«Milioni di italiani»
In un’intervista al «Corriere della Sera» del 19 dicembre Matteo Salvini ha detto che, se verrà processato per la vicenda della nave Gregoretti, «idealmente in quel tribunale ci saranno con lui milioni di italiani».
Francamente, non si può non dargli ragione. È stato con spettacolari azioni come queste che l’allora ministro degli Interni ha raddoppiato, nei sondaggi, i suoi consensi e preparato il terreno a una serie di trionfi elettorali nelle elezioni regionali che si sono susseguite nei mesi successivi.
Gli italiani erano – e sono ancora – con lui non certo per la legge pensionistica sulla quota cento (sulla cui rilevanza e sui cui vantaggi reali emergono sempre più dubbi), e nemmeno per la cosiddetta “pace fiscale”, un condono mascherato che non rappresentava nulla di nuovo, ma per la sua ossessiva intransigenza contro gli immigrati.
È in questa linea che rientra anche l’episodio della nave «Gregoretti» e quindi anche per esso il leader leghista ha il pieno diritto di evocare la solidarietà ricevuta dagli italiani.
I fatti
Ricordiamo brevemente i fatti. Nel luglio scorso, mentre ancora era in carica il governo a maggioranza pentastellata e leghista, dal giorno 27 fino al pomeriggio del 31, la motovedetta «Gregoretti» della Guardia Costiera, che aveva soccorso e raccolto 131 naufraghi, è rimasta bloccata nel porto militare di Augusta (Siracusa) per ordine del ministro degli Interni, che aveva vietato lo sbarco delle persone a bordo.
In realtà ad essere competente sarebbe stato il ministro delle Infrastrutture Toninelli, dei 5stelle. Ma in questo, come in tanti altri casi analoghi, gli ordini li dava Salvini, senza che il collega trovasse nulla da obiettare. Come nulla da obiettare hanno avuto – in questo, come in tanti altri casi analoghi – il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e l’altro vice-premier, Luigi di Maio. Come nulla da obiettare ebbe l’opinione pubblica, solidale, come si è detto, con Salvini.
Un paradosso
A rendere la situazione paradossale, in verità, era il fatto che non solo questo diktat violava un’antichissima legge del mare, secondo cui delle persone in pericolo devono essere comunque soccorse, ma che quella a cui si negava lo sbarco non era una delle navi delle Ong, battenti bandiera olandese, tedesca, etc., accusate da Salvini di complicità e di interessi privati, bensì una nave militare italiana.
L’invito (a dire il vero con tono sprezzante), ripetutamente rivolto in altri casi, ad andare a cercare approdo nei rispettivi Paesi di provenienza, non poteva valere, dunque, in questo caso.
Non solo non si poteva ipotizzare alcuna forma di complicità, ma le persone a bordo della «Gregoretti» erano a tutti gli effetti già su territorio italiano e ogni limitazione dei loro movimenti equivaleva a una violenza nei loro confronti.
Il precedente della «Diciotti»
Non era, peraltro, una novità. Già nell’agosto del 2018, dal giorno 20 al giorno 26, la nave «Diciotti», della marina militare italiana, ancorata nel porto di Catania, non aveva avuto il permesso di far sbarcare i 177 immigrati raccolti in mare. Ancora una volta, l’ordine veniva dal ministro degli Interni.
Per questa vicenda, il Tribunale dei ministri di Catania aveva chiesto al Senato, il 24 gennaio scorso, l’autorizzazione a procedere contro Salvini. Ma in quell’occasione la richiesta era stata rigettata perché i 5stelle, contraddicendo platealmente una linea da sempre sostenuta in aspra polemica con la “casta”, avevano deciso di bloccare l’inchiesta giudiziaria nei confronti del loro collega di governo.
Contrordine per i 5stelle
Oggi il leader dei 5stelle dichiara che questa volta il suo partito voterà a favore dell’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini.
E, a chi gli fa notare l’incongruenza, spiega, «Il blocco della Gregoretti non fu un’azione decisa dal governo, ma dal ministro dell’Interno Salvini. In questo caso l’interesse pubblico prevalente non c’era, fu un’azione personale».
Ma la verità sembrerebbe un’altra
Spiegazione molto debole, in verità, se si tiene conto che quella «azione personale» fu compiuta alla luce del sole e con la solita grancassa mediatica che ha contraddistinto le scelte del premier leghista quando era al governo. Nessuno allora si oppose. Tutto si è svolto esattamente come nella vicenda della «Diciotti».
La verità che Di Maio non dice è che in entrambi i casi – come del resto in tutta la storia del Conte 1 – era Salvini a dettare l’ordine del giorno dell’intero governo , usando la sua carica come una vetrina mediatica e dimostrando già allora, con i fatti, la sua tendenza ad assumere «i pieni poteri» (che ora spera di aver anche in via ufficiale dalle future elezioni).
La differenza sta solo nel fatto che questa seconda richiesta di autorizzazione a procedere viene presentata in un momento in cui i pentastellati non sono più alleati della Lega, anzi hanno il dente avvelenato per essere stati abbandonati, dopo tante solenni assicurazioni di fedeltà. Si può dar torto a Salvini quando dice che le giustificazioni portate da Di Maio sono quelle di «un uomo piccolo»?
«Vox populi vox Dei»?
Il processo a Salvini, dunque, se si farà, sarà non a un singolo, ma a un’intera stagione di governo – la peggiore, a modesto avviso di chi scrive – che l’Italia repubblicana abbia vissuto.
Ma questo, per quanto grave, non sarebbe decisivo se non fosse anche, come dice Salvini, il processo a un popolo che, in percentuali elevatissime, ha approvato, sostenuto e premiato comportamenti che, secondo il nostro ordinamento giuridico, sono criminali.
Qualcuno obietterà che, in democrazia, il popolo ha sempre ragione. Non sto a sprecare gli esempi di feroci dittatori saliti al potere con travolgenti maggioranze elettorali o, almeno, con il pieno favore della popolazione. Chi ha studiato un po’ di storia li conosce. Già Manzoni ironizzava sul detto «vox populi vox Dei».
No, la voce del popolo non è quella di Dio. Dobbiamo ricordarcelo, oggi che almeno metà degli italiani si riconosce nella linea di Salvini e nei partiti che si accingono a battersi per bloccare, anche questa volta, il procedimento giudiziario a suo carico. Il diritto di processare un potente non è contro la democrazia, ma la garanzia del suo effettivo esercizio.
I limiti del potere
Non è la voce di Dio, ma quella di questi partiti, a dirci che un governante ha il diritto di violare le leggi che valgono per tutti gli altri cittadini, invocando la sua personale interpretazione del bene comune.
Chi governa ha il diritto – anzi a volte il dovere – di fare scelte non condivise, ma la democrazia si distingue dalla dittatura perché queste scelte vengono fatte comunque nel rispetto delle norme su cui si regge la convivenza civile, tanto più quando queste norme non riguardano cose materiali, ma la dignità e i diritti di esseri umani.
Se è vero, come ipotizza il Tribunale dei ministri (formato da magistrati ed espressione del potere giudiziario, secondo la logica democratico-liberale della separazione dei poteri), che queste norme sono state gravemente violate, è giusto che ciò venga sanzionato, chiunque sia ad aver compiuto questa violazione e qualche sia la motivazione ideologica in base alla quale l’ha compiuta.
«Ritengo che sia una vergogna che un ministro venga processato per aver fatto l’interesse del suo Paese», ha protestato Salvini.
Una maggiore consuetudine con gli studi storici gli avrebbe aperto gli occhi sul fatto che la storia è piena di politici che si sono comportati come criminali – e come tali sono stati valutati, a volte anche in sede giudiziaria – per avere cercato di fare gli interessi del proprio Paese abbandonandosi a un delirio di onnipotenza che li ha portati a superare il confine tra ciò che è giusto e ciò che non lo è – più radicalmente, tra l’umano e il disumano.
Oltre il diritto
Con questo il discorso andrebbe anche oltre il problema della legalità – che rimane comunque quello obiettivamente riscontrabile in questa vicenda – e coinvolgerebbe i limiti che l’etica pone alla politica.
Il punto debole di chi, appellandosi a Machiavelli, proclama la separazione tra le due sfere, è che non ha più il diritto di indignarsi per quello che hanno fatto o fanno gli “altri”. Varrebbe solo la legge del più forte.
Se invece si dice, come fa Salvini, che «è una vergogna» processarlo, se cioè ci si appella appunto alla morale, bisogna rispondere anche su questo piano delle proprie azioni.
L’innocenza delle brave persone
In questa sede, peraltro, ci basta il richiamo al diritto.
Non so se, alla fine, il processo per la vicenda Gregoretti si farà o no. Ma, in caso affermativo, mi piacerebbe che tante brave persone che si indignano per ogni violazione delle regole e invocano a gran voce il rispetto delle leggi, sicure della propria innocenza – persone che però hanno applaudito e incoraggiato atti ripetuti di inaudita violenza su esseri umani indifesi – si rendessero conto che, come dice Salvini, questo processo riguarda anche loro.
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