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I Chiaroscuri – Il peccato esiste ancora?

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A quanto pare, l’unico Colombo che fra poco verrà ricordato negli Stati Uniti sarà Peter Falk, il “tenente Colombo”, protagonista di una famosa serie televisiva trasmessa anche in Italia. Dell’altro, Cristoforo, navigatore a cui è tradizionalmente attribuita la scoperta dell’America, gli americani non vogliono più sapere. Nel giro di pochi giorni, un monumento a lui dedicato, a Baltimora, è stato distrutto; una statua, a Houston, nel Texas è stata dipinta rosso-sangue; a un’altra sua statua, a Detroit (Michigan), è stata incollata in testa un’ascia, e anche in questo caso, il monumento è stato imbrattato di rosso; un suo busto in bronzo, in un parco di Yonkers, vicino New York, è stato decapitato; sempre in questa zona, nel Queens, un monumento a lui dedicato è stato riempito di graffiti che invitavano a distruggerlo; e in Minnesota è in corso una petizione popolare per sostituire la statua del navigatore con quella del cantante Prince.

Su questa stessa linea, a New York una commissione istituita dal sindaco Bill De Blasio ha inserito il monumento a Colombo (uno dei simboli della città), in Columbus Circle, nell’elenco dei monumenti da abbattere perché considerati discriminatori; e, a Los Angeles, il consiglio comunale ha deciso di cancellare la festa annuale del Columbus day, sostituendola con la “Giornata dei Popoli Nativi e Indigeni”, come d’altronde hanno fatto da tempo, altre città americane, tra cui Seattle e Denver.

Il motivo di questa ondata di avversione collettiva è l’accusa rivolta a Colombo da più parti di essere stato un persecutore degli indigeni. Un’accusa che sembra aver trovato conferma in alcuni documenti, scoperti qualche anno fa negli archivi spagnoli, contenenti gli atti del processo a cui il navigatore fu sottoposto, dopo essere stato destituito dalla sua carica di governatore di Santo Domingo, processo conclusosi con la sua condanna e il suo imprigionamento.

Secondo Consuelo Varela, una storica di Siviglia, che ha avuto la possibilità di studiare i manoscritti e ha scritto, a partire da essi, un libro, «La caduta di Cristoforo Colombo», nella sua qualità di governatore Colombo esercitò il proprio potere con spietata durezza, infliggendo ai suoi sottoposti torture e angherie che neppure la Corte spagnola, tutt’altro che tenera con gli indios, poté tollerare.

columbus-866779_640Lascio agli storici la verifica della fondatezza di questo ritratto, tutt’altro che lusinghiero, del navigatore genovese. Quello che qui mi interessa notare, con piacere, è che le reazioni collettive nei suoi confronti sono il sintomo di una indignazione dal forte contenuto etico e rivelano un deciso rifiuto di venire a compromesso con il male. Dove con questo termine non si devono intendere le perdite che l’umanità subisce senza esserne la causa – il male come sofferenza, malattia, catastrofi naturali – , ma ciò che di negativo le persone mettono in atto con le loro scelte e che la tradizione cristiana ha chiamato “peccato”.

Viviamo in un’epoca in cui questo termine, ma soprattutto il concetto corrispondente, non godono buona stampa. Nessuno si ritiene più peccatore. La caduta perpendicolare della frequenza del sacramento della riconciliazione, nel mondo cattolico, dice che anche fra i credenti si preferisce parlare di “problemi” – per cui rivolgersi allo psicologo – piuttosto che di “peccati”, da confessare a un prete.

In questa logica molti hanno interpretato anche il magistero di papa Francesco. Già su «Repubblica» del 29 dicembre 2014 Eugenio Scalfari sosteneva che Francesco è un pontefice «rivoluzionario», perché «ha abolito il peccato». Scriveva Scalfari che il papa «abolisce il peccato servendosi di due strumenti: identificando il Dio cristiano rivelato da Cristo con l’amore, la misericordia e il perdono. E poi attribuendo alla persona umana piena libertà di coscienza». Non rendendosi conto, forse, che proprio l’insistenza di Francesco sulla misericordia e il perdono ha senso solo se si ammette l’esistenza di peccati e di peccatori da perdonare, e che la «piena libertà di coscienza» si pone sempre come scelta fra il bene e il male.

Il grande e coraggioso messaggio dell’Amoris laetitia, con la sua sottolineatura del ruolo della coscienza del soggetto e il rifiuto di ridurre la morale a un mero rispetto esteriore di regole precostituite, non poteva non dar luogo a ulteriori equivoci da parte di chi l’ha voluto leggere, forzandone il significato, in chiave di totale relativismo etico. Quello che si fa, secondo questa lettura, non conterebbe nulla: l’importante sarebbe solo il modo in cui la coscienza del soggetto lo percepisce. A questo punto, non solo non si può giudicare l’intimo delle persone (che è quanto anche il Vangelo insegna), ma neppure si possono dare valutazioni dei loro comportamenti oggettivi.

È appena il caso di ribadire che non è ciò che il documento dice. Ma questo modo di interpretarlo si inserisce perfettamente nel contesto culturale attuale.

Sono perciò contento che, almeno per le torture inflitte da Colombo agli indios, nessuno stia tirando fuori il problema del suo grado di consapevolezza e sulla sua percezione soggettiva di quanto faceva. Era male e basta. Nessuno, tranne Dio, può mandare Colombo all’inferno. Questo riguarda solo lui e il suo Creatore. Ma si può dire che il suo modo di agire lo qualifica, dal punto di vista cristiano, come un peccatore. Da perdonare, certo, non però da assolvere automaticamente da ogni responsabilità.

Qualcuno resterà perplesso per la menzione dell’Amoris laetitia, che tratta dei problemi morali in rapporto alle questioni personali e non a quelle di natura collettiva e storica. In realtà il discorso di papa Francesco ha rivalutato l’importanza della coscienza non solo nella vita matrimoniale, ma in generale. Vale in generale, perciò, il senso che egli dà a questa rivalutazione, in linea con tutta la tradizione cristiana, che non è di abolire la gravità oggettiva del peccato, ma di rispettare il mistero del singolo, che ne è responsabile in misura assai diversificata a seconda delle situazioni. Sia nella sfera privata che in quella pubblica, però, il peccato rimane come un male drammatico, nei cui confronti è giusto prendere posizione con fermezza.

Non sono sicuro che i fautori dell’abolizione del Columbus day siano consapevoli che questa presa di posizione nei confronti del male non può riguardare solo le colpe nei confronti degli indios, ma tutto un complesso di comportamenti pubblici e privati, del passato e del presente, che richiederebbe forse, anche da parte loro, un onesto esame di coscienza. È più facile indignarsi per i peccati degli altri. Ma mi rassicura sapere che gli esseri umani, nel tempo della crisi della morale, sono ancora in grado di distinguere il bene dal male.

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