Il fatto di cronaca
Merita alcune considerazioni la vicenda dell’insegnante, Rosa Maria Dell’Aria, 63 anni, docente di italiano da 30 anni nell’Istituto industriale Vittorio Emanuele III, a Palermo, che è stata sospesa per due settimane dall’Ufficio scolastico regionale, con stipendio dimezzato, per non aver vigilato sul lavoro dei suoi studenti 14enni i quali, nella Giornata della memoria dello scorso 17 gennaio, avevano presentato un power point da loro elaborato, in cui si accostava il “Decreto sicurezza” voluto dal ministro degli Interni Salvini alle leggi razziali del 1938.
A denunziare le “colpe” della docente era stato un attivista, collaboratore di siti di estrema destra come “Vox” e “Primato nazionale”, con un tweet indirizzato al ministro (leghista) della Pubblica Istruzione (Miur) Marco Bussetti: «Salvini-Conte-Di Maio? Come il reich di Hitler, peggio dei nazisti. Succede all’Iti Vittorio Emanuele III di Palermo, dove una prof per la Giornata della memoria ha obbligato dei quattordicenni a dire che Salvini è come Hitler perché stermina i migranti. Al Miur hanno qualcosa da dire?».
Le reazioni
Il giorno dopo la sottosegretaria ai Beni culturali Luisa Borgonzoni (anche lei, guarda caso, leghista) è intervenuta su Facebook: «Se è accaduto realmente» – ha scritto – «andrebbe cacciato con ignominia un prof del genere e interdetto a vita dall’insegnamento. Già avvisato chi di dovere».
In effetti l’ispezione dell’Ufficio scolastico regionale è arrivata puntualissima. «Abbiamo ricevuto una segnalazione dal ministero, ma eravamo già al corrente di quanto accaduto» — spiega il provveditore Marco Anello —. «La libertà di espressione non è libertà di offendere e l’accostamento delle leggi razziali al decreto sicurezza è una distorsione della realtà».
Risultato: la grave sanzione disciplinare a carico della professoressa Dell’Aria. Ma forse non è neppure finita lì: ultimamente a scuola è arrivata perfino la Digos che sta verificando l’accaduto parlando con preside e professori.
Storia e presente nell’istruzione
La prima considerazione che sorge spontanea, sulla scorta di queste notizie, riprese dai giornali, è che c’è ancora qualche professore – e forse, per fortuna, non sono così pochi – che ritiene essenziale collegare il passato al presente.
Troppe volte, nelle aule scolastiche, all’enorme mole di studi storici – non solo la “Storia” propriamente detta, ma la “Storia della letteratura italiana”, la “Storia dell’arte”, la “Storia della filosofia”, etc. –, non corrisponde la capacità della scuola di insegnare a leggere questo passato alla luce del presente, pur nel rispetto dei diversi contesti, per cogliere meglio il significato e la direzione delle situazioni odierne.
Accade così che i ragazzi si annoino a imparare una serie di nozioni che sembrano non riguardare la loro vita reale, ed escano alla fine del tutto impreparati ad affrontare i problemi personali e collettivi che li attendono. Significativo il distacco delle nuove generazioni dalla politica e il declino di tutte le forme di partecipazione, compresa quella alle scadenze elettorali, che registrano a un assenteismo sempre più accentuato.
“Vigilare” sulle ricerche personali degli studenti
La professoressa Dell’Aria ha mostrato di essere all’altezza della sua funzione professionale proponendo ai suoi alunni, già durante l’estate, delle letture che stimolavano la loro riflessione e che essi, liberamente, hanno sentito il bisogno di tradurre in una ricerca personale (hanno 14 anni, non sono bambini!) in cui passato e presente, periodo fascista e situazione italiana odierna, venivano messi in relazione.
Sulla validità o meno di questa interpretazione si potrà, naturalmente, discutere, come sempre quando si valutano i fatti storici: ma quello che conta, a scuola, non sono le risposte, bensì le domande, perché non si tratta di indottrinare, ma di aiutare gli studenti a sviluppare il loro senso critico e a esercitarlo, quale che sia l’esito dei loro tentativi.
Non è in gioco, dunque, solo la «libertà di espressione», ma la stessa libertà di pensiero. E non della professoressa, bensì dei suoi ragazzi.
Perché è di questo che –con palese marcia indietro rispetto alle parole del provveditore e, più a monte, del tweet che l’accusava – le viene ufficialmente addebitato: di non avere «vigilato» sul lavoro dei suoi alunni, e di non avere così impedito loro di pensare e di dire quello che pensavano.
Nessun insulto a nessuno: solo un giudizio storico – peraltro non della docente ma degli studenti.
Insegnanti e studenti oggi
Da qui una seconda considerazione riguardante il rapporto che questo provvedimento suppone debba correre tra insegnanti e studenti.
Una visione indegna della scuola e che, peraltro, non ha più alcun collegamento con la realtà dei rapporti tra le generazioni.
Oggi i giovani non accettano più censure e steccati imposti dagli adulti. In nessun ambito. E credere che la scuola faccia eccezione solo perché c’è l’arma del voto e delle sanzioni disciplinari è cecità.
Se anche avesse voluto, la prof. Dell’Aria non avrebbe potuto impedire ai suoi studenti di pensare quello che hanno pensato e detto.
E se ci avesse provato, in nome del principio di autorità, avrebbe solo screditato questa autorità, che per un insegnante dev’essere quella della ragione e non quella della costrizione.
Scuola e politica
Una terza considerazione riguarda il ruolo della politica a scuola. All’inizio di quest’anno scolastico in un tweet Salvini aveva scritto: «Per fortuna che gli insegnanti che fanno politica in classe sono sempre meno, avanti futuro!».
Il punto è che la politica – forse il nostro ministro degli Interni a scuola non lo ha apppreso – non ha nulla a che fare con la propaganda per un partito o per un altro, perché è l’impegno per il bene comune.
Educare i giovani a questo impegno dovrebbe essere uno degli scopi fondamentali della scuola, su cui dovrebbero convergere le diverse discipline, ognuna col suo contributo specifico.
E dobbiamo dire che le disgrazie della nostra democrazia – dall’astensionismo dilagante al populismo – risalgono proprio all’incapacità della scuola di aprirsi ai problemi della comunità politica e di insegnare ai ragazzi a leggerli e discuterli criticamente, nella varietà delle opinioni.
Ben venga, allora, il tentativo degli alunni della prof. Dell’Aria di “fare politica”, nel modo consono a un’istituzione culturale com’è quella scolastica, cioè con delle argomentazioni (anche se eventualmente discutibili).
Nel merito della questione
Una quarta considerazione riguarda, infine, il merito della questione.
Finora ho cercato di mostrare che la sanzione disciplinare contro la docente del Vittorio Emanuele III è in contrasto con la logica della scuola – anche se il collegamento fatto dai suoi alunni tra le leggi fasciste e il “Decreto sicurezza” fosse infondato.
Voglio dire adesso, prima di concludere questo articolo, che personalmente ritengo questo collegamento assolutamente corretto.
Non certo nel senso che Salvini sia fascista come lo fu Mussolini. È ovvio che nella storia non si riproducono mai le stesse situazioni e anche le tendenze di fondo cambiano volto di epoca in epoca. Però si possono riscontrare delle inquietanti analogie tra quello che fu il fascismo e quello che oggi, in modo diversi, cerca di fare il nostro vicepremier.
E la prova migliore di questo è proprio l’intervento autoritario e repressivo con cui si è voluto non solo punire un docente, ma soprattutto intimidire tutti gli altri, spingendoli a «vigilare» sui loro alunni perché non pensino troppo.
Stile squisitamente fascista. Da ora in poi, prima di permettere ai propri alunni di discutere una questione di attualità, specie se confinante con la politica, molti professori ci penseranno due volte, nel timore che un tweet li accusi di avere insultato chi sta al potere, mettendoli nei guai.
Molti altri, per fortuna, non si piegheranno. È affidata a loro la speranza che la nostra scuola non soccomba al nuovo fascismo incombente.
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