La questione migratoria e la politica economica
L’Italia che i media ci raccontano, in questi giorni, presenta due volti a prima vista molto diversi, che si riferiscono, da un lato, ai presunti “successi” sul fronte dell’immigrazione, dall’altro alle pessime notizie sulla recessione economica.
Per quanto riguarda la prima, l’ultimo episodio, quello della Sea Watch, sembra confermare la validità della linea del governo. «Missione compiuta!», ha twittato Salvini.
È così, del resto, che hanno visto questa vicenda gli italiani che, in numero sempre crescente, a Sud come a Nord, tra poveri come tra i ricchi, si riconoscono nella “politica della fermezza” del nostro ministro degli Interni.
L’affaire Diciotti.
Ne è una ulteriore prova il fatto che il 57% è solidale con lui nel respingere l’accusa del tribunale dei ministri di aver violato la legge nel caso della nave Diciotti, quando a 117 persone che erano a bordo fu impedito, per ordine del ministro, di scendere a terra.
L’intervento della magistratura è stato sentito, dalla maggioranza dell’opinione pubblica, come un’indebita intromissione nella politica, una «invasione di campo», come l’ha definita l’interessato, perché pretende di valutare in termini giuridici una scelta fatta da un uomo di governo nell’interesse del Paese.
Emblematico degli umori prevalenti può essere il messaggio, pubblicato con grande evidenza su una pagina facebook: «Salvini è il primo politico italiano ad essere indagato non per corruzione o per mafia, ma per aver difeso i confini della nostra PATRIA. ONORE A SALVINI!».
La recessione.
A turbare il clima di esultanza di 60 milioni di italiani per la vittoriosa campagna di difesa delle nostre frontiere dall’invasione dei barbari che venivano a rubare il lavoro ai nostri ragazzi – gli invasori sono stati bloccati, tutti e 47!, e costretti a lasciare l’Italia – , sono arrivate le infauste notizie riguardanti l’andamento del Pil, in calo per secondo trimestre consecutivo, e in modo più grave che in quello precedente (-0,2, invece che -0,1).
Si tratta del peggiore risultato trimestrale da cinque anni a questa parte, visto che, sotto i precedenti governi, per quattordici trimestri si era registrata una sia pur timida crescita.
Questo non ha impedito al vicepremier Luigi Di Maio di addossare al passato le colpe della recessione: «I dati Istat sul Pil testimoniano una cosa fondamentale: chi stava al governo prima di noi ci ha mentito, non ci ha mai portato fuori dalla crisi».
Che fare della manovra economica?
Di chiunque sia la colpa, è certo che viene messa in dubbio la previsione su cui era fondata la manovra economica per il 2019, varata recentemente dal governo, nella quale il presupposto fondamentale per coprire i costi del reddito di cittadinanza e delle pensioni a quota cento era una crescita del Pil dell’1% (anche se già allora sia la Banca d’Italia che il Fondo monetario internazionale avevano ritenuto questo tasso di crescita troppo ottimistico, ridimensionandolo allo 0,6%).
Ora sappiamo che il 2018 lascia in eredità al 2019 non solo la problematicità dei risultati positivi, ma anche la necessità di “rimontare” questo -0,2%.
Peraltro, sia il premier Conte che il vicepremier Salvini hanno insistito sul fatto che non bisogna preoccuparsi, perché la ripresa è alle porte, come del resto aveva anticipato alcuni giorni fa Di Maio: «Sta per arrivare un nuovo boom economico, come negli anni 60», aveva annunziato.
Anche se qualcuno, sommessamente, ha fatto presente che da molti mesi questi risultati catastrofici erano stati ampiamente previsti, già diverso tempo fa, da tutti gli enti competenti, in Italia e a livello internazionale – Banca d’Italia, Istat, Ocse, Unione Europea, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale, –, che avevano diffidato il nostro governo dal perseguire sulla strada che aveva intrapreso e che tuttora difende.
Anche in questo caso, però, col pieno sostegno degli italiani, che, stando ai sondaggi, appoggiano ancora entusiasticamente – malgrado la recessione praticamente certa – la linea del governo.
L’eclissi della ragione.
Si diceva prima che questi due temi di attualità emergenti – le migrazioni e la recessione – sono a prima vista del tutto eterogenei, anzi di segno opposto (un cosiddetto “successo”, una sconfitta).
Qui vorrei avanzare l’ipotesi che, in realtà, siano intimamente collegati da un fattore comune, che è l’eclisse della razionalità nella sfera pubblica.
Dove non mi riferisco soltanto ai rappresentanti del governo, ma a quella sempre più vasta platea di sostenitori che gli ha dato e continua a dargli fiducia, legittimandone le scelte.
Le migrazioni: la sproporzione tra propaganda e realtà.
Solo una rinunzia all’uso della ragione può giustificare la passione con cui gli italiani hanno seguito e premiato prima la campagna elettorale della Lega, poi l’azione del governo, univocamente centrate sul problema dell’immigrazione.
In primo luogo perché sarebbe bastato un minimo d’informazione per apprendere che il flusso migratorio già a partire dal gennaio 2018 era bruscamente calato dell’80% e non costituiva più un’emergenza già molti mesi prima che il governo gialloverde si formasse.
In secondo luogo, perché avere concentrato tutte le energie su un falso problema ha distolto governanti e governati da altri, molto più reali ed economicamente rilevanti, come la lotta all’evasione fiscale (a cui anzi si è dato un segnale di incoraggiamento con la «pace fiscale», eufemismo per indicare il vecchio strumento del condono).
Solo una rinunzia all’uso della ragione può aver permesso di equiparare il fenomeno migratorio a una invasione, minacciosa per il nostro benessere, enfatizzando il fatto che non tutti i migranti fuggivano da guerre e persecuzioni, ma molti erano “migranti economici”.
A parte la diminuzione drastica dei numeri di chi arrivava, l’Italia è uno dei Paesi europei che ospita una minore percentuale di stranieri.
E il presidente dell’Inps Tito Boeri (che è anche un noto economista) ha dimostrato numeri alla mano che la loro presenza, se non criminalizzata (come è stato fatto invece col Decreto sicurezza) può essere resa una risorsa.
Solo una rinunzia alla ragione può far accettare, senza un moto di indignata protesta, la reiterata affermazione di Salvini che «la Libia è un posto sicuro» e che bisogna favorire il rimpatrio dei migranti da parte della guardia costiera libica.
È l’Alto Commissariato dell’ONU per i migranti a segnalare le condizioni disumane in cui sono trattenuti i migranti. E sono state pubblicate sui giornali le foto che ritraggono le torture inflitte nei lager libici a questi disgraziati («Meglio morire che tornare in Libia», ha mormorato un naufrago).
La legge che vigila sulla politica e lo Stato di diritto.
Solo la rinunzia all’uso della ragione può aver spinto il 57% degli italiani a ritenere che la politica non debba rispondere della violazione delle leggi e che un governante sia sottratto ad esse in forza del proprio intento di operare nell’interesse pubblico.
Lo Stato di diritto è nato contro le tirannidi – e si differenzia dalle moderne dittature – perché in esso il potere (quali che siano i suoi intenti) ha limiti precisi nell’ordinamento giuridico, del cui rispetto la magistratura (organo libero proprio perché indipendente dal consenso popolare) è garante.
Economia e inettitudine.
E solo una rinunzia all’uso della ragione avrebbe potuto indurre un Paese a ignorare – se non addirittura a sfidare irrisoriamente – gli unanimi ammonimenti degli esperti, nazionali e internazionali, circa i pericoli di recessione impliciti nella politica elettoralistica che si stava seguendo, affidandosi alla volontà di «tirare dritto» di due incompetenti come Di Maio (steward in uno stadio) e Salvini (nemmeno laureato), freneticamente protesi a prolungare una campagna elettorale permanente (a maggio ci sono le europee…).
Il rischio dell’imbarbarimento.
Il problema, allora, non è la recessione economica. Essa è solo l’effetto di una malattia ben più grave. E questa malattia colpisce le persone nella loro umanità, di cui la razionalità è un elemento decisivo, perché da essa dipendono anche i fattori emotivi.
«Il sonno della ragione genera mostri», ha scritto Goya. Accecati dalle illusioni ottiche che i nostri governanti hanno tutto l’interesse di alimentare, gli italiani si stanno imbarbarendo.
Lo si vede sui social, lo si sente nei discorsi al bar e sull’autobus. Con l’alibi della lotta al “buonismo”, rischiamo di legittimare un egoismo e un cinismo diffusi che erano estranei alla nostra gente. Peraltro, andando incontro – come si sta vedendo – a esiti che danneggiano anche i nostri interessi. È ora di svegliarsi, prima che sia troppo tardi. E non solo per la nostra economia, ma per la nostra umanità.
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