di Noemi Giunta
Questa volta per scrivere mi sono vestita di tutto punto. Computer sulla scrivania. Niente divano. Ognuno ha le sue debolezze feriali, soprattutto se, per esigenze di servizio (lavoro in sala stampa alla Camera), è costretto a rispettare un certo dress code.
Ma per me a Palermo è suonata una sveglia mentale. Forma è sostanza, quindi smetto gli indumenti domestici quelli dell’abitudine, della pigrizia, come ho capito di dover fare con i pensieri.
Giornalismo professione intellettuale, si dice. E poi ti accorgi che il tuo cervello macina, in versioni diverse, sempre gli stessi argomenti (la politica è ripetitiva, a quanto pare). Più pensieri, più parole, uguale più persona.
L’emergenza è individuale prima che sociale, ci si dimentica facilmente di se stessi. Poi ti trovi una sera quasi schiacciata dalla potenza del Duomo di Monreale con qualcuno che, come se ti leggesse nel pensiero, dice che “la bellezza è solo l’inizio del terribile, ferisce, inquieta, turba” perché è la luce “continuamente riposta nelle tenebre di grembi oscuri“. Bene, allora è tutto regolare. La bellezza mi dà le vertigini, ma recepisco il suo messaggio, accetto la sfida.
“Abbiamo bisogno di un pensiero che artigli la coscienza”, dice il cardinale Ravasi. E’ vero e lo è per molti, anche per quelli che non ne sono ancora consapevoli. Nel Duomo il silenzio è assoluto. La provocazione è chiara: uscire dalla mucillagine dell’indifferenza anche verso la nostra stessa vita, ricollegare la coscienza al mainframe dell’Essere, scoprirsi immagine generativa di quella Volontà, semi di senso. Tutto il resto viene di conseguenza.
Il diritto e la morale, la responsabilità e l’impegno, la verità si impone sulla menzogna. Chi uccide, in tutti i modi possibili, una persona non ha giustificazioni se non bugiarde. E “la bruttezza, l’immoralità, l’illegalità uccidono la persona” scandisce Ravasi, mentre nella città sottostante brulicano paradigmi malavitosi. E comunque, rifletto, non c’è bisogno di essere criminali per danneggiare gli altri. Basta essere pigri. “Cultura vuol dire verità”.
Verità? “E’ una dimensione che ci precede e ci eccede, spiega il Cardinale, che si conquista nella ricerca permanente, la verità non si ha, vi si è. L’arte ha una grande forza di rappresentazione della verità, perché tende all’infinito e mostra l’invisibile nel visibile”. Anche il mio lavoro ha molto a che fare con la verità, soprattutto con il suo difficile discernimento. L’uomo, ricordano, si distrugge con una politica senza principi. Mi torna molto utile allora il settenario indiano: ricchezza-lavoro; intelligenza-carattere; affari-morale; scienza-umanità; religione-fede; amore-sacrificio di sé.
Ora un rapido zibaldone di pensieri, espressi da alcuni relatori, e che in me hanno avuto una particolare risonanza.
Remi Brague – Il perdono è essenzialmente personale, la persona è il soggetto e l’oggetto del perdono. Il perdono implica la presa in carico della propria responsabilità.
Nando Dalla Chiesa – Dio misura il cammino della persona, le sue fatiche, più che i risultati. Il giusto non è il senza macchia, ma chi nel momento decisivo che la vita gli propone prende la responsabilità di fare del bene agli altri.
Enrico Rusconi – La Chiesa si occupa di tante cose e sullo sfondo restano incarnazione e redenzione. Ma voi cosa capite della prima parte del Credo?
Francesco D’Agostino – In certo laicismo c’è la convinzione che le religioni siano pericolose al contrario del sistema dei diritti umani. Ma c’è un fondamentalismo anche nei diritti umani es. terrore giacobino: sii mio fratello oppure ti uccido. La religione riconcilia l’individuo con l’assurdità del mondo, i diritti umani no, hanno una chiave strettamente procedurale.
Ugo Perone – Non c’è nessun per me e per noi che non sia anche per tutti, non c’è nessun per tutti che non sia anche per me e per noi. Il comunismo ha sacrificato il per me al per tutti, i liberali partono dal per me per arrivare teoricamente al per tutti. La perfetta corrispondenza tra per noi e per tutti non c’è, c’è n’è una possibile.
Giuliano Amato – La democrazia deve mantenere un’area di intolleranza verso gli assoluti su cui si fonda, es. dignità dell’essere umano. Il punto è quando vengono sostenute posizioni assolute su temi sui quali si può negoziare. Affermazioni che attengono a questioni penultime come se fossero questioni ultime e viceversa.
Infine un paio di riflessioni a latere.
La prima è che la formula del Cortile dei Gentili è geniale perché, pur essendo uno spazio virtuale e nomade, crea contatti reali, fisici tra persone e lascia dietro di sé insediamenti stabili di dialogo e approfondimento. Dunque è un mezzo di incontro e comunicazione ampio come il web, ma vero come una stretta di mano. La seconda riflessione è che, se il Cortile viene richiesto in decine di luoghi diversi, è perché echi della “sveglia” sono arrivati lontano, e nella cosiddetta società liquida del pensiero debole sono molti invece, credenti e non, ad accettare la sfida sui massimi sistemi, a sentirne l’urgenza.
Questo è molto entusiasmante, c’è una grande voglia di farne parte.
Da
http://www.cortiledeigentili.com/it/articoli/item/513-il-cortile-di-palermo-una-testimonianza.html
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