il significato del nostro nome dunque esplicita una nostra scelta per Dio: vogliamo vivere il mistero dell’adozione filiale disponendoci personalmente e come comunità ad una apertura vera a Dio Padre, assumendo un impegno spirituale che ci porti giorno per giorno a cercare una intimità sempre più grande con Lui: “cerco Dio solo”.

Non è esclusivo per noi essere figli di Dio, noi desideriamo viverne in modo più pieno il mistero…a tutti è richiesto questo impegno di amore.. noi ci rivolgiamo a tutti, a tutti quelli che vogliono vivere più vicini a Dio, per essere sostenuti nel loro cammino.

Certo è Dio che, gratuitamente, ci eleva all’ordine soprannaturale, e questo si esprime bene nel termine di adozione, ma l’adozione per la quale Dio diviene mio padre ed io divengo suo figlio esige una reale trasformazione della mia natura. Io non cesso di essere uomo, è vero, ma divengo figlio di Dio, perché accetto di obbedire non più alla mia natura ma soltanto all’azione di Dio che vive in me, questo il senso di una vita nel mondo ma con l’impegno di cercare in tutte le situazioni, in tutti i rapporti, “Dio solo”.

Ut sitis Filii Patris vestri”, dunque, come programma di vita personale e comunitario, non un impegno di apostolato ma di santità: “siate santi come santo è il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5, 48).

Questo dunque s’impone per noi: vivere continuamente il superamento dell’essere nostro nell’esercizio continuo delle virtù teologali, le quali veramente ci trasformano: vogliamo vivere nel mondo presente una vita teologale. Precisa il padre don Divo: “Noi vogliamo essere il mondo futuro celato nel presente, ma non andando nel deserto o chiudendoci in un monastero con la clausura e la perfetta solitudine: vogliamo che gli uomini si incontrino con Dio, incontrandosi con noi. Ecco tutto.” “Essere figli è rivelare con tutta la nostra vita questo mistero ineffabile dell’amore divino, è tutto il nostro programma, perché questa anche è la nostra vocazione, che abbiamo ricevuto da Dio: nell’umiltà, nella pace, nella semplicità, nella purezza di una vita tutta di amore, non volere più che questo, essere i figli di Dio.”

Per rispondere a questa vocazione la Comunità dei figli di Dio, famiglia religiosa aperta a tutti, essenzialmente laicale, si alimenta di una spiritualità biblica e liturgica, per testimoniare nel mondo il primato dei valori contemplativi, del primato di Dio, proponendo a ciascuno di vivere un monachesimo interiorizzato. Può prepararci a questo soltanto la volontà libera che Dio viva in noi facendo tutto quanto necessario per mantenerci fedeli a questo orientamento di vita, e la Comunità, estremamente sobria nei mezzi che offre, propone a tutti, come quotidiano impegno fondamentale la preghiera e l’ ascolto della Parola di Dio, per alimentare quella vita teologale che abbiamo abbracciato.

Nella Comunità si condivide tutti la stessa consacrazione, vissuta però in stati di vita differenti, abbiamo fatto esperienza di come tale novità in seno ad una medesima famiglia religiosa, la nostra famiglia, significhi ricchezza. La Comunità infatti è una, pur nei differenti stati di vita: si condivide la stessa vocazione ed a tutti è richiesto di seguire i consigli evangelici; sia che ci si trovi a vivere una vita secolare sia che si viva nelle case di vita comune, siamo tutti ordinati all’ascolto e alla lode di Dio.

Il nostro primo impegno dunque è l’ascolto della Parola di Dio: in questa attenzione costante a Dio che parla noi viviamo una unione con Lui che esige una risposta d’amore sempre più piena. La nostra risposta è la preghiera . Nella lode divina, nella preghiera del giorno, noi offriamo alla Chiesa il nostro cuore e le nostre labbra perché la Chiesa intera preghi attraverso di noi, e nella preghiera dobbiamo far nostri i bisogni di tutta l’umanità in un’intercessione universale e costante. La meta è essere in qualche modo tutta la Chiesa, ognuno di noi e tutti insieme come comunità, impegnati in un cammino di crescita nell’amore, perché sia sempre più perfetta l’unione con Dio e con i fratelli. Chi sceglie di vivere questo monachesimo sa di dover tendere a divenire segno, sacramento vivente della presenza viva di Lui; per questo, come Gesù, si sforza di vivere nel seno del padre e rimanere nel mondo in mezzo ai fratelli: il nostro monastero è il mondo.

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Nel tempo di Avvento del 1967, il padre don Divo ci scrive una lettera. Ne sottolineo alcuni stralci fondamentali per la comprensione di quel suo cammino di spiritualità che sentiva di non poter trattenere per sé, ed è tracimato in una numerosa comunità di figli:

Siamo figli di Dio, siamo fratelli dei santi. Noi vogliamo una comunità che renda testimonianza di una presenza viva di Dio in mezzo agli uomini e vogliamo che questa testimonianza sia resa … in ogni lavoro e professione umana, negli stati diversi della vita, nelle condizioni più varie, di ogni età… Se il nostro mondo sembra essere come deserto da Dio, è necessario che gli uomini ve lo riconducano e lo facciano presente nella loro medesima vita… È arduo, certo, vivere una vocazione contemplativa nelle condizioni più sfavorevoli, ma proprio questa ci sembra la nostra vocazione. E’ una vocazione che può sembrare un assurdo: è una vocazione a cui ci impegna la dolorosa miseria del mondo, il vuoto di tante anime che non sanno più nulla di Dio. Sì, la vita contemplativa esige naturalmente la solitudine, il silenzio: per questo i monaci hanno scelto la sommità dei monti, il nascondimento…la solitudine del deserto. Ma noi crediamo che Dio, nella sua Onnipotenza, possa far realizzare una vocazione contemplativa anche nel centro delle città… E noi lo crediamo non come pura possibilità, ma come possibilità reale per noi tutti che Dio ha chiamato, per tutti quelli che Dio chiamerà nella nostra famiglia. Lo crediamo perché Egli ce ne dona vivo e doloroso desiderio nel cuore; lo crediamo perché immenso è il bisogno che il mondo ha di queste anime che gli rivelino Dio. Di Dio soprattutto manca, di Dio soprattutto ha fame! Noi crediamo che questa sia la carità più grande che il cristiano possa fare ai fratelli che vivono con lui e da lui possono avere la testimonianza di una presenza viva di Dio. Non vogliamo certo dire che sia per questo meno necessario l’apostolato nelle sue varie attività o il servizio di carità nelle opere di misericordia corporale. Ognuno di noi del resto, in forza del proprio lavoro, della sua professione, è già impegnato in questo servizio… Tuttavia non possiamo negare che più di ogni altra cosa, da noi il mondo attenda e quasi anche esiga una rivelazione di Dio. A questa attesa noi dobbiamo rispondere facendo presente in noi Cristo Gesù; a questa carità noi ci sentiamo impegnati. Finché non avremo dato alle anime Dio, noi sentiamo di non avere dato ancora nulla, anzi di averle tradite, sentiamo di avere mancato alla nostra missione. La nostra Comunità ci appare così una famiglia di anime che Dio vuol trasformare in Sé, per renderle segno della divina Bellezza, e mandarle nel mondo, inviarle ai fratelli, perché attraverso di loro Cristo Gesù si accompagni ad ogni uomo nel suo cammino terrestre. In ognuno di noi viva la pena di ogni fratello, ognuno di noi partecipi ai fratelli la gioia intima e pura della sua comunione con Dio. Perché è questa la vocazione che abbiamo ricevuto…”.

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