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I Chiaroscuri – Pubblicani e prostitute

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savagnone-3-small-articoloIn questi giorni i mezzi di comunicazione e l’opinione pubblica hanno accolto con grande interesse e favore la notizia che, su impulso di papa Francesco, la Chiesa prepara una scomunica dei corrotti. Lo stesso interesse e lo stesso favore con cui avevano salutato le “aperture” ai divorziati risposati contenute nell’Amoris laetitia. E in effetti c’è un nesso tra le due prese di posizione. Sembra finalmente superata la stagione in cui la morale cristiana insisteva in modo unilaterale sui peccati sessuali, dedicando assai minore interesse alle colpe sociali. È su queste ultime che l’attuale pontefice insiste con particolare forza. L’ipotesi di scomunicare i corrotti rientra in questa linea: «La corruzione», nota Francesco nella prefazione a un libro del cardinale ghanese Peter Turkson, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale,  «rivela una condotta anti-sociale tanto forte da sciogliere la validità dei rapporti e quindi, poi, i pilastri sui quali si fonda la società: la coesistenza fra persone e la vocazione a svilupparla», perché sostituisce «il bene comune con un interesse particolare che contamina ogni prospettiva generale».

In realtà sul tema della corruzione papa Bergoglio ha parlato a più riprese già in passato. Essa, per lui, non va confusa con il peccato. Quest’ultimo è una caduta, che può essere anche molto grave, ma che lascia aperta la strada al rimorso e all’eventuale pentimento. La corruzione, invece, comincia nel momento in cui la sicurezza del proprio potere cancella il senso della colpa commessa e la trasforma in una dimostrazione di poter ottenere senza limiti ciò che si vuole.  Come Davide, osservava il pontefice in un’omelia a santa Marta del gennaio 2016, che dopo avere peccato si avvalse della sua dignità regale per eliminare fisicamente chi poteva accusarlo. «È il passaggio dal peccato alla corruzione».

È chiaro che siamo davanti a una categoria che non coincide con la fattispecie contemplata dal codice di diritto penale e che è caratterizzata, piuttosto, da un atteggiamento interiore. Perciò le sue forme concrete possono essere molto diverse. Ci sono vari tipi di corrotti. In un’altra omelia del 2014, sempre a santa Marta, il papa ne individuava tre: «Il corrotto politico, il corrotto affarista e il corrotto ecclesiastico». Ma tutti sono responsabili di un uso del proprio ruolo che garantisce l’immunità quando prevaricano sui più deboli, e tutti, perciò, sono soggetti alla inesorabile giustizia di Dio: «Cosa spetta ai corrotti? La maledizione di Dio, perché hanno sfruttato gli innocenti, coloro che non possono difendersi e lo hanno fatto con i guanti bianchi, da lontano, senza sporcarsi le mani».

Il caso più drammatico di corruzione è, però, quello di cui si macchia l’ecclesiastico e, più in generale, il cristiano. Su questo Francesco si è a lungo soffermato in una omelia del novembre 2013. In essa egli paragonava la corruzione allo scandalo. In entrambi i casi, infatti, manca il pentimento: «Chi pecca e si pente chiede perdono, si sente debole, si sente figlio di Dio, si umilia e chiede la salvezza di Gesù. Ma chi dà scandalo non si pente e continua a peccare e fa finta di essere cristiano». È come se conducesse «una doppia vita». E, aggiungeva Francesco, «la doppia vita di un cristiano fa tanto male».

Ebbene, la stessa situazione si ha nel caso della corruzione. «Quello che fa la doppia vita è un corrotto». Perciò, concludeva il pontefice, «chiediamo oggi al Signore di fuggire da ogni inganno, di riconoscerci peccatori. Peccatori sì, corrotti no».

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Qualcuno ha creduto di trovare in queste prese di posizione una contraddizione con lo spirito di misericordia e di apertura alle intenzioni soggettive che caratterizzano l’Amoris laetitia. Come se il papa, cedendo alla moda della nostra società secolarizzata, volesse spostare l’asse della morale cristiana dalla sfera privata a quella pubblica, relativizzando i peccati sessuali (a cui molti oggi sono ben poco sensibili) e stigmatizzando solo quelli sociali (che, almeno in linea di principio, vengono unanimemente condannati).

In realtà c’è una lettura più semplice e meno malevola. Per trovarla basta guardare alle tendenze invalse ormai da tempo nella pastorale, che hanno visto prevalere in modo unilaterale l’attenzione ai disordini legati alla sfera del sesso, e passare in seconda linea, se non addirittura cadere nel dimenticatoio, quelli contro il bene comune e i più poveri. In questo contesto, il diverso tono delle affermazioni del papa, quando parla di adulterio e quando parla di corruzione, si può facilmente spiegare con l’esigenza di richiamare l’aspetto della misericordia là dove non c’era misericordia, e di sottolineare la gravità del peccato umano là dove essa era sottovalutata.

Non sempre questo è compreso. Come in passato era molto frequente che si fosse molto severi con gli adulteri ed estremamente tolleranti con i corrotti, oggi forse il rischio è che, in molti ambienti cattolici, accada l’inverso. Ma si tratta di un equivoco. Non rendersene conto significherebbe attribuire al papa due “morali” diverse e contradditorie, una severissima per i peccati sociali e una lassista per quelli sessuali.  Ma il messaggio del vangelo è unico e vale per tutti, sia quando parla di perdono, sia quando esige la conversione.

Gesù era misericordioso con i pubblicani (esempio di un potere impunemente e spietatamente esercitato a danno dei più deboli) come con le prostitute. Perciò, deve ovviamente valere anche per i corrotti l’osservazione per cui  «è vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari» e che «è meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano» (Amoris laetitia, n.304).

Deve valere per loro, come per tutti,  la considerazione che «un giudizio negativo su una situazione oggettiva non implica un giudizio sull’imputabilità o sulla colpevolezza della persona coinvolta» (ivi, n.302) e che, «a causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa» (ivi, n.305). Davide, portato dal papa come esempio di corruzione, di fatto poi fu toccato dalla grazia, si pentì.

Reciprocamente, vale ovviamente anche per coloro che, dopo un matrimonio fallito, creano una nuova unione, tutto ciò che papa Francesco dice a proposito dello scandalo. Anche da loro Francesco, sempre nell’Amoris laetitia, esige «un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento» (n.300). Altrimenti anche per loro si aprirebbe, anche se in modalità diverse che per i corrotti, il dramma di una «doppia vita». Gesù è venuto a perdonare tutti, pubblicani (peccati pubblici) e prostitute (peccati sessuali), purché però ci si riconosca bisognosi di questo perdono.

Dimenticarlo significherebbe sposare, a seconda che si sia “conservatori” o “progressisti”, una morale del permissivismo o una del rigore a seconda delle proprie preferenze. Significherebbe soprattutto non renderebbe giustizia all’integralità del messaggio evangelico e al grande sforzo che papa Francesco sta conducendo, in mezzo ai fraintendimenti delle opposte fazioni, per ricordarcela.

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