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Fra Domenico Spatola – S. Maria della Pace

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INTERVISTA A FRA DOMENICO SPATOLA

PARROCCHIA DI SANTA MARIA DELLA PACE

(ai Cappuccini)

29.10.2012

Fra Domenico Spatola testimonia nella nostra conversazione, con dirompente gioiosità, la sua esperienza di fede e di amore che nasce dall’incontro con Gesù e il Suo messaggio, rivolto non solo a chi crede, ma a tutti gli uomini. La parrocchia è una casa, luogo di accoglienza e di amore, la messa il punto di partenza per la formazione in cui ci si incontra nel nome del Signore, che non va dimenticato in Chiesa, come ricorda sempre Fra Domenico, ma portato come testimonianza nella vita di tutti i giorni. L’amore di Dio è il tema ricorrente di questo dialogo, facendo passare in secondo piano tutte le numerose attività che la parrocchia organizza per accogliere coloro che si trovano in difficoltà e di cui la Missione San Francesco si occupa quotidianamente. Anche questo è una testimonianza che il punto di partenza è il comandamento di amore di Gesù.

 

Quanto è grande la parrocchia?

Nell’annuario è riportato che ci sono 8.500 abitanti.

 

Qual è il rapporto tra il numero dei parrocchiani e quello di coloro che frequentano la messa domenicale con una certa costanza?

Non so rispondere con precisione, perché all’interno della nostra parrocchia c’è una chiesa in via Pitrè, che assorbe un buon numero di parrocchiani. Però le messe sono sempre piene, soprattutto la messa delle 9.30 dei bambini. Chi viene qui sceglie lo stile gioioso, come si addice al messaggio del Vangelo. Infatti si chiama Vangelo perché deve essere la bella notizia e va annunziata con gioia. Diceva Madre Teresa di Calcutta sorridi che poi nasce l’amore.

 

È prevalente il radicamento territoriale o vi sono persone che vengono da zone territoriali diverse?

Molte persone vengono da altre zone perché sono affezionate ai Cappuccini. Abbiamo un modo particolare di coinvolgere la gente, che viene catturata da questa forma di espansione. Probabilmente tanti parrocchiani andranno in altre parrocchie per i più diversi motivi, il che non crea alcun problema.

 

Nel territorio parrocchiale, come cercate di raggiungere i non praticanti o non credenti?

Capita nelle celebrazioni di matrimonio e di battesimo che tante persone, che normalmente non vengono, in occasione dell’incontro si rendono conto del nostro stile. Questo diventa un momento prezioso per accogliere.

La parrocchia è il luogo dell’incontro con Gesù, non solo nel senso strettamente sacramentale, ma nel senso di considerare la parrocchia come casa propria. La Chiesa è la mia casa. D’altra parte la parola “parrocchia” significa vicino di casa.

Comunque abbiamo anche in progetto di fare delle missioni, come dice il Vangelo “andate e predicate”. Ci sono grandi condomini dove vivono tante famiglie, quindi cerchiamo di dividere l’impegno seguendo per un periodo un particolare plesso e organizzando degli incontri.

Il problema è la relazionalità, che è fondamentale. Dice un proverbio arabo che l’amore è come la goccia d’acqua che pende da una rete di un ragno. Basta che la goccia si faccia un poco più pesante che si spezza la tela. E’ questa sensibilità che bisogna avere; bisogna cercare di cogliere nell’altro ciò che ama sentirsi dire. Gesù diceva “vi ho chiamato amici perché vi ho fatto conoscere i segreti del Padre”. E’ l’incontro con Gesù che ci cambia.

Tante volte la gente prende la comunione, ma non lo capisce che si deve portare Gesù nella vita di ogni giorno. Gli altri devono potere sperimentare che si è incontrato Gesù, perché uno che incontra Gesù cambia, la sua gioia diventa piena perché ha capito il messaggio di Gesù di amarsi l’un l’altro, come Lui ci ha amato, perché andiate e portate frutto e il vostro frutto sia abbondante e la vostra gioia sia piena, coinvolgente, pasquale come la resurrezione.

Ci sono attività di formazione che vanno al di là del catechismo per i bambini e i ragazzini fino alla cresima? I catechisti per la preparazione alla prima comunione e alla cresima vengono preparati, a loro volta? Come? Da chi?

Abbiamo la fortuna di essere una comunità francescana e, quindi, siamo tanti frati che collaboriamo allo stesso progetto di umanizzazione del messaggio, quella forma di incarnazione della Parola di Dio che il Concilio ci ricorda sempre. Dio si è fatto Parola, la Parola si è fatta carne, si è fatta umanità, così il messaggio si cala nell’umanità. Noi siamo tanti frati, siamo un gruppo che, dall’antichità, è chiamato Ordine francescano secolare.

Ci sono diverse fasi di formazione: il gruppo degli araldini, che comprende i bambini dai 6 anni, i quali ancora non hanno iniziato il percorso della prima comunione; c’è la gioventù francescana e, poi, il naturale sbocco nell’Ordine francescano secolare, senza obblighi e senza meccanicismi automatici, sempre come scelta di libertà. Abbiamo una formazione molto dettagliata e alcuni dei nostri confratelli condividono questo percorso. Ci sono anche diversi momenti di ritiro. Ieri, per esempio, ne hanno fatto uno a Bivona ed erano più di 110 persone. I ragazzi sono divisi in gruppi per l’età, ma senza creare steccati. L’Ordine francescano secolare non si basa su divisioni nette.

Per il catechismo è diverso, perché ci sono tanti bambini. Abbiamo una settantina di catechiste, perché per i bambini della prima comunione preferisco che siano donne, per il ruolo materno che è adatto ai bambini di questa età e, poi, per evitare casi di pedofilia, che qui da noi per fortuna non sono successi mai e che vorremmo a tutti i costi evitare.

Per la formazione delle catechiste ci riuniamo ogni venerdì sera dalle 9.00 alle 11.00 e affrontiamo i problemi inerenti all’annuncio e alla formazione delle stesse catechiste. Per esempio, per ora insieme stiamo approfondendo il Vangelo di Giovanni, sempre tenendo conto della didattica di annuncio ai bambini. Io dico sempre che bisogna abituare i bambini che l’incontro con Gesù avviene nella celebrazione della messa. Il catechismo parte da quel momento, è una prosecuzione dalla celebrazione liturgica della domenica, ma tutto questo a misura del bambino. Cerchiamo di adottare il loro linguaggio e di intercettare il loro entusiasmo. Quando è venuto padre Zambolin, il vicario, ebbe a dire al Vescovo che i bambini percepiscono che il catechismo è una festa e a me è sembrato il commento migliore, più vicino all’ideale che io intendo proporre ai bambini.

Abbiamo anche dei corsi di cresima seguiti da catechisti che fanno parte del gruppo Missionari del Vangelo, che seguono da tanti anni dei corsi di aggiornamento dal punto di vista soprattutto scritturistico e sono molto preparati.

 

Qual è la percentuale di ragazzi che continua a frequentare la parrocchia dopo la cresima? C’è un gruppo giovanile permanente? Che età hanno i partecipanti in media?

Direi dopo la cresima un buon 50%. Gli altri spesso provengono da altre parrocchie e non lo posso dire. Noi organizziamo due corsi di cresima l’anno e alcune persone vengono anche da altre parrocchie.

Noi abbiamo il compito non di formare proseliti, ma di formare persone che vivano un’esperienza di fede matura. Li educhiamo a pensare a vivere la fede non come qualcosa che deve impaurire, l’amore conosce soltanto la libertà del cuore. Dio ci fa liberi perché ci ama, noi siamo veramente liberi se amiamo . Poi c’è un gruppo giovanile permanente che è la gioventù francescana. Ogni sera in Chiesa si riunisce un gruppo diverso: il martedì c’è l’adorazione e contemporaneamente c’è il gruppo della missione che fa la preghiera nella cappella, mercoledì ci sono i gruppi che si riuniscono per preparare le liturgie, il giovedì tengo le catechesi sui Vangeli, il venerdì mi intrattengo coi i catechisti. E’ una Chiesa aperta tutta la giornata.

 

Quali sono i rapporti tra la parrocchia e le associazioni, i gruppi e i movimenti (Azione cattolica, Scout, etc.) – se ce ne sono – che operano al suo interno?

Abbiamo il gruppo Padre Pio, abbiamo il gruppo dei Missionari del Vangelo, il gruppo della catechizzazione francescana, abbiamo il gruppo coro, il gruppo della Missione San Francesco, cioè dei nostri volontari che ogni giorno preparano il cibo per i poveri. All’interno della missione San Francesco c’è un poliambulatorio dove si offre un servizio specialistico, supportato dal Rotary Club Agorà, che manda i medici. L’altro ieri c’è stata la visita di ortopedia e di densitometria ossea. Poi abbiamo un medico che segue ogni giorno i poveri che vengono, che sono più di 120 a cui offriamo da mangiare tutti i giorni compreso le domeniche.

 

Che ruolo hanno i laici?

Praticamente tutto, io ho sempre detto non vi voglio come esecutori ma come collaboratori, perché la parrocchia siamo tutti. Chiedo ai collaboratori di avere una grande gioia nel fare questo servizio, anche per aiutare a far capire che la povertà non è solo una disgrazia, ma può essere anche una occasione per testimoniare la ricchezza. Non c’è nessun ricco che non abbia bisogno di qualcosa e non c’è nessun povero che non abbia qualcosa da regalare. Quando mi chiedono come ci si deve comportare rispondo “come vi sembra meglio”: io non so le esigenze che, di volta in volta, incontrate, avete la vostra autonomia nel portare avanti un servizio. L’importante è che si porti avanti la pace. In questo modo i laici si sentono più responsabilizzati. Poi i laici che sono genitori hanno qualcosa in più che è la loro genitorialità e che li aiuta a capire il Dio che ama.

O capiamo Dio come amore o non abbiamo capito niente. Purtroppo c’è stata la tentazione di volere mettere Dio nei luoghi più alti, senza pensare che Dio si è incarnato. Per cui più si è umani più si diventa divini, più ci si allontana dall’umanità e più si rischia di non incontrare Dio, che non sta nell’alto dei cieli ma nell’umanità.

Questo è il senso per cui mi batto con i miei confratelli, perché la tentazione del fariseismo è sempre forte. Dobbiamo ricordarci quando facciamo la comunione che Gesù lo abbiamo dentro e lo dobbiamo portare con noi. Dico sempre, quando prendete Gesù non me lo lasciate in Chiesa, perché la tentazione è forte, perché non sono degno. Io mi auguro che la liturgia al più presto cambi questa formula, che è decontestualizzata. Nel Vangelo quando viene detta dal centurione è inserita in un altro contesto. Noi non dobbiamo andare da Gesù perché siamo degni o non lo siamo. E’ Gesù che vuole venire da noi: è Lui che ci accoglie e ci cambia la vita. Non dobbiamo vederlo sempre distante e pensare a lunghi cammini difficili che non hanno nessuno scopo. Dobbiamo entrare in questa comunione e diventare santuario di Dio, luogo di amore.

Vivere nell’amore significa, come dice Paolo, ospitalità, benevolenza, generosità, altruismo. Ai primi cristiani si diceva “vedete come si amano”. Si riconoscevano da questo, come d’altronde diceva Gesù “da questo vi riconosceranno, perché vi siete amati come io vi ho amati”. Queste sono le motivazioni che secondo me devono muovere ogni comunità nel territorio, se non ci sono queste non abbiamo niente da offrire.

 

Quali sono i tratti essenziali  della esperienza di fede che vi caratterizza (o che è presente in parrocchia)? Vi riconoscete in una spiritualità particolare?

Ogni parrocchia è nel territorio, insieme con le altre parrocchie, espressione della Chiesa universale, insieme con i vescovi e con il Papa. La parrocchia è, quindi, espressione della Chiesa che vive nel territorio. La Chiesa è una sola: la Chiesa Santa cattolica e apostolica romana. Ogni Chiesa locale è parte della Chiesa.

I cappuccini sono arrivati in questa parrocchia nel 1970 con padre Carlo, poi con padre Bonaventura Cinà, che è stato parroco fino al 2004, e poi sono arrivato io. Lo stile francescano si ispira all’esperienza di San Francesco. La regola è una ed è di osservare il Santo Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo. Questo si esprime nell’accoglienza, nella testimonianza ai fratelli dell’amore di Dio e nella comprensione e attuazione delVangelo.

 

Qual è il gruppo o il cammino spirituale che ritenete più vicino a quello che perseguite?

Quello dei Missionari del Vangelo, perché è un movimento nato da un nostro conterraneo Nino Trentacoste, che prende spunto dal Concilio Vaticano II. E’ un gruppo nato appena si è chiuso il Concilio con il messaggio di tornare alle fonti. La fonte della Chiesa è il Vangelo. Ed è questo che oggi manca.

Ieri spiegavo il discorso di Bartimeo, figlio di Timeo, del perché Gesù non ci sente se chiamato “figlio di Davide”, della domanda fatta da Gesù al cieco “cosa vuoi che io faccia?”. E’ un discorso simbolico. Gesù non ci sente, non gli piace essere chiamato figlio di Davide. Davide aveva le mani troppo piene di sangue, aveva commesso troppi omicidi per conquistare il regno. Nell’immaginario del popolo ebraico il modello doveva essere il conquistatore. Cosa gli sta dicendo il cieco “figlio di Davide ti devi ricordare che devi lottare contro coloro che sono nemici del popolo ebraico”. Ma Gesù è venuto per dare la vita non per toglierla. Il cieco risponde a Gesù che gli domanda “cosa vuoi che io faccia?” così “Rabbunì, che io ritorni a vedere”. Rabbunì è il modo in cui si rivolgevano a Dio, non più figlio di Davide, “che io ritorni a vedere” significa che questo poveretto prima ci vedeva e pensava come Gesù. Gesù ci dice “avete occhi e non vedete”, la cecità dell’orgoglio, del potere. Questo è il male degli ecclesiastici, ci sono anche persone meravigliose che sono santi. Anche il Papa lo ha detto che il problema della Chiesa è l’ambizione di volere primeggiare, che era la tentazione dei primi discepoli e anche del cieco.

Più ci avviciniamo al Vangelo più conosciamo Cristo. Oggi c’è una crisi di evangelizzazione, si tende molto a catechizzare, inteso come attrarre verso di noi come se fossimo una città chiusa, in cui dovete entrare nel nostro alveo per essere catechizzati, come le pecore. Invece Gesù le pecore le ha considerate tutte uguali, ha liberato il gregge. Gesù non dice: “adesso che vi ho liberati vi domino, sono venuto a fare il re”.

Allora evangelizzazione significa un’altra cosa, mentre con la catechesi tendiamo a chiuderci, evangelizzazione vuol dire il contrario andare verso, annunciare, la Chiesa che si confronta.

Bisogna togliere la forma di clericalizzazione che, ancora oggi, sta diventando il pericolo della Chiesa. Stiamo clericalizzando i laici, come dire riformando la piramide, ti do un po’ di potere, perché tu obbedisca a me e diventi un mio esecutore e impari ad opprimerei proseliti sotto di te.

Questa è la clericalizzazione. Questa è la cosa peggiore che sta capitando nella Chiesa, è il rifiuto dello spirito e del messaggio del Concilio. Invece il Concilio parla di popolo e di circolarità: tutti siamo figli del Figlio e lo Spirito ha dato a tutti il dono dell’unità e della diversità, dove ognuno di noi è ricchezza e dono d’amore, senza dire il mio dono è più alto del tuo. La diversità non significa superiorità, indica il dono con cui lo Spirito rende bella la Chiesa, allora il modello è la circolarità non è più la piramide.

 

Qual è l’iniziativa che vorreste realizzare insieme ad altri gruppi e\o parrocchie?

Purtroppo tra i colleghi preti non trovi questa sintonia di cui stiamo parlando e la mia preoccupazione è, a volte, di non essere compreso, che il modello espresso dal Concilio di “Chiesa al servizio” non sempre sia ribadito. Bisogna aspirare a stare come Gesù all’ultimo posto a creare una Chiesa che serve.

Cosa ritenete urgente per risolvere o affrontare i problemi, se ce ne sono, della città di Palermo?

C’è il problema serio dell’economia e della politica. Io ho cercato di fare aprire gli occhi alla gente davanti al teatrino della politica. Mi pare che abbia ragione don Fabrizio del Gattopardo, “si cambia per non cambiare”. Sono convinto che oggi il messaggio di Gesù non debba essere chiuso all’interno della Chiesa, ma che debba essere il messaggio rivolto all’uomo che cerca di guarire. Deve passare il messaggio di Gesù di non vedere nell’altro qualcuno da sfruttare, ma da amare in modo da mettersi al suo servizio come Dio che si è messo ai piedi dell’uomo.

Gesù fa la differenza tra il ricco e il signore. Secondo il Vangelo il ricco è colui che prende sempre e toglie agli altri. Gesù è il signore, il Signore, perché signore è colui che dà, che diventa dono per gli altri. Quando annunciamo il Vangelo non dobbiamo pensare che il messaggio di Gesù sia un messaggio diretto a chi vuole seguire la fede cattolica. Prima di tutto deve essere un messaggio all’uomo e all’uomo di tutte le nazioni.

 

Cosa ritenete urgente per risolvere o affrontare i problemi, se ce ne sono, della chiesa di Palermo?

Ripeto la mia preoccupazione è il clericalismo, la tentazione del distacco, la tentazione di cadere nel devozionismo , la fede tradotta in devozionismo. C’è la tendenza di caricare i devoti di una superfetazione di religiosità, che non ha niente con la vera fede. Forse si tratta così la gente per dominarla meglio. Se tu dialoghi con una persona, la lasci libera.

L’impegno nostro è di liberare la gente. Gesù diceva accusando i farisei “girate il modo per fare dei proseliti e li rendete peggio di voi”. Il fanatismo rende impossibile l’idea di Dio, che è, invece, un Dio di amore che libera. Questo c’è nel Vangelo: un Dio che ama tanto da avere mandato il suo Figlio, la perfezione di Dio è l’umanità. Noi vediamo Gesù sulla croce, il Dio che si lascia morire.

Gesù dice, prima ama e, poi, diventa discepolo. Ci lascia il primo comandamento di amarsi l’uno con l’altro. Questo comandamento non si somma a quelli di Mosè, è il nuovo. Perché Gesù, a volte, non è compreso radicalmente? Perché facciamo sempre una specie di traduzione dall’Antico Testamento, traduciamo Gesù con le logiche di Mosè. Mosè dopo 40 giorni di parlare con Dio sul monte Sinai quando scende (capitolo 32 dell’Esodo) arma i leviti, perché uccidano 3000 tra parenti, amici e genitori che si erano macchiati del peccato di idolatria. Invece Gesù si fa ammazzare, Dio è solo chi dà la vita. Ό θεòς άγάπη έςτίν, Dio è amore.

Intervista di Luciana De Grazia

 

 

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