di Augusto Cavadi
Come rapportarsi agli immigrati che, da Sud e da Oriente soprattutto, approdano alle nostre coste o premono ai nostri confini di Stato? E’ una domanda a cui si può, si deve rispondere dal punto di vista dei criteri economici, dei processi sociologici, delle strategie politiche; ma anche, e prima di tutto, dal punto di vista culturale.
Chi sono gli stranieri per noi? Perché costituiscono un motivo di curiosità e di attrazione, ma molto più di turbamento e di repulsione? Le scienze umane – la psicologia in primis – possono aiutarci a rispondere, ma a patto di non limitarsi a un orizzonte sincronico esclusivamente contemporaneo. La nostra mentalità, i nostri sentimenti, il nostro ethos sono infatti radicati in una storia che parte dalle caverne e che, attraversandoci e oltrepassandoci, continuerà la sua corsa anche dopo la nostra generazione. E’ per questo indispensabile che studiosi specialisti ci aiutino a rintracciare almeno alcuni segmenti di questa storia che ci precede e ci traghetta verso il futuro.
Stranieri. Figure dell’Altro nella Grecia antica (Di Girolamo, Trapani 2014, pp. 158, euro 12,00) è il piccolo, ma denso e intenso, volumetto che Andrea Cozzo ha regalato a quanti vogliano gettare uno sguardo sui precedenti greci ed ellenistici del rapporto noi – loro. Un regalo che si apprezza innanzitutto per la serietà dei contenuti: gli aspetti positivi, apprezzabili, dell’ospitalità greca non vengono esaltati retoricamente in una delle solite enfatizzazioni del mondo classico, ma sobriamente affiancati agli aspetti negativi, o per lo meno discutibili. Ne viene fuori una rappresentazione della Grecia antica lontana da idealizzazioni da cartoline ottocentesche e, proprio per questo, più credibile. E, in ultima analisi, più affascinante. Il dono di Cozzo, stimatissimo docente di Lingua e letteratura greca all’Università di Palermo, è ancor più gradito perché egli intenzionalmente evita un registro comunicativo per soli accademici (e accademici del settore) e si rivolge, piuttosto, a un pubblico vasto, del quale presuppone un’istruzione media e una discreta dose di interesse per la questione.
E’ impossibile evocare, sia pur telegraficamente, i punti cruciali e gli spunti di riflessione della trattazione.
Mi limito dunque a osservare due caratteristiche. La prima, abbastanza prevedibile per chi conosce l’impegno teoretico e pratico dell’autore in favore della nonviolenza gandhiana, è che – senza insistenze didattiche né tanto meno forzature interpretative – Cozzo richiama pregiudizi e aperture dei nostri antenati che suggeriscono la revisione critica di pregiudizi e aperture di noi abitatori del XXI secolo. La seconda caratteristica, meno prevedibile se si tiene presente la posizione filosofica dell’autore che non si riconosce in nessuna confessione religiosa monoteistica, è lo spazio che dedica a pagine toccanti dei Padri della Chiesa orientale. Per esempio là dove viene riportato un passaggio esegetico di Clemente Alessandrino (fra il II e il III secolo dopo Cristo): a proposito dell’invito del Deuteronomio (23,7) a “non avere in abominio l’Egiziano, perché in Egitto sei stato straniero residente”, il teologo africano spiega che, per Egiziano, bisogna intendere “il pagano e ogni abitante del mondo” e aggiunge che Iddio “invita ad amare gli immigrati (tús epélydas) non solo come amici e parenti ma come se stessi, in corpo e anima”.
Come si evince da questi rapidi cenni, il libretto è pericoloso: se circolasse per le aule scolastiche, per le parrocchie e per le assemblee legislative potrebbe destabilizzare molte certezze e mettere in crisi le coscienze di quanti riteniamo che i Greci non abbiano più nulla da dirci e che il messaggio evangelico originario sia già stato metabolizzato dalle attuali generazioni di sedicenti credenti.
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