di Giuseppe Savagnone
In un tempo in cui la politica sembra dover fare a meno delle idee e ridursi a operazioni meramente tattiche o, al massimo strategiche, può costituire una notizia (tale almeno l’ha reputata «Avvenire», che le ha dedicato un ampio articolo) il fatto che alcuni uomini di cultura cattolici, provenienti dalle più diverse parti d’Italia, si siano riuniti a Roma, sabato 25 gennaio, per una “Giornata di riflessione e confronto sulla situazione del Paese”, con l’intento di elaborare un progetto di largo respiro che possa essere orientativo per l’immediato futuro.
Il punto di partenza è stata la constatazione della profonda crisi – non solo economica, ma innanzi tutto culturale, etica e politica – in cui è sprofondato il nostro Paese, ma anche della scomparsa della voce dei cattolici in questo delicato frangente. Da qui l’esigenza di ripartire, non sventolando slogan (sul modello dei cosiddetti “valori non negoziabili”), ma con una riflessione approfondita che delinei nuove prospettive per chiunque abbia a cuore il bene comune e avverta il disagio della situazione attuale.
Non si tratta di fondare un partito cattolico, e nemmeno un partito di cattolici. Anzi, l’incontro è servito a scartare, almeno in questa fase, l’ipotesi di dar vita a una qualsiasi formazione partitica. Anche perché il problema, come si diceva prima, è innanzi tutto culturale. Un partito che sia formato e sostenuto da uomini e donne che condividessero l’attuale atteggiamento mentale e morale verso le grandi questioni della vita associata, si muoverebbe inevitabilmente nelle stesse logiche di quelli che attualmente riscuotono il favore popolare e che sono, in vario modo, responsabili della crisi in atto.
Perciò è necessario – come ho detto in quella riunione, a cui ho partecipato – non solo ricominciare a comunicare, per far conoscere alla gente la dottrina sociale cristiana, ma soprattutto ricominciare a pensare, per adeguare i princìpi di quella dottrina alle situazioni odierne. Se è vero, come diceva il card. Martini poco prima di morire, che la cultura cattolica è in ritardo di duecento anni, è da là che bisogna ripartire, non per adeguarsi passivamente alle nuove mode culturali, ma per fare emergere dal Vangelo tutta la ricchezza che esso contiene implicitamente, in rapporto ai problemi del momento presente. E, oltre a questo sforzo di pensiero, è necessario che ce ne sia uno sul piano educativo, per dar vita a un nuovo senso di cittadinanza, contrastando per quanto possibile l’influsso nefasto che ha avuto in questi anni la televisione, prima quella commerciale di Berlusconi poi, sulla sua scia, anche quella statale.
È appunto su questa linea che il gruppo riunitosi a Roma si sta muovendo. L’arco entro cui è stata avviata questa riflessione di fondo è molto ampio. Tra i partecipanti, la presenza di economisti è molto consistente – bastino i nomi di Stefano Zamagni, Luigino Bruni, Leonardo Becchetti. Ci sono i giuristi, come Franco Casavola e Cesare Mirabelli. Ci sono gli storici, come Alberto Monticone, i filosofi politici, come Giorgio Campanini e Roberto Gatti, i sociologi, come Antonio La Spina. Sono solo alcuni nomi, tra quelli di coloro che stanno dando il contributo della loro competenza e del loro impegno per questa iniziativa.
Si sta cominciando con la stesura di una carta – da elaborare in tempi brevi e della quale, nell’incontro del 25, è stata presentata e discussa una prima bozza – , su cui provare a realizzare la convergenza del variegato mondo cattolico, dalle associazioni, ai movimenti, ai frequentatori delle parrocchie, ma anche di quanti, al di là di ogni differenza confessionale, avvertono impellente l’esigenza di un profondo rinnovamento della politica italiana, che non sia soltanto procedurale.
È ancora soltanto un inizio. So già cosa ne diranno gli scettici e egli sfiduciati, che in questi anni sono diventati una vera legione: parole, illusioni, tempo perso. Ricorderanno che di tentativi come questi, negli ultimi anni, ce ne sono stati tanti, sempre falliti, ultimi i due incontri fatti a Todi e conclusisi con un buco nell’acqua.
D’accordo. Ma l’alternativa qual è? La rassegnazione allo stato di cose attuale, continuando a lamentarsi di esso senza muovere un dito per cambiarlo? L’espatrio in Paesi dove la politica mantiene ancora un minimo di dignità? A fronte di queste ipotesi, la via intrapresa nell’incontro di Roma, pur nella sua fragilità, appare più plausibile. Nessuno nega che si stia intraprendendo una battaglia impari. Ma talora la vita è più generosa di quello che ci saremmo aspettati. Molti cambiamenti sono avvenuti, nella storia degli uomini, contro tutte le ragionevoli previsioni. E a volte ad essere decisivo è stato – e forse lo è ancora in questo momento – , almeno da parte di qualcuno, il coraggio di sperare.
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