Vero e falso natale
Per quanto ne so, è la prima volta che la Chiesa – non per voce di qualche suo isolato rappresentante, ma con l’autorevolezza di una Conferenza episcopale, quella dei vescovi di Sicilia – prende posizione sul “Decreto sicurezza” (QUI il pronunciamento dei Vescovi). E lo fa con toni durissimi, senza ambiguità “diplomatiche”, come del resto richiedeva la franchezza profetica a cui i Pastori della comunità cristiana sono chiamati dal loro ministero.
Una religione per l’uomo
Lo spunto obbligato è la ricorrenza del Natale, la festa più sentita dai credenti, che in essa hanno sempre riconosciuto un appello ad essere tutti più buoni, rinunziando alle spinte egoistiche e alla ricerca sfrenata del proprio esclusivo interesse per fare posto a sentimenti di fraternità e di pace. Non per un dolciastro “buonismo”, ma in nome del mistero dell’incarnazione, che sta al cuore del cristianesimo e che lo rende l’unica religione in cui, per trovare Dio, bisogna cercarlo non nei cieli, ma sulla terra, nell’uomo. E non soltanto nell’umanità di Gesù – via obbligata per incontrare il Verbo eterno –, ma in quella di tutti coloro nei quali egli ci ha chiesto di riconoscerlo: «Ebbi fame e mi avete dato da mangiare… Fui straniero e mi avete accolto». È nella sua relazione con gli altri, non in una spiritualità intimistica, che il cristiano realizza il proprio rapporto con il suo Signore. Ciò vale innanzi tutto nei confronti dei poveri.
Le opere della fede
Come scrive nella sua lettera san Giacomo: «Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano? Voi invece avete disprezzato il povero!» Qualunque povero, perché, dice l’autore sacro, «se fate distinzione di persone, commettete un peccato»
È qui, non in un’astratta convinzione o in una devozione ritualistica, che si gioca il diritto di presentarsi a Dio come credenti: «Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in sé stessa. Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede» (Gc 2,5-18).
L’accoglienza dei poveri
Su questo sfondo dev’essere letto l’intervento dei vescovi della Sicilia. Esso è una denunzia della superficialità (o dell’ipocrisia?) di quei cattolici – e tali si proclamano gli esponenti del nostro governo e i loro sostenitori – che credono di poter serenamente festeggiare il santo Natale mentre, con il “Decreto sicurezza” – proprio «mentre si celebrano i settanta anni della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo» – mettono, paradossalmente «in grave insicurezza, sulla strada, tanti figli di Dio, nostri fratelli per la fede cristiana, a iniziare dai più deboli, dalle donne e dai bambini, senza alcuna pietà».
Consapevoli di essere come un’«eco del Magistero di Papa Francesco che insistentemente chiede, in nome del Vangelo, di accogliere, proteggere, integrare quanti bussano alle nostre porte», i vescovi siciliani esprimono il loro sdegno nei confronti di «norme gravemente restrittive dei diritti dei migranti»: «Un animale in questo momento arriva a valere di più, in protezione, di un fratello nel quale il credente sa che c’è la visita stessa di Dio!».
Prima gli italiani?
Né vale la solita, logora obiezione che prima vengono gli italiani. Perché, se si parla dei poveri, ricorda il documento (e nessuno che abbia un briciolo di esperienza dei problemi dell’emarginazione può smentire questa affermazione!), «il quotidiano “lavorio della carità” della Chiesa cattolica in Italia e in Sicilia è rivolto da sempre verso tutti i poveri. Soprattutto i poveri “italiani” che – a causa della crisi economica – sono sempre più numerosi». Ma ciò non esclude affatto l’attenzione «anche per i nuovi poveri che giungono, migrando, sulle nostre coste siciliane».
Rispettiamo, chiedono i Pastori, il significato del Natale che stiamo per celebrare. «Natale sarà vero solo nell’accoglienza (…). L’accoglienza dei poveri, delle persone sole e dei migranti sarà il nostro presepe vivente del 2018. Sarà un atto di fede in Dio e un presepe di carità. Sarà la speranza che il mondo può vincere paure e rancori».
Politiche della paura
I vescovi sanno bene che larghe fasce della popolazione italiana, anche cattolica, sono state sensibili a una campagna ossessiva che ha fatto leva sulla paura per suscitare la diffidenza, e in certi casi addirittura l’odio, «creando contrapposizioni e climi emotivi che non costruiscono coesione». Sanno che ad essere compromessa, spesso, insieme alla coerenza della fede, è oggi «quella ragionevolezza che fa capire come sia impossibile fermare le migrazioni, ma anche come sia possibile e intelligente l’integrazione, perfino per l’economia e per il futuro del Paese».
Per far fronte a questa deriva, contrastante con il Vangelo ma anche con la ragione. Oltre che con una tradizione di umanità che caratterizza il nostro popolo, il documento chiede un impegno di evangelizzazione adeguato da parte dei sacerdoti: «Chiediamo ai presbiteri di illuminare la coscienza dei fedeli sull’integrità della vita cristiana, che si perde se al rito non segue la vita».
E propone una mobilitazione capillare da parte dei credenti: «Facciamo appello alle famiglie e alle parrocchie perché, raccordandosi con la Caritas e l’ufficio Migrantes, si attivino percorsi di accoglienza generosi e intelligenti».
A casa propria
Non è un dovere, ma un atto d’amore! Uno dei caposaldi dello stupidario che ha dominato il linguaggio dei nostri politici in questi mesi, e di cui i social sono stati lo specchio fedele, è che se qualcuno è favorevole all’accoglienza deve prima cominciare lui a prendersi in casa i migranti. Come dire che chi è favorevole al reddito di cittadinanza deve essere lui a uscire i soldi per finanziarlo… È chiaro che i cittadini hanno il diritto-dovere di caldeggiare le misure da essi ritenute più conformi al bene comune, ma che esse devono essere prese e sostenute dallo Stato, non da chi le ha richieste! Se dunque, i vescovi raccomandano ai cristiani di essere personalmente accoglienti, lo fanno nella logica della carità fraterna, non come alternativa ad un cambiamento di indirizzo della nostra legislazione. A questo cambiamento deve mirare, piuttosto, una svolta culturale e politica che restituisca dignità agli stranieri.
A tutti, credenti e non credenti, il messaggio della Conferenza episcopale siciliana – che capita proprio in prossimità di questo Natale – chiede di sostenere questa svolta. «Il nostro invito si allarga a tutti gli uomini di buona volontà, agli uomini di cultura (…), alle nostre città – perché, come auspicava Giorgio La Pira, scelgano la pace e l’accoglienza», valorizzando «la bellezza della convivialità delle differenze (…). E questa sarà la vera politica».
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