Durante la mia vita (ancora breve ma non troppo) ho avuto modo di assistere al proliferare di numerosi eventi, seminari, tavole rotonde, giornate mondiali sui giovani e la fede.
Ho partecipato a questi eventi e sono uscito quasi sempre non con un affresco di come sono, di come è la mia vita attuale, ma di come dovrei essere, di come dovrebbe essere il mio rapporto con Cristo, la Chiesa e la Fede.
Non nascondo che questo mi ha lasciato spesso dentro un vuoto, un senso di impotenza e inadeguatezza.
La distanza tra come ero e come sarei dovuto essere mi sembrava incolmabile.
Procedendo nella ricerca ho capito dove avveniva il cortocircuito di questi eventi che invece di avvicinare, allontanavano a volte irrimediabilmente.
In questi eventi i convitati di pietra, o addirittura gli esclusi erano proprio i giovani.
Mancando coloro che erano oggetto della discussione le premesse non potevano che essere inesatte se non del tutto sbagliate.
Per questo motivo ho deciso di rispondere (o almeno cercare di farlo) ad una domanda che poche volte mi sono sentito fare nella mia vita: cosa è per te essere cristiano a meno di trent’anni?
Per rispondere a questa domanda bisogna prima mostrare come è la nostra vita.
L’università ci prepara ad una vita che non è quella reale, la strada tracciata dagli esami cadenzati o ci illude che avremo sempre qualcuno che ci dice cosa fare, o ancora peggio che il voto dei nostri esami sia anche il voto della nostra persona. Per questo un 30 ci illude di essere un 30 come persona, un 18 invece ci relega ad una mediocrità di vita.
Ma con la fine dell’università i problemi non cessano, anzi aumentano.
La ricerca spasmodica di un lavoro, la desolazione di capire che quello che si è studiato non serve poi a così tanto.
A tutto questo si unisce un fenomeno nuovo, che le vecchie generazioni non hanno conosciuto fino in fondo, ovvero il dover salutare i propri amici e i propri amori, vedendoli partire per cercare quello che non sempre è il meglio in assoluto, ma spesso anche solo una mediocrità comunque migliore di quello che lasciano nella nostra città.
Ecco: in questo breve panorama, dove è la fede? Dov’è l’incontro con Cristo? Cosa significa essere cristiani?
Me lo sono domandato, e come me se lo sono domandati molti giovani, ma soprattutto solo pochi ce l’hanno davvero chiesto.
Essere cristiani da giovani, cosi come siamo oggi, significa la difficoltà di coniugare una vita insicura con il Vangelo.
Molti risponderanno che questo potrebbe essere un modo per avvicinarsi davvero a Cristo: vivere in periodo di crisi e incertezza ci avvicina agli apostoli, che lasciarono tutto per seguire Gesù. A questa risposta però devo obiettare che a differenza degli Apostoli noi non lasciamo il certo per l’incerto, lasciamo l’incerto per l’ancora più incerto.
E forse per questo motivo viene abbandonata la Fede, perchè invece di dare risposte o almeno speranze, pone più dubbi che si sommano a quelli che abbiamo.
Allora la risposta va cercata in altro, e non (a mio modesto avviso) nella speranza un po’ sempliciotta che la fede in Dio possa sopperire alle mancanze di questo mondo e colmarne le lacune.
La fede e l’essere cristiano da giovane invece mi ha messo di fronte alla necessità non di avere colmato dall’alto le lacune della vita, ma dargli un significato.
Questo cambia la prospettiva, l’incontro con Cristo non fa di Lui il risolutore della tua vita, ma una compagno di viaggio che ti spinge a buttare il cuore oltre l’ostacolo.
La Speranza ha animato la mia vita rendendola così cristiana, la Speranza di poter avere una vita che abbia un senso.
Il senso della vita così si declina in tutti i suoi gli aspetti: le relazioni di amicizia e familiari si innestano in un contesto di prospettiva, le relazioni amorose (in tutte la loro precarietà e insicurezza) acquistano l’aspirazione di non essere solo un modo per sfuggire dalla solitudine, ma la speranza di una vita costruita insieme.
E cosi si cerca di costruire una vita che non sia più solo autoreferenziale, non sia più rivolta al successo personale e isolato, ma l’incontro con Cristo mi ha fatto capire la necessità di una realizzazione comunitaria, che nasca dall’incontro con l’altro. Al centro del proprio progetto di vita non c’è più l’Io ma il Noi.
Senza cadere in facili entusiasmi, una vita così orientata non è una vita priva di insuccessi, cadute personali, anzi numerosi sono i momenti di sconforto, impotenza e errore ma è una vita che aspira ad acquistare giorno dopo giorno senso.
La bellezza di una sfida ad una vita che in Cristo trovi significato, è stato per lungo tempo assente nel dibattito sui giovani, riducendo spesso (non sempre e la mia esperienza lo dimostra) l’incontro con la Fede come un decalogo di precetti e regole da seguire che ci appaiono imposizioni a cui, a ragione, non vogliamo sottostare se non ci viene mostrato il significato profondo che si cela.
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