La pandemia e la trasformazione dei termini dello scontro politico
Le proteste di questi giorni contro l’obbligatorietà del green pass – tra esplosioni di violenza urbana e forme pacifiche di contestazione – evidenziano una reale spaccatura del Paese. A fronte di una maggioranza silenziosa che sembra appoggiare le misure del governo, c’è una parte consistente della popolazione che, in modo assai più rumoroso, manifesta il proprio dissenso.
La pandemia, se da un lato ha sicuramente contribuito a svuotare il dibattito politico dei suoi temi tradizionali – portando all’estremo quell’indebolimento delle ideologie dei partiti già in atto da molto tempo, ma mai così evidente come nella stagione del governo Draghi –, dall’altro ha fatto nascere nuove motivazioni per lo scontro tra “destra” e “sinistra”. Al conflitto sulle questioni riguardanti la giustizia sociale, da tempo in secondo piano – ma anche a quello sull’accoglienza o meno dei migranti, ancora attuale fino a due anni fa –, è ormai subentrata la battaglia sulla gestione della pandemia, sui vaccini e, ultimamente, sul green pass.
Fa riflettere il fatto che, su un terreno diverso e con “maschere di scena” diverse, a fronteggiarsi siano sempre gli stessi partiti antagonisti, da una parte la Lega e i Fratelli d’Italia, dall’altro il Pd e, ormai, i 5stelle. È un caso? Sembra difficile ipotizzarlo. Quello che colpisce è però il fatto che essi portano nella loro nuova contesa il peso delle rispettive contraddizioni di sempre. Contraddizioni che non riguardano le loro singole scelte, ma nascono da una impostazione culturale profonda che le ispira e che si manifesta ampiamente nelle ragioni dei loro rispettivi sostenitori sui social o, come negli ultimi giorni, nelle manifestazioni di piazza.
Le contraddizioni della “destra”…
Così, per quanto riguarda gli oppositori del green pass, si accusa questa misura di creare degli emarginati, di dividere il Paese in cittadini di serie A e di serie B, a dispetto dell’uguaglianza di tutti sancita dalla nostra Costituzione.
Addirittura si paragona l’obbligo di averlo e di esibirlo a quello di portare la stella di Davide, imposto agli ebrei dal regime fascista nel 1941, come segno di discriminazione.
Il discorso critico in alcuni casi è ancora più radicale: il green pass viene visto come uno strumento per controllare e condizionare in modo sistematico la libertà degli italiani. Sarebbe in atto un tentativo di svuotare il senso della nostra democrazia, lasciandone intatto l’involucro, ma avviando processi liberticidi che tendono a imporre una forma più sottile di totalitarismo.
Stupisce un po’ che a sostenere simili argomenti siano forze politiche, come la Lega e Fratelli d’Italia, che alle disuguaglianze sociali non sono mai state particolarmente attente. Perché non è certo il green pass che sta introducendo per la prima volta delle discriminazioni tra i cittadini italiani. Basta guardare alle spaventose differenze di reddito e, più in generale, di ricchezza, che, nel nostro Paese, dividono drammaticamente la popolazione in una maggioranza di disagiati o addirittura di poveri, e in una minoranza di ricchi.
Secondo i dati forniti dal «Sole24ore», il 20% degli italiani detiene quasi il 70% della ricchezza nazionale, un altro 20% nel possiede il 16,9%, mentre il 60% più povero possedeva appena il 13,3% della ricchezza del paese.
È il risultato ovvio di una politica che ha messo sistematicamente in secondo piano, al di là della retorica d’obbligo, il problema della giustizia sociale, lasciando che i ricchi diventassero sempre più ricchi, che il ceto medio si impoverisse e che i poveri diventassero sempre più poveri.
È significativo che ormai da decenni si agiti lo spettro delle tasse come un inaccettabile «mettere le mani nelle tasche degli italiani» (Berlusconi), dimenticando che la redistribuzione fiscale si basa sul fatto che il successo economico dei singoli non è solo frutto della loro bravura o della loro fortuna, ma del lavoro di un’intera società, senza cui gli individui non sarebbero in grado neppure di studiare e di trovare un lavoro. Perfino la tassa sulle successioni è, in Italia, la più bassa a livello europeo, con aliquote che oscillano tra il 4 e l’8%, mentre in Germania oscilla tra il 7% e il 50%, in Spagna tra il 34% e l’86%, in Francia tra 5% al 60%, in Gran Bretagna è del 40%. Denaro che dovrebbe essere investito per redistribuire la ricchezza e aiutare le categorie di cittadini meno abbienti.
Colpisce che gli stessi partiti che, per usare l’espressione del responsabile economico della Lega, Alberto Bagnai, «alzano barricate» contro ogni proposta volta a ridurre questa e altre discriminazioni economico-sociali, si levino a protestare vigorosamente per quella costituita, a loro dire, dal green pass.
Quanto al paragone con la persecuzione nei confronti degli ebrei e all’analogia tra il green pass e la stella di Davide, francamente ci si stupisce che delle persone sicuramente intelligenti lo abbiano fatto. Perché qui non si tratta di discriminare nessuno in base alla sua identità – sia essa quella razziale o di genere, o altro – ma di prendere atto di scelte che dipendono dalla sua volontà e che si ritiene incidano sulla comunità. Si può discutere sulla validità dei criteri con cui queste scelte vengono valutate, ma siamo lontanissimi dalla logica del razzismo o di qualunque altra distinzione fatta in base al modo di essere delle persone. Qui si valutano le loro azioni, come sempre fanno la legge e le istituzioni, distinguendo quelle conformi al bene comune e quelle contrarie ad esso.
…e quelle della “sinistra”
Ma anche la “sinistra”, nella sua battaglia per la difesa del bene comune, non sembra brillare per coerenza. Da molti anni, ormai, essa ha abbandonato i grandi temi della giustizia sociale per concentrarsi ossessivamente sui diritti individuali e sulla necessità che la legge privilegi, rispetto a criteri universali (e perciò anche sempre discutibili) di ordine etico, la libera scelta di singoli.
Paradossalmente, è la cultura individualista e libertaria promossa dalla “sinistra” che oggi viene utilizzata dalla “destra”. In fondo, proprio Fratelli d’Italia, un partito che ha tra i suoi sostenitori anche nostalgici del fascismo, sarebbe di per sé il meno adatto a difendere le libertà individuali contro il volere dello Stato… È proprio il modello tardo-liberale della nostra “sinistra”, che mette in esclusivo rilevo i diritti degli individui e in secondo piano i doveri verso la comunità, a dare forza, nell’opinione pubblica, agli argomenti di chi dice “il corpo è mio e ne faccio quello che voglio” (lo slogan scandito in passato nelle manifestazioni a favore della legge sull’aborto e oggi ripreso, esplicitamente o meno, da chi rifiuta di vaccinarsi).
Questa ideologia è l’unica sopravvissuta alla crisi che ha portato a dichiararle tutte “morte”, perché è riuscita a camuffarsi da semplice constatazione della realtà (il massimo successo concepibile per una ideologia!). Essa ci ha disabituato a concepire la comunità civile come una cooperazione di tutti in vista di un bene comune, sotto la guida di un’autorità – quella dello Stato – che non è soltanto garante del corretto svolgimento del gioco (questo lo fanno pure le guardie di “Squid game”), ma custode di valori etici, e che in nome di essi può chiedere ai cittadini, anche quando non sono d’accordo, di obbedire alle sue scelte, sempre che siano prese, come in questo caso, nel rispetto delle regole della democrazia parlamentare.
Se invece ognuno è proprietario del suo corpo e non deve rispondere a nessuno delle scelte che lo riguardano, diventa difficile sostenere che non è così solo quando si tratta dei vaccini e del green pass.
Non sappiamo come finirà questo acceso dibattito. Sarebbe bello che esso fosse l’occasione per i suoi protagonisti – non solo per i partiti, ma per tutti i cittadini, per la gente comune – di interrogarsi, una volta tanto sulle proprie premesse ideali. Purtroppo la crisi delle ideologie (o il loro mascheramento) ha segnato anche quella delle idee. Lo scenario politico ne è una prova evidente. E se la battaglia sul green pass ci spingesse, una volta tanto, a riflettere seriamente su ciò che spesso crediamo vero per abitudine?
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