Le “grandi manovre” in vista delle ormai vicine elezioni regionali siciliane si sono concentrate, in questi giorni, sulla scelta dei candidati. Si è parlato molto dell’operazione condotta in prima persona dal sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, per coagulare il centrosinistra intorno al nome del rettore dell’Ateneo del capoluogo dell’Isola, Fabrizio Micari. Si è parlato molto delle oscillazioni del centro-destra, diviso tra Armao e Musumeci. Solo i 5stelle fin dal primo momento hanno trovato, dopo le divisioni che hanno travagliato il movimento in occasione delle amministrative, una sicura convergenza sulla candidatura di Cancellieri.
Questo impegno a scegliere con cura coloro che eventualmente dovranno governare la Sicilia sembra rientrare perfettamente nella logica della democrazia. Il cittadino pedante, però, potrebbe forse far notare che la focalizzazione sulla ricerca dei nomi non è stata accompagnata da un’altrettanto accurata riflessione, e tanto meno da un serio dibattito, sui programmi e sulle cose da fare. Tutto si svolge come se si trattasse di comporre un complicato puzzle tra le diverse forze partitiche, con l’obiettivo non tanto di trovare soluzioni per i gravissimi problemi dei siciliani, quanto di mettersi d’accordo sui loro reciproci equilibri.
Dei programmi, da qualche parte, sicuramente ci saranno, ma non sembrano interessare a nessuno. Si parla tanto di “svolta”, dopo la disastrosa esperienza di questi ultimi anni, ma nessuno dice come intende “svoltare”. Di obiettivi concreti, di mezzi adeguati per raggiungerli, non si parla. Nella sua conferenza stampa, per esempio, il candidato del centro sinistra ha sottolineato la gravità del problema dei giovani: «Non possiamo disilludere i giovani, dobbiamo creare le condizioni e le opportunità perché possano crescere in questa terra». Giustissimo. Ma sono parole che esprimono una generica aspirazione, condivisibili peraltro da qualunque altro dei candidati in campo, non un programma, anzi neppure un progetto. Né gli altri sembrano in grado di dire di più. E il cittadino pedante potrebbe osservare che, a questo punto, gli si sta chiedendo una firma in bianco, un atto di fede che purtroppo, dopo tante disillusioni, gli è molto difficile fare.
Anche perché le forze politiche in gioco in questa tornata elettorale sono sostanzialmente le stesse che si confrontarono nelle precedenti elezioni regionali. Anche allora fu chiesta agli elettori un atto di fiducia. Alcuni lo fecero e votarono. I risultati sono sotto i nostri occhi.
Già allora, per la verità, molti non si fidarono dei nomi e delle parole senza contenuto concreto e non si degnarono neppure di andare alle urne: il 52,58% degli aventi diritto. Possiamo e dobbiamo deprecare questa scelta, la peggiore possibile, ma anche riconoscere in essa lo specchio del distacco fra una classe politica assolutamente autoreferenziale e le reali esigenze dei siciliani.
È proprio per superare questo distacco che oggi le forze della politica cercano di trovare credibilità puntando sulla società civile. È in questa logica che Leoluca Orlando ha proposto la candidatura di Micari, sottolineando che la scelta non veniva calata dall’alto, dalle segreterie dei partiti. È in questa logica che Armao ha creato il movimento dei “Siciliani indignati”. È in questa prospettiva che si muovono da sempre i 5stelle, enfatizzando il loro stile di consultazione sul blog per arrivare alle comuni decisioni finali.
Ma il cittadino pedante, pur prendendo atto delle buone intenzioni che ispirano alcuni di questi sforzi, obietterà che “pescare” un nome o l’altro dalla società civile non significa affatto rendere quest’ultima protagonista. Perché, per questo, gli sforzi si sarebbero dovuti concentrare – molto tempo fa! – sulla capillare, sistematica educazione alla cittadinanza di elettori in grado di individuare almeno per grandi linee, possibili soluzioni ai problemi della Sicilia e di esprimere davvero, per portarle avanti, dei loro rappresentanti – invece di vederseli appioppare dalle alleanze tra i notabili. In mancanza di ciò, l’appello alla società civile rischia solo di mascherare il fatto che a continuare a governare saranno, evidentemente, le forze partitiche che stanno sostenendo il nuovo candidato, visto che costui, in mancanza di una base elettorale propria, di una squadra, di un’esperienza, di un progetto personalmente maturato, in caso di vittoria non potrà che affidarsi a coloro che lo hanno sostenuto e alle loro vecchie logiche.
Ancora più grave è l’equivoco se a rivendicare un ruolo di portavoce della società civile – enfatizzato dal titolo di “siciliani indignati” – è un movimento costituito da persone che per molti anni, a livello di governo e/o di sottogoverno, hanno gestito gli interessi della nostra Isola, con i risultati che vediamo e che veramente meritano l’indignazione di tutti (tranne che proprio di coloro che ne condividono la responsabilità). In nome del ritorno della “società civile”, ciò che di più vecchio c’è nella politica siciliana pretende qui di presentarsi come nuovo.
Quanto alla “democrazia” dei 5stelle, pur dando atto che i loro rappresentanti regionali sono stati gli unici a seguire uno stile di coerente rinunzia all’arricchimento privato, essa poggia – come troppe esperienze ormai mostrano con evidenza – su un populismo ingenuamente convinto di poter fare a meno di un’adeguata cultura politica e perciò carente sia di idee che di reali capacità amministrative, che consegna il popolo pentastellato alle giravolte umorali del suo leader, facendolo passare “democraticamente” da una posizione a quella opposta nel giro di poche ore.
Alla fine, il cittadino pedante – con cui purtroppo devo identificarmi – , ben lungi dall’essere rassicurato da questa rincorsa alla società civile, trova in essa un’ennesima conferma della difficoltà del mondo politico siciliano a darle veramente voce. Ma, per fortuna, non è finita qui! La società civile siciliana delle risorse le ha già. Deve però crescere, coinvolgendo in un processo di sempre maggiore consapevolezza e di responsabile partecipazione soprattutto le larghe fasce di popolazione che vivono ai margini della politica (e che hanno fatto sentire il loro assordante silenzio anche nelle ultime amministrative). Forse si può pensare fin da ora a promuovere quel lavoro di formazione alla cittadinanza di cui prima si parlava. Da qui possono emergere un dibattito, delle idee, delle proposte, rispetto a cui poi la scelta di eventuali candidati per le future elezioni sarebbe solo il coronamento. Per non trovarci di nuovo a scegliere, fra cinque anni, tra una società civile che pretende di governare senza la mediazione di una reale preparazione politica, e una classe politica che si serve della società civile pretendendo, così, di valorizzarla.
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