Il peggio della politica
La pausa di riflessione accordata dal presidente Mattarella ai partiti riflette la condizione di confusione e di incertezza in cui la cosiddetta “Terza Repubblica”, annunciata con tanta speranza, ha precipitato il nostro Paese.
Che la politica sia il campo delle promesse non mantenute, delle alleanze tradite, delle rotture disinvoltamente superate, non è certo una novità. Ma francamente non ricordo una stagione in cui siano state così solenni le promesse poi rivelatesi vane, così ferme le dichiarazioni di fedeltà poi clamorosamente smentite, così aspre le contrapposizioni e le accuse reciproche, poi trasformate in alleanze.
Gioca molto, in questa estremizzazione, il passaggio dallo stile “politicamente corretto” della Prima Repubblica, che rivestiva anche le prese di posizione più dure di un linguaggio comunque sempre moderato, a quello molto più aggressivo e violento inaugurato dalla Seconda e reso ormai normale nella Terza.
Un passaggio favorito, peraltro, dal mezzo di comunicazione utilizzato, che prima erano le dichiarazioni fatte in sedi ufficiali e oggi è costituito da Twitter o da interviste rilasciate in spiaggia.
La nascita di un mostro
Da qui la difficoltà di creare alleanze tra i partiti nell’attuale crisi politica. In verità, già alla nascita del “governo del cambiamento” i critici avevano avuto buon gioco nel citare le feroci accuse scambiate in un recentissimo passato tra i due partiti che entravano a costituirlo.
Nasceva un mostro e ne era conferma l’impossibilità di fissare dei punti programmatici condivisi, con la conseguente necessità di ricorrere alla formula del “contratto”, in cui gli obiettivi rimanevano diversi e potenzialmente divergenti.
Di questa mostruosità il “governo del cambiamento” è stata l’espressione evidente, al punto da dare l’impressione che di governi ce ne fossero due – in disaccordo tra loro su quasi tutto, tranne che sulla volontà di continuare a restare al potere.
Anche qui, insulti, accuse durissime, attacchi rivolti da ministro a ministro, da ministro a premier e, quando però tutto era già finito, da premier a ministro. Mai accaduto nulla di simile, in Italia o altrove.
Anche la crisi è nata da un voltafaccia clamoroso – «Il governo durerà cinque anni, ho detto, e la mia parola è sacra», aveva ripetuto Salvini fino a pochi giorni prima di “staccare la spina”, giustificando la rabbia dei 5stelle che l’hanno definito «inaffidabile»…
Da un mostro all’altro?
Ma ad essere nel caos non sono, in questo momento, solo le forze di governo.
Lo dimostra la triste storia del Pd, che ha dedicato l’anno e mezzo successivo alle elezioni alle liti interne, preoccupato, più che dai gravissimi problemi del Paese, dalla lotta per decidere chi dovesse comandare.
E anche ora che si dice disponibile a un’alleanza coi 5stelle, la sola cosa che accomuna le diverse anime del partito è una storia di radicale avversione e di profonda diffidenza nei confronti del possibile futuro partner di governo. Cosa ne può nascere, se non un altro mostro?
Nessuna meraviglia che Mattarella, di fronte a un simile guazzabuglio, abbia solo potuto allargare le braccia e lasciare ai poco raccomandabili protagonisti di fornire una possibile via d’uscita istituzionale.
La politica non è solo “fare”
Difficile negare, però, che, qualunque essa sia, questa soluzione sarà marchiata dai contrassegni della peggiore politica e, più che rappresentare l’alba di una nuova stagione, confermerà che il tipo di “cambiamento” realizzato in questa Terza Repubblica è stato e continua ad essere in realtà verso il peggio.
Senza voler minimizzare i problemi di ordine pratico che con urgenza vanno risolti – scongiurare l’aumento dell’Iva, etc. –, senza voler misconoscere neppure l’importanza per il Paese di riforme come il taglio dei parlamentari caldeggiato dai 5stelle –, non mi sembra plausibile che il livello qualitativo dello scenario politico italiano possa essere innalzato con misure di questo tipo.
Perché la politica non è solo “fare” questo o quello, ma un atteggiamento e uno stile che rendono questo “fare” un contributo alla crescita complessiva di un popolo.
Personalmente penso che quello svolto dal governo uscente non sia state affatto, come hanno ripetuto il premier e i due vicepremier anche dopo la sua fine, un «buon lavoro», oscillando tra pochissimi provvedimenti veramente condivisibili (il taglio dei vitalizi), alcuni sbagliati, ma comprensibili (il reddito di cittadinanza), e molti – i più seguiti e apprezzati dall’opinione pubblica! –disastrosi sia dal punto di vista strettamente politico che da quello semplicemente umano.
Ma, al di là del merito delle singole scelte, mi appello all’evidenza dei fatti per constatare che, dalle elezioni del 4 marzo 2018 ad oggi il clima politico – e non solo per colpa del governo – è nettamente peggiorato.
L’ignoranza al potere
E non alludo solo allo scadimento dei rapporti tra i partiti, di cui parlavo all’inizio, ma anche e soprattutto a ciò che si è verificato nell’opinione pubblica.
Così come, al di là di singoli casi, è sotto gli occhi di tutti l’ignoranza, la violenza, la volgarità con cui sui social si discutono, dalle varie parti in causa, questioni che richiederebbero un minimo di competenza e di equilibrio.
Mi colpisce innanzi tutto l’ignoranza.
Un mio articolo sulla politica migratoria, recentemente, ha avuto decine di commenti furibondi che negavano ogni nostro obbligo verso l’Africa, visto che, secondo queste persone, non avevamo mai svolto alcuna politica coloniale!
Ho dovuto rivelare ai miei critici che già alla fine dell’Ottocento, con l’Eritrea (al tempo della Sinistra storica), e poi nel Novecento con la Libia (Giolitti), e infine, sempre nel Novecento, con l’Abissina (Mussolini), l’Italia è stata una potenza colonialista.
Sono queste le persone che rispondono ai sondaggi.
È solo un esempio. Il “popolo” che si è riappropriato del suo diritto di partecipare alla gestione politica, scalzando la “casta”, spesso è costituito da soggetti che non hanno gli elementi base per valutare i problemi.
Questo è un dramma per la nostra democrazia. Anche perché alla mancanza di conoscenze e di argomenti si supplisce abitualmente con gli insulti o almeno con attacchi personali assolutamente gratuiti e infondati (l’“altro”, il “nemico”, è uno che sicuramente, coni governi passati, godeva di privilegi inauditi, uno che non vuole mollare la poltrona, etc.).
Lo squadrismo telematico
Questo riduce gli spazi del confronto. Non si era mai verificato che un personaggio dello spettacolo o dello sport che si pronunziava su questioni pubbliche – specialmente in chiave umanitaria – fosse oggetto di un linciaggio sistematico e organizzato da parte dei sostenitori di un ministro, al punto da rendere plausibile l’espressione “squadrismo telematico”.
Nella futile diatriba se a minacciare l’Italia sia il ritorno del fascismo oppure no, bisognerebbe tener conto che, ovviamente, oggi la repressione del dissenso non potrà avvenire con i sistemi del primo Novecento, e che, se si intende per “squadrismo” solo quello della violenza fisica, nella nostra situazione non ce n’è traccia. Si tratta dunque di un’analogia. Ma non per questo il fenomeno è meno inquietante…
Partire dalle persone
A questo clima disastroso il futuro governo, quale che sia la sua composizione, non può rimediare.
Si deve temere, anzi, che ne sarà, come il precedente, lo specchio ingigantito. Per ricominciare davvero bisogna partire dalla gente, riaprire gli spazi del dialogo faccia a faccia tra le persone, ristabilire un confronto pacato e argomentato tra i punti di vista diversi, valorizzare ciò che di buono sicuramente c’è in ogni cittadino e che purtroppo su Internet rischia di rimanere oscurato.
Fermi restando i compiti e le responsabilità dei partiti per ciò che compete loro, la rinascita della politica nel nostro Paese oggi dipende, più che da essi, da tutti quegli altri soggetti che hanno la possibilità di dar vita a uno stile nuovo, diverso, nel dibattito pubblico.
Penso alla scuola. Penso all’Università. Penso alle famiglie. Penso alle parrocchie, ai gruppi e ai movimenti ecclesiali. A tutte le realtà associative in grado di costituire un’alternativa al dilagare di «non-luoghi» – ambienti in cui si passa di corsa, senza poter parlare – denunciata già diversi anni fa da Marc Augè.
Restituire a Internet uno stile più umano
Non si tratta di abolire – sarebbe impossibile, ma neppure auspicabile – il ruolo di Internet.
I nuovi mezzi di comunicazione – lo si capì già al tempo dell’avvento della scrittura – comportano inevitabilmente, accanto ai vantaggi, dei pericoli che non devono farli demonizzare, ma che richiedono un’opportuna correzione.
Per rendere il nostro popolo capace di esercitare la democrazia educhiamoci a vicenda a uno stile comunicativo più umano.
Isoliamo – ignorandoli – i violenti. Ricostituiamo un tessuto civile dove chi mente, chi alza la voce, chi sostituisce la derisone o l’insulto agli argomenti razionali, sia oggetto della giusta sanzione della pubblica riprovazione.
Lo so, i tempi per una simile prospettiva sono lunghi.
E, soprattutto, richiedono che gli intellettuali, le persone di cultura (dal maestro elementare, al docente universitario, al parroco…), riscoprano le loro responsabilità e si sveglino.
È davvero possibile questo? Non lo so. Ma l’alternativa è restare in questa palude, dove, quale che sarà il governo, continueremo a lasciaci governare da gente che non sa che anche l’Italia ha sfruttato l’Africa.
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