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Fratelli tutti? La “via pulchritudinis” di Papa Francesco.

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Vorrei aiutare gli uomini a vedere con occhi nuovi. Non dimostrare dunque, bensì aiutare a vedere con occhi nuovi”. (R. GUARDINI)

Fraternità universale, paternità divina

L’enciclica di Papa Francesco ha suscitato molti commenti, positivi e non, a causa della sua originale impostazione. Infatti essa non è indirizzata solo al popolo della Chiesa cattolica ma a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, di qualsiasi fede. A tutti questi il Papa lancia un messaggio di pace e di giustizia che deve estendersi a tutti i popoli della terra in nome e in vista di una fratellanza universale. Per questo motivo Bergoglio all’inizio ci parla di San Francesco “che si sentiva fratello del sole, del mare e del vento, e sapeva di essere ancora più unito a quelli che erano della sua stessa carne. Dappertutto seminò pace e camminò accanto ai poveri, agli abbandonati, ai malati, agli scartati, agli ultimi”(2). Egli non faceva la guerra dialettica imponendo dottrine, ma comunicava l’amore di Dio. Aveva compreso che «Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui” (1 Gv 4,16)(4).

Gli argomenti teologici che fondano il discorso sulla fraternità universale sono sviluppati quasi esclusivamente nell’ultimo capitolo, dove si dice che solo la fede nell’unico Dio, Padre di tutti, può giustificare un modo di pensare e di agire che veda in ogni altro uomo un fratello. Al numero 272 si legge infatti: “Come credenti pensiamo che, senza un’apertura al Padre di tutti, non ci possano essere ragioni solide e stabili per l’appello alla fraternità. Siamo convinti che «soltanto con questa coscienza di figli che non sono orfani si può vivere in pace fra noi». Perché «la ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità».

Le ragioni della fraternità

Nonostante questa difficoltà di fondo che ogni persona non guidata dalla fede incontra di fronte ad un ideale di fratellanza, nell’enciclica si indicano le ragioni valide a giustificare oggi un’inversione del cammino che, basandosi sugli interessi individuali, procura i tanti conflitti e le tante lacerazioni della società contemporanea. Sono ragioni storiche Nei dinamismi della storia, pur nella diversità delle etnie, delle società e delle culture, vediamo seminata così la vocazione a formare una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri” (cap. 96); ragioni politiche: “La fraternità ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza. Che cosa accade senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento come valori? Succede che la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine, di pura autonomia per appartenere a qualcuno o a qualcosa, o solo per possedere e godere”(103); ragioni economiche: “L’attività degli imprenditori effettivamente «è una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti» (123); ragioni giuridiche che si basano sulla applicazione dei diritti universali dichiarati dall’ONU: ”Nessuno dunque può rimanere escluso, a prescindere da dove sia nato, e tanto meno a causa dei privilegi che altri possiedono per esser nati in luoghi con maggiori opportunità. I confini e le frontiere degli Stati non possono impedire che questo si realizzi. Così come è inaccettabile che una persona abbia meno diritti per il fatto di essere donna, è altrettanto inaccettabile che il luogo di nascita o di residenza già di per sé determini minori opportunità di vita degna e di sviluppo (122); e soprattutto ragioni etiche che si basano sul rispetto della dignità umana: “Perché la pace reale e duratura è possibile solo «a partire da un’etica globale di solidarietà e cooperazione al servizio di un futuro modellato dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità nell’intera famiglia umana» (127).

Anche i credenti rischiano di venire meno alla fraternità: mettendo le proprie appartenenze parziali al centro del mondo

Ma neanche alla Chiesa, comunità di fratelli, in cui “la fede colma di motivazioni inaudite il riconoscimento dell’altro” (85), sono bastate le ragioni etiche e la fede per acquisire in pieno il senso di questa fratellanza. “A volte mi rattrista il fatto che, pur dotata di tali motivazioni, la Chiesa ha avuto bisogno di tanto tempo per condannare con forza la schiavitù e diverse forme di violenza. Oggi, con lo sviluppo della spiritualità e della teologia, non abbiamo scuse. Tuttavia, ci sono ancora coloro che ritengono di sentirsi incoraggiati o almeno autorizzati dalla loro fede a sostenere varie forme di nazionalismo chiuso e violento, atteggiamenti xenofobi, disprezzo e persino maltrattamenti verso coloro che sono diversi”(86).

Il pericolo maggiore non sta nelle cose, nelle realtà materiali, nelle organizzazioni, ma nel modo in cui le persone le utilizzano. La questione è la fragilità umana, la tendenza umana costante all’egoismo, che fa parte di ciò che la tradizione cristiana chiama “concupiscenza”: l’inclinazione dell’essere umano a chiudersi nell’immanenza del proprio io, del proprio gruppo, dei propri interessi meschini. Questa concupiscenza non è un difetto della nostra epoca. Esiste da che l’uomo è uomo e semplicemente si trasforma, acquisisce diverse modalità nel corso dei secoli, utilizzando gli strumenti che il momento storico mette a sua disposizione. Però è possibile dominarla con l’aiuto di Dio. (166)

Un’utopia?

La consapevolezza di queste difficoltà può spingere molti lettori a pensare che il discorso del Papa si debba collocare nel novero delle utopie lontane da ogni realismo e da ogni logica. Ma il Papa respinge più volte questa interpretazione: “Riconoscere ogni essere umano come un fratello o una sorella e ricercare un’amicizia sociale che includa tutti non sono mere utopie. Esigono la decisione e la capacità di trovare i percorsi efficaci che ne assicurino la reale possibilità (180). “La creazione di quel bel poliedro dove tutti trovano un posto… un interscambio di offerte in favore del bene comune. Sembra un’utopia ingenua, ma non possiamo rinunciare a questo altissimo obiettivo” (191).Senza dubbio, si tratta di un’altra logica. Se non ci si sforza di entrare in questa logica, le mie parole suoneranno come fantasie. Ma se si accetta il grande principio dei diritti che promanano dal solo fatto di possedere l’inalienabile dignità umana, è possibile accettare la sfida di sognare e pensare ad un’altra umanità. È possibile desiderare un pianeta che assicuri terra, casa e lavoro a tutti. Questa è la vera via della pace, e non la strategia stolta e miope di seminare timore e diffidenza nei confronti di minacce esterne.(127)

E per chiarire le sue intenzioni il Papa indica chiaramente ciò che la fratellanza universale non è. Non è falso universalismo (101); non è solo “rispetto della libertà dell’altro” (103); non è “un’espressione romantica” (109); non è la somma di interessi individuali (105). Essa consiste invece nel riconoscere onestamente la dignità di ognuno e il diritto a svilupparsi integralmente come sancito dalla dichiarazione universale dei diritti dell’ONU (106-7). Per chi sa mettersi in questa prospettiva risulta evidente che aver cura della casa comune è meravigliosamente umano (117). Essere meravigliosamente umani o integralmente umani ci spinge ad accettare “la sfida di sognare e pensare un’altra umanità” (127) e di cercare “un’altra logica” per evitare che le parole di pace e di fratellanza suonino come infantili fantasie. Infatti non ci sono dubbi sul fatto che è difficile oggi dimostrare con le logiche del profitto come conciliare i benefici della globalizzazione con le esigenze di salvare le economie locali. È arduo parlare di etica del dono a chi ha in mente solo la logica del possesso. È quasi impossibile credere nel pacifismo in un mondo dilaniato da conflitti secolari e posseduto dalla logica della paura. Qualsiasi tentativo di conciliazione tra opposte esigenze cozza contro la logica del realismo storico, contro il ragionamento tecnico, e produce uno scetticismo diffuso. A partire dalle logiche utilitaristiche non ci sono risposte soddisfacenti alle domande che nascono dalle sofferenze delle donne e degli uomini del mondo contemporaneo. Oggi “si è verificata una frammentazione che ha reso più difficile risolvere i problemi che ci toccano tutti. Se qualcuno pensa che si trattasse solo di far funzionare meglio quello che già facevamo, o che l’unico messaggio sia che dobbiamo migliorare i sistemi e le regole già esistenti, sta negando la realtà” (7).

Desiderare una vita ‘bella’ può essere la guida per il cambiamento

Il fondamento del discorso sulla fratellanza universale esige allora un’altra logica i cui esiti oggi possiamo solo intravedere in un’immagine meravigliosa. Scrive Guardini: “Il regno a cui rimandano e da cui emergono le immagini sembra sia quello della visione. L’immagine come forma di saggezza che parla per se stessa rimane, anche se il pensiero razionalistico tenta di svalutarla. La psicologia dimostra che le immagini vivono nella profondità dell’inconscio. Di là esse salgono ad influenzare di continuo la zona della vita consapevole; incidono sull’attività involontaria del pensiero e sull’ispirazione creatrice; guidano l’intendere umano e formano una buona parte di ciò che si chiama coscienza vitale e che determina le prese di posizione verso cose e avvenimenti. (R. Guardini. L’opera d’arte, ed. Morcelliana, p.342). Il consenso che il Papa cerca in tutte le persone di buona volontà si basa quindi anche su ragioni estetiche, quelle che ci aiutano a sognare ad occhi aperti e che ci fanno vedere la fratellanza come una esperienza bella, desiderabile, capace di renderci felici. In questo non abituale modo di procedere mi sembra di poter scorgere una scelta per quella che Il Papa, nella Evangeli Gaudium, ha definito come via pulchritudinis: “Annunciare Cristo significa mostrare che credere in Lui e seguirlo non è solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore… Dobbiamo recuperare la stima della bellezza per poter giungere a far risplendere in essa la verità e la bontà del risorto”. Parole che riecheggiano l’appello del Cardinale Martini “Là dove verità e giustizia non sembrano più reggere, forse l’appello della bellezza può aiutare a ripensare questo insieme di verità, bontà e giustizia che appartiene alla pienezza del mistero trascendente rivelato”. (C. M. Martini, Lettera pastorale 1999).

Nell’enciclica gli appelli al valore della bellezza sono tanti: “Se potessimo riuscire a vedere l’avversario politico o il vicino di casa con gli stessi occhi con cui vediamo i bambini, le mogli, i mariti, i padri e le madri. Che bello sarebbe(230). “Se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita. È bello essere popolo fedele di Dio”(195). E ai numeri 149 e 150 “Il mondo cresce e si riempie di nuova bellezza grazie a successive sintesi che si producono tra culture aperte, fuori da ogni imposizione culturale… Conviene ricordare che la società mondiale non è il risultato della somma dei vari Paesi, ma piuttosto è la comunione stessa che esiste tra essi, è la reciproca inclusione, precedente rispetto al sorgere di ogni gruppo particolare. In tale intreccio della comunione universale si integra ciascun gruppo umano e lì trova la propria bellezza”. E alla fine il Papa conclude con l’invocazione allo Spirito Santo: “Vieni, Spirito Santo! Mostraci la tua bellezza riflessa in tutti i popoli della terra, per scoprire che tutti sono importanti, che tutti sono necessari, che sono volti differenti della stessa umanità amata da Dio. Amen”.

Una prospettiva che parla con la forza di un desiderio

Dire che il fondamento del concetto di fratellanza si trova anche a livello estetico non vuol dire che si tratti di una bella narrazione che può commuovere gli spiriti candidi, ma che l’immagine di una fratellanza universale ha un valore estetico e simbolico talmente efficace che si antepone ad ogni altra argomentazione razionale. Non perché essa sia in grado di dare risposte precise alle varie obiezioni che provengono da ovvi motivi realistici, ma perché la forza dei grandi simboli appartiene a quella sfera del nostro immaginario che spesso la fa da padrone nella storia della cultura e del nostro inconscio. È a partire dal sogno o dal desiderio di fratellanza che possiamo trovare le ragioni per indirizzare diversamente il nostro cammino. La salvezza si presenta spesso a noi in maniera confusa e incerta ma è il desiderio di essa la causa finale che guida i nostri passi e che trova espressione nelle rappresentazioni simboliche e nella loro bellezza. L’utopia della fratellanza universale, incarnata meravigliosamente dal povero San Francesco, allora non vuol dire “idea irrealizzabile che appartiene al mondo che non c’è”, sogno infantile da lasciare agli ingenui creduloni (come una cultura laica interpreta i “poveri di spirito”), ma vuol dire desiderio che accomuna popoli e nazioni, che può diventare un punto di riferimento per impegnarci a pensare razionalmente un diverso modello di vita e di sviluppo. “We have a dream!”. E la bellezza del sogno apre le porte alla giustizia nei rapporti sociali e alla verità del riconoscimento della dignità di ogni essere umano. Secondo la tradizione medievale il bello, assieme al vero e al bene, è uno dei trascendentali, cioè è una delle caratteristiche fondamentali dell’essere in relazione al soggetto conoscente. La bellezza non è artificio retorico per suscitare facile consenso, ma caratteristica di ciò che ci apre le porte della verità e del bene suscitando emozioni profonde che attingono al mistero profondo del nostro cuore. L’estetica teologica non è l’abbellimento dello stile comunicativo, non è retorica, non è cosmetica, ma è la ricerca del bello come momento rivelativo della verità. Nella bellezza prende forma lo splendore della verità, diceva San Tommaso. Quella verità che non sempre riusciamo a dimostrare esaurientemente ma che possiamo mostrare attraverso l’immaginazione simbolica e per la quale occorrono “occhi nuovi”. Nella bellezza lo spirito si ritrova in quella particolare forma di conoscenza che è il riconoscimento.

L’importanza della dimensione simbolica

Quando parliamo di fratellanza universale infatti siamo quasi ai limiti del linguaggio argomentativo, quando il segno linguistico e il suo valore semantico scompaiono quasi del tutto di fronte alla sua dimensione simbolica. “Una poesia può non avere molto senso sul piano semantico eppure produce molteplici effetti di senso dentro di noi. Anche la figura simbolica a volte non ci dice molto sul piano della conoscenza oggettiva e sembra sfidarla addirittura – (cosa vuol dire che siamo tutti fratelli?) – ma in compenso opera il nostro riconoscimento: noi ci ritroviamo in essa! Ci ritroviamo senz’altro assai meglio che in qualsiasi spiegazione razionale, poiché il reale umano non si lascia mai esaurire nel discorso; impossibile farne il giro completo: significherebbe annientarlo. Ci sarà sempre-ancora qualcosa da dire sul dolore o sull’amore (fraterno)… Il simbolo, tagliando corto, opera una specie di corto circuito del linguaggio, è come quel sempre-ancora-da-dire, quell’indicibile in cui l’uomo si ri-conosce. (S.L.Chauvet, Linguaggio e simbolo, ed. Elledici, p.54)

Non è un caso che alla fine il Papa, dopo aver ripreso il magistero tradizionale e le parole dei suoi predecessori, cita come suoi punti di riferimento alcuni personaggi simbolici che possiamo definire veri visionari: “In questo spazio di riflessione sulla fraternità universale, mi sono sentito motivato specialmente da San Francesco d’Assisi, e anche da altri fratelli che non sono cattolici: Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi e molti altri. Ma voglio concludere ricordando un’altra persona di profonda fede, la quale, a partire dalla sua intensa esperienza di Dio, ha compiuto un cammino di trasformazione fino a sentirsi fratello di tutti. Mi riferisco al Beato Charles de Foucauld.(286). Visionari che non credevano tanto nelle “dispute dialettiche” ma nella forza dell’esempio, come diceva Gandhi: “Più si sviluppa la bontà nella propria vita, più essa diventa contagiosa fino a sommergere l’ambiente che ci circonda”.

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