Gumina, Una missione trasformante da compiere. Prospettive sul contributo dei cattolici nella società, Paruzzo, Caltanissetta 2022, pp. 157, 12.00 euro.
Introduzione
Il libro del prof. Rocco Gumina si presenta come un testo interessante per la molteplicità degli orizzonti che offre, e la lettura che vorrei proporre in queste righe cercherà di cogliere il punto di vista propriamente teologico in esso presente. Ho pertanto identificato alcuni temi dominanti che si incontrano in un punto convergente rintracciabile nella centralità dell’uomo:
L’immagine del Dio di Gesù Cristo, del Signore della vita divenuto uomo come noi, invita anzitutto a prendersi cura delle persone portatrici di storie e di volti da guardare, da rispettare, da accarezzare. Il valore della centralità della persona all’interno della società conduce alla promozione di politiche, e di relative istituzioni, capaci di tutelare le fragilità, di sostenere le pratiche associative, di accogliere le diversità, di riconoscere il limite della stessa opera politica.[1]
Dall’immagine del Dio di Gesù che ha risignificato la nostra umanità come destinataria di un progetto molto più grande, proprio da lì, si snoda una rilettura della stessa umanità, della realtà e della nostra presenza nelle dinamiche del mondo.
Il riferimento alla cattolicità
Il primo elemento che vorrei sottolineare è la particolarità della parola “cattolico”, termine dalla forza dirompente e dimenticata. L’era della cristianità è finita, così come è finita una certa presenza rilevante – ma sempre significativa – della Chiesa nelle questioni dello Stato, e va riconosciuto che l’utilizzo di “cattolico” suona come qualcosa di dispregiativo o come la rivendicazione di una qualche appartenenza che rischia di svuotarsi di senso.
Il termine viene dal greco ed è composto dalla preposizione kata (da, per, verso) e dal termine holon, un “tutto” rispetto alla sua parte, un “tutto” in senso qualitativo o quantitativo. Sebbene utilizzato per definire una certa Chiesa, nel suo contesto più largo guarda alla missionarietà che essa esercita e alla sua capacità di partecipare delle ricchezze culturali degli uomini ai quali il Vangelo viene annunciato.[2] Dunque, prima di essere un’etichetta che ci qualifica in un certo modo, si esprime un atteggiamento di fondo da assumere, almeno da parte di coloro che sono stati battezzati. La cattolicità esprima questa apertura del cuore che è capace di abbracciare il mondo intero sulla linea di Cristo che ha assunto la nostra umanità perché tutta l’umanità potesse essere redenta. A tal proposito penso ad alcune bellissime pagine di Louis Bouyer, il quale, quando parla della divinità ed umanità di Cristo non riesce a pensarla se non nei termini di un’assunzione totale dell’uomo:
Cristo, per il fatto che non è un uomo qualsiasi fra gli uomini, ma il Figlio di Dio fatto uomo, non solo non è come chiuso come tutti noi dalla sua personalità nei limiti della sua individualità particolare, limiti spaziali e temporali, ma per il fatto della sua personalità divina è aperto a tutto l’umano. Si trova in lui non qualche impensabile umanità generale, che non sarebbe quella di nessun uomo, ma l’umanità comune di tutti gli uomini ricapitolata – per riprendere la formula usata da Ireneo nel commento alla lettera agli Efesini – in quella personalità “comune”, se ve n’è, che è la sua, come dice Leonzio.[3]
Se Cristo ha preso su di sé tutta l’umanità, io, in quanto raggiunto da Cristo, non posso che guardare a ciò che c’è oltre la mia mera fisicità per farmi prossimo a tutto intero l’uomo, che Cristo ha assunto e redento. Gumina esprime tutto questo nella prospettiva dell’oltre, di un oltre addirittura messo tra virgolette, prospettiva che ho trovato interessante. Siamo nei capitoli finali, precisamente in quello che parla della dimensione del dono come categoria per una metamorfosi del mondo, ripercorrendo le pagine del testo “Il dono nel tempo della crisi” di Cavaleri e Molinari, dice:
Coltivare l’umanità significa condurre una cittadinanza riflessiva o una vita esaminata capace di accogliere la ricchezza delle culture e delle religioni dell’altro e superare le ristrettezze delle proprie tradizioni. Coltivare l’umanità vuol dire anche mantenere la dinamica dell’immaginazione, dell’oltre come categoria costitutiva dell’uomo. Un “oltre” che non va declinato esclusivamente nella prospettiva della maggiore ricchezza, del superiore comfort e del benessere a tutti i costi. Invece, urge una visione di “oltre” in grado di stimolare l’infinita ricchezza delle relazioni umane a carattere personale ma anche culturale, religioso, politico. Un “oltre”, insomma, che abbia una visione del mondo e del futuro dell’umanità.[4]
Si guarda ad un “oltre” che sia capace di abbracciare il mondo intero nella visione che Cristo ci ha offerto nel mondo – al modo di Cristo nei termini in cui l’ho posta prima – e nell’ottica di una visione del mondo sulla scorta del pensiero di un grande teologo italo-tedesco dei primi del Novecento, Romano Guardini,[5] riflessione che Gumina riprende proprio nel primo intervento del suo testo, e che sembra volerci quasi dare l’indirizzo di tutto il suo lavoro. Recuperiamo allora la forza di quell’appellativo, “cattolico”, che ci pone già nella direzione dell’oltre. Non ritengo scontato il fatto che si parli più dei “cattolici” in politica che di “cristiani”: che il mondo ci riconosca un qualcosa che noi per primi non ci riconosciamo o che non vogliamo riconoscerci?
Il Dio uno e trino a fondamento dell’umana società
Siamo cattolici, lo siamo in forza del nostro Battesimo, e siamo battezzati a partire da un dato posto a fondamento: siamo stati segnati con un sigillo che ha a che fare con un Dio uno e trino, cioè a partire da quei nomi che Gesù stesso ci ha consegnato: Padre e Figlio e Spirito Santo. Gumina dedica il quinto capitolo alla visione propriamente teologica, anche se la riprenderà in altre parti. La domanda di fondo è fondamentale: perché il cristiano nel momento in cui si relaziona con la realtà ha una propria specificità? Cosa differenzia il cristiano dal non credente? La risposta sta nel fatto che il cristiano guarda il mondo, anzi, vi si colloca «a partire e verso la posizione di Cristo».[6] Qui viene la domanda ancora più radicale: chi è questo Cristo che il cristiano segue? Non si tratta di un uomo tra tanti, ma del Figlio “di Dio”, Dio, seconda Persona della Trinità. Ora, guardare al mistero trinitaria nella logica della vita sociale non è qualcosa di semplice. Nel passato è stato un pretesto per esercitare un determinato tipo di potere impostato sulla verticalità e sull’assolutezza. Dal Dio unico il potere non poteva che essere inteso come unico, soprattutto da parte dell’autorità papale. Nella contemporaneità quest’idea salta per recuperare una prospettiva nuova, che Gumina spiega in questi termini:
Il punto di partenza dell’orizzonte teologico-sociale cristiano è rappresentato dal mistero trinitario. Nella sua più intima essenza, Dio è comunione e interazione di persone. Questa tipologia di relazione è la figura ideale per ogni forma di amore che i discepoli di Cristo cercano di realizzare amandosi tra loro. […] Ogni forma di socialità umana, intesa come dono reciproco, trova le sue radici nel mistero agapico che Gesù ha storicamente svelato. Tale visione spinge il credente a vivere l’amore […] come un comandamento che da un lato esclude una concezione intimistica della fede, dall’altro promuove una mistica politica.[7]
Dio è comunione e interazione di persone, comunione e relazione. Per comprendere il peso di queste parole, soprattutto della prima, ci rifacciamo alla riflessione di Gisbert Greshake, il quale nel suo manuale di trinitaria afferma:
La communio è – al di là di tutte le polarizzazioni dell’individualismo e del collettivismo – proprio il processo vitale di una reciproca mediazione della pluralità di persone autonome verso una unità relazionale oppure – se consideriamo la cosa a partire dall’altro polo – il processo vitale di un’unità che si realizza in una pluralità relazionale di persone distinte ed autonome. Per dirla in breve, la communio è quella grandezza, nella quale l’“insieme” e le sue “parti” sono dati in maniera di uguale origine, in quanto l’insieme (l’unità) si trova nelle singole parti differenziate e strettamente riferite l’una all’altra e le parti (le differenze) si compongono in un insieme.[8]
La comunione è ciò che ci permette di cogliere la specificità di ciascuno nell’insieme. E se la comunione vive di questo dinamismo di mediazione allora essa è una realtà dinamica, un continuo processo di attuazione, di vita!
Entrando però nello specifico dell’argomentazione,[9] soprattutto nel merito della sua origine lessicale, la parola communio, ha due connotazioni raffigurative. La prima attinge alla dimensione del com-munio, dove -mun indica barriera, vallo. Le persone che stanno in una communio si trovano insieme dietro ad una barriera comune, un comune ambito delimitato, che le vincola in una vita comune. Trasportando questo significato alla dimensione sociale e politica nella quale ci troviamo, non possiamo non convenire sul fatto che la communio tra gli uomini richiama e trova il suo fondamento nella communio trinitaria, nella comunione che tiene le tre Persone divine, Padre e Figlio e Spirito, nell’unico soggetto Dio. Dall’altra parte, va evidenziato un secondo significato, dove che la stessa radice –mun fa riferimento a munus, compito, servizio. Questo ci dice come essere nella communio sia vivere nella prospettiva del servizio, non fine a se stesso ma che coinvolga la collettività cui esso si rivolge. Dunque, nell’idea di communio è insito questo stare insieme, il ritrovarci nell’unità della polis e del popolo, seppur nel servizio specifico che ciascuno ha in vista del bene dell’altro, per il bene comune, nell’amore, quell’amore che è la caratteristica fondante dell’amore proprio di Dio (cf. 1Gv 4,4.8). Dalla comunione che Dio vive nella sua propria intimità scopriamo come essa è il modello della nostra comunione e del nostro relazionarci tra di noi. La relazione nella quale le Tre Divine Persone vivono, è paradigmatica della nostra relazionalità e della necessità che ognuno di noi ha dell’altro. Questo ci permette di dire che uno dei più grandi acquisti della riscoperta trinitaria novecentesca, applicata alla teologia politica, non sta nell’assolutizzazione di un potere che parte dal monoteismo tipicamente cristiano ma dal senso di relazionalità e pluralità che esso custodisce, la quale si riconfigura come unità nell’amore.
Svolta ecologica
Il tema ecologico è particolarmente caro ai nostri giorni proprio per i risvolti decisivi sulla nostra vita concreta. Gumina non si risparmia sul tema e si sofferma molto sull’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco e sull’idea di “ecologia integrale”. Vorrei concludere con una nota propriamente teologica in merito all’ecologia, che faccio mia dalla riflessione del teologo romano, professore in Gregoriana, Antonino Nitrola.[10] Ci si chiede: che riflessione possono proporre i teologi in merito alla questione ecologica? Naturalmente quando parliamo dell’ecologia non possiamo che fare riferimento alla creazione, al fatto che tutto ciò che ci circonda – noi compresi – facciamo parte di tale opera. Questo basta per dire che dobbiamo stare attenti ai consumi, all’inquinamento, al razionamento del gas, alle auto ibride? Il vocabolario dello Zingarelli alla voce ecologia dice: «Branca della biologia che studia i rapporti fra organismi viventi e ambiente circostante e le conseguenze di tali rapporti, specialmente al fine di limitarne o eliminarne gli effetti negativi»[11]. Più in profondità, guardando all’etimo delle parole, possiamo dire che l’ecologia è il logos, discorso, sull’oikos, la casa, discorso sull’ambiente nel quale io vivo, sul mondo inteso come casa dove ogni elemento si trova “bene” e non “soffre” per una permanente tensione con l’altro.[12] Di che tensione parliamo? Se ci giriamo attorno tutta la creazione soffre – lo stesso Paolo ce ne parla in Rm 8,22 – perché la morte l’ha fatta sua, perché il peccato ha corrotto la visione delle cose.
Pensate ad alcuni controsensi che sono presenti nell’ordinarietà della nostra oikos, della nostra casa. Se il principio deve essere quello della vita comune nel benessere e nell’assenza di sofferenza, perché la mia vita deve essere legata alla morte del pollo, della mucca o della lattuga? Allarghiamo l’orizzonte: perché mai il leone per sopravvivere deve mangiarsi una gazzella? O peggio ancora esulando dall’ambito alimentare: perché il mondo è sempre teatro eterno di guerre dove gli interessi di uno devono prevalere sull’altro? E quante altre cose potremmo chiederci! La questione ecologica, dunque, al di là di ogni ambiguità rintracciabile nell’affrontare il tema oggi, si impone come specchio di una creazione in conflitto. Davanti alla morte dell’altro come prezzo della mia vita troviamo il segno più universale ed eloquente del peccato originale, il quale ha come messo dei filtri ai nostri occhi, ha imbrogliato la creazione nelle maglie della morte e l’ha resa bisognosa e desiderosa di riscatto.
Come dovrebbero formulare i cattolici un discorso cristiano sull’ecologia? Quale sarebbe la sfida? Rendersi conto che questa creazione, questa casa comune che Dio ci ha messo nelle mani, soffre e al tempo stesso spera di non soffrire più, attende la fine delle doglie del parto ed attende l’arrivo dei cieli nuovi e della terra nuova – usando un’immagine tanto cara al Nuovo Testamento. Il discorso ecologico così si articola come il discorso sulla creazione per come dovrebbe essere secondo il disegno del Creatore, cioè una creazione senza quel peccato che l’ha resa luogo di morte, una creazione casa per tutti perché libera dalla logica della morte e della guerra. L’ecologia per il cristiano dovrebbe così configurarsi come il discorso sulla nuova creazione che in Cristo, Crocifisso Risorto, vedrà sconfitta la morte come ultimo nemico, espressione dell’amore sconfinato di Dio. Tutto questo ci apre, in ultima analisi, ad uno sguardo sulle cose ultime, sul compimento della storia individuale e universale, luogo/momento verso cui tutti tendiamo.
Conclusioni
Queste “restituzioni” teologiche che ho voluto recuperare dal testo del prof. Gumina ci mettono davanti alla necessità di un impegno serio nell’ambito politico e sociale di coloro che si dicono discepoli di Gesù, di coloro che hanno fatto propria la logica della Pasqua, una logica che si iscrive nel superamento di tutto ciò che richiama alla morte e alla caducità per fare emergere la potenza della vita al di là di tutto. Allora, il modo cattolico di essere nella società e specificatamente in politica, non può che partire da quell’apertura di cuore e di orizzonte che custodisce nel proprio nome “cattolico”, non può che fondarsi sull’amore del quale Dio stesso vive nella sua intimità più profonda, non perdendo di vista l’orizzonte della vita e del bene comune.
Don Salvatore De Pasquale
[1] Gumina, 156.
[2] Cf. M. Semeraro, Cattolicità/Cattolicesimo, in Lexicon. Dizionario Teologico enciclopedico, Piemme, Casale Monferrato 1997, 150. Il riferimento principale però è il magnifico testo Y. Congar, La cattolicità della Chiesa, in Mysterium Salutis VII, Queriniana, Brescia 1972, 577-605.
[3] L. Bouyer, Il Figlio eterno, 478.
[4] Gumina, 144.
[5] R. Guardini, La visione cattolica del mondo, Queriniana, Brescia 2005. Punto di partenza del primo capitolo di Gumina.
[6] Gumina, 81.
[7] Gumina, 84.
[8] G. Greshake, Il Dio Unitrino. Teologia trinitaria, Queriniana, Brescia 2000, 195.
[9] Qui Greshake ripercorre il percorso tracciato da Balthasar nel primo articolo della rivista Communio: H.U. von Balthasar, Communio – un programma, in «Communio» 1 (1972) 3.
[10] Cf. A. Nitrola, Trattato di escatologia. 2. Il pensare la venuta di Cristo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2010, 351-358. La riflessione si può trovare condensata dallo stesso Nitrola nella sua relazione al Convegno “La Nuova Creazione in Cristo e l’ecologia integrale”, https://www.youtube.com/watch?v=yo54psE_uT4&t=5301s, 1:13:00-1:28:00.
[11] N. Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Bologna 1999, 608.
[12] Cf. A. Nitrola, Trattato di escatologia, 375.
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