Il caso della compagnia aerea irlandese Ryanair, improvvisamente costretta dai suoi nodi gestionali a tagliare fino a 50 voli al giorno per sei settimane può costituire un’occasione per riflettere su uno dei tanti paradossi a cui la civiltà post-moderna ha dato luogo in questo scorcio del nuovo millennio. Mi riferisco alle nuove forme di dipendenza che il progresso dei mezzi di trasporto di massa sta creando nei confronti delle persone che dovrebbero fruirne.
Al di là dei motivi particolari della crisi di Ryanair – si parla di una errata valutazione dei turni di riposo che spettavano ai piloti, coniugata con una “fuga” dei comandanti verso altre compagnie di volo – , quello che colpisce è la sproporzione sempre maggiore creatasi tra il potere e le scelte di chi fornisce le compagnie aeree e la possibilità di controllo da parte dei loro clienti. Non è solo un problema economico: i rimborsi probabilmente ci saranno. Il punto è che migliaia di persone hanno dovuto assistere, impotenti, all’evaporazione di progetti di viaggio – d’affari, di piacere, per motivi di salute – su cui avevano impostato il loro futuro.
Secondo le stime fornite dai giornali, ben 400.000 persone! Perché ormai l’aereo non è più, come fino a pochi decenni fa, una possibilità riservata ai vip della “jet society” o comunque a una ristretta élite. Proprio grazie a compagnie low cost come Ryanair, esso è oggi alla portata di tutti e basta dare una veloce scorsa al variegato pubblico che affolla gli aeroporti per rendersi conto della portata di questa “democratizzazione”.
Di per sé, si tratta di un evidente guadagno, soprattutto per territori – come alcune zone del Sud – esclusi dall’Alta velocità e nei quali affidarsi al treno significa accettare tempi biblici di percorrenza. Ma il risvolto di questo indubbio progresso è l’accentuarsi della debolezza che già caratterizzava (e continua a caratterizzare) l’utente di altri mezzi di trasporto. Anche il treno imponeva – e ancora a volte impone – ritardi di cui il viaggiatore non comprende la ragione e che rischiano di compromettere i suoi programmi. Ma con gli aerei – e non parlo solo di Ryanair – questa sensazione di impotenza e si è enormemente accresciuta.
Già il check-in è sospeso all’angosciosa possibilità dell’overbooking (letteralmente: sovraprenotazione). Spiego, a chi ha avuto finora la fortuna di ignorare il significato di questa parola, di che cosa si tratta. Tutte le compagnie aeree si riservano di vendere più biglietti (non, come suggerirebbe pudicamente il termine inglese, di fare prenotazioni: si tratta di biglietti, dunque pagati!) rispetto ai posti disponibili nel velivolo. Normalmente, infatti, un certo numero di passeggeri non si presenta, per i motivi più disparati. Se però accade che in una data occasione, contro la legge dei grandi numeri, tutti gli aventi diritto si presentano in aeroporto, chi arriva per ultimo col suo bravo biglietto in mano si sentirà dire, da una imbarazzata hostess (come è capitato a me una volta), che purtroppo i posti sono esauriti e che bisogna aspettare il prossimo volo, su cui – si affretta ad aggiungere la solerte impiegata – lo sfortunato passeggero è assolutamente “coperto”.
E se il passeggero in questione a questo punto, dopo un iniziale stordimento, dà in escandescenze, facendo presente che ha diritto ad avere ciò che ha pagato, gli si farà notare che, tra le clausole contrattuali scritte in caratteri minuscoli nel titolo di acquisto del biglietto (e che lui ovviamente non ha letto), c’era anche l’accettazione di questa ipotesi.
Per le compagnie aeree è indubbiamente un buon affare, perché incassano più di quanto aritmeticamente consentirebbe il numero di posti di cui dispongono. Ma mi chiedo in quali altri casi sia possibile immaginare che il compratore si senta rifiutare – e in piena legalità – , ciò per cui ha sborsato il suo denaro… Certo, al viaggiatore viene assicurato un posto sul volo successivo di quella compagnia, ma questo volo può essere per lui ormai del tutto inutile, se il ritardo comporta la perdita di un appuntamento importante o di una coincidenza con un altro volo! Quando capitò a me, coinvolta nella stessa situazione c’era una giovane che aveva una decisiva prova di lavoro come giornalista televisiva, per cui, in sua assenza, sarebbe stata chiamata un’altra persona. Un’occasione unica perduta.
Il caso dell’overbooking non è però l’unico in cui la compagnia aerea dispone in modo del tutto arbitrario del tempo e talora del destino (come in questo caso) del viaggiatore. E non mi riferisco solo alla vicenda della Ryanair. Chi ha consuetudine con i viaggi aerei, come il sottoscritto, avrà probabilmente avuto l’esperienza di voli improvvisamente cancellati, di ritardi mostruosi che lo hanno costretto a bivaccare per ore in aeroporto o, se hanno prodotto la perdita di una coincidenza, a cercare disperatamente un altro modo per arrivare in tempo a destinazione. Ma anche chi non si serve abitualmente dell’areo, avrà visto in televisione le scene di folle di passeggeri infuriati che protestano.
Anche perché nella stragrande maggioranza dei casi tutto avviene senza spiegazioni. Prima avveniva addirittura senza preavviso. Solo da qualche tempo, per evitare l’esasperazione delle persone in attesa, si è cominciato a dare qualche avviso di ritardo, ma in modo sibillino, che non lascia capire se quello annunciato è il tempo finale oppure solo un’avvisaglia di un ritardo molto più consistente.
Tutto questo, è chiaro, non toglie nulla al vantaggio pratico dell’uso dell’aereo. Ma fa riflettere su un capitolo tra i più significativi delle nuove forme di depotenziamento del singolo di fronte alle dinamiche di massa che la tecnica e il mercato, con la loro azione congiunta, stanno producendo. Nessuno pretende che coloro che gestiscono un servizio rinunzino al loro profitto. Ma abbiamo il diritto di chiederci se non sia possibile ripensare questi meccanismi per dare luogo a stili diversi, che, senza ledere gli interessi delle compagnie aeree, rispettino realmente le persone che si affidano a loro fiduciosamente. Nella tradizione di tutte le civiltà la condizione del viandante è sempre stata considerata quella della massima fragilità e quindi meritevole della massima attenzione da parte degli altri uomini. Sarebbe importante non dimenticare, nella fretta dei nostri viaggi odierni, questa grande lezione di umanità.
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