Le critiche del ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Valditara alla preside Savino, per la lettera inviata ai suoi studenti dopo l’aggressione subìta da quelli del liceo Michelangiolo, hanno suscitato un’ondata di reazioni da pare di esponenti dei partiti. Qui vorremmo provare a rivisitare tutta la vicenda da un punto di vista che è certamente politico, ma privilegia l’aspetto educativo.
I fatti
Cominciamo dai fatti che stanno all’origine della polemica. Sabato 18 febbraio, davanti al liceo Michelangiolo di Firenze, due studenti del Collettivo sono stati aggrediti e picchiati da sei membri di Azione studentesca, una organizzazione giovanile di estrema destra, esterni alla scuola.
Questa, almeno, la versione più diffusa. Anche se è giusto far presente che, secondo il parlamentare Federico Mollicone di FdI, presidente della Commissione Cultura della Camera, «se si vede il video integrale si nota che è stato un fronteggiamento fra due gruppi».
In verità, anche le testimonianze portate da giornali di destra per sostenere questa tesi non attribuiscono agli studenti del collettivo se non degli spintoni, mentre da parte degli altri ce ne sono state innegabilmente di molto più gravi. L’interpretazione che parla di “aggressione” sembra dunque la più corretta.
Due sono state le risposte all’accaduto. Una è stata la manifestazione a campo di Marte, in cui tremila persone – molti studenti e insegnanti – hanno sfilato con striscioni contro il fascismo e contro il governo Meloni.
La lettera della preside
L’altra è stata la circolare della dirigente scolastica del liceo Leonardo Da Vinci, Annalisa Savino. Rivolgendosi ai suoi studenti, la preside, prendendo atto delle reazioni e delle «omesse reazioni», ricordava loro due cose. La prima è che «il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone. È nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti. “Odio gli indifferenti” – diceva un grande italiano, Antonio Gramsci».
La seconda cosa che la Savino si proponeva di ricordare è che «è in momenti come questi che, nella storia, i totalitarismi hanno preso piede e fondato le loro fortune, rovinando quelle di intere generazioni. Nei periodi di incertezza, di sfiducia collettiva nelle istituzioni, di sguardo ripiegato dentro al proprio recinto, abbiamo tutti bisogno di avere fiducia nel futuro e di aprirci al mondo, condannando sempre la violenza e la prepotenza.
Chi decanta il valore delle frontiere, chi onora il sangue degli avi in contrapposizione ai diversi, continuando ad alzare muri, va lasciato solo, chiamato con il suo nome, combattuto con le idee e con la cultura. Senza illudersi che questo disgustoso rigurgito passi da sé. Lo pensavano anche tanti italiani per bene cento anni fa ma non è andata così».
La presa di posizione del ministro
Il ministro Valditara – il quale fino a quel momento non aveva ritenuto opportuno intervenire sugli atti di violenza (da dove forse il riferimento della preside alle «omesse reazioni») – lo ha fatto invece sulla circolare della preside, nel corso del programma Mattino 5.
«È una lettera del tutto impropria», ha detto, «mi è dispiaciuto leggerla. Non compete a una preside, nelle sue funzioni, lanciare messaggi di questo tipo. E poi il contenuto non ha nulla a che vedere con la realtà dei fatti. In Italia non c’è pericolo fascista, né una deriva violenta e autoritaria. Difendere le frontiere e ricordare l’identità di un popolo non ha nulla a che vedere con il fascismo, o peggio con il nazismo. Quindi inviterei la preside a riflettere più attentamente sulla storia e sul presente».
«Queste iniziative» ha poi aggiunto il ministro – «sono strumentali ed esprimono una politicizzazione che auspico non abbia più posto nelle scuole».
Riguardo poi alle minacce di morte rivoltegli durante il corteo di Campo di Marte, ha risposto: «Trovo ci sia sempre più un attacco alla libertà di opinione e un alzare i toni trasformando la polemica in una campagna di odio, delegittimazione e falsificazione talvolta della realtà. Chiedo ai partiti dell’opposizione maggiore responsabilità. E intanto mi aspetto solidarietà anche dalla preside che ha scritto la missiva».
La minaccia dell’indifferenza
Più che il fatto in sé del pestaggio, qui ci interessa il confronto che esso ha suscitato. E, in primo luogo, la riflessione a cui la preside Savino ha invitato i suoi studenti, mettendoli in guardia contro una “cultura dell’indifferenza” che può diffondersi, specialmente tra i giovani, «nei periodi di incertezza, di sfiducia collettiva nelle istituzioni, di sguardo ripiegato dentro al proprio recinto».
In un paese dove alle ultime elezioni nazionali l’astensionismo è salito al 36,1% – 9 punti in più rispetto al 2018 -, e a quelle svoltesi in due regioni rappresentative come il Lazio e la Lombardia ha addirittura raggiunto il 60% – oltre 30 punti in meno di quelle precedenti – , il monito della Savino contro l’indifferenza dei singoli nei confronti di ciò che accade intorno a loro appare più che appropriato.
Davvero è l’indifferenza la grande minaccia che incombe sulla nostra democrazia. Ed è storicamente vero che «in momenti come questi che, nella storia, i totalitarismi hanno preso piede e fondato le loro fortune»
Come è appropriato il riferimento alla sfiducia dei giovani nel futuro, in un contesto in cui la crisi delle ideologie che ne promettevano uno radioso ha dato luogo al venir meno di ogni vera progettualità volta a ripensare la nostra società in termini che non siano quelli angusti dell’andamento del Pil.
Che poi questo coincida con l’avvento al potere di partiti che fondano la loro capacità di attrazione sulla «difesa delle frontiere», sulla difesa dell’identità nazionale e sulla diffidenza verso chi è diverso, non sembra davvero una coincidenza e comunque è una tesi plausibile.
Il ministro Valditara ha il pieno diritto di pensare che «in Italia non c’è pericolo fascista, né una deriva violenta e autoritaria» e che «difendere le frontiere e ricordare l’identità di un popolo non ha nulla a che vedere con il fascismo, o peggio con il nazismo». Ma anche lui forse dovrebbe «riflettere più attentamente sulla storia e sul presente» e non ritenere ovvia la sua prospettiva.
A scuola si deve parlare di politica?
Tutto questo riguarda il merito del dibattito che, come tutti veri dibattiti, non può che restare aperto. Vi è però un risvolto importante da non perdere di vista, ed è che esso si svolge nel contesto del nostro sistema di istruzione e pone perciò in questione il rapporto tra scuola e politica.
È la principale accusa che il ministro rivolge alla Savino: «Non compete a una preside, nelle sue funzioni, lanciare messaggi di questo tipo». Il motivo, ai suoi occhi, è che «queste iniziative sono strumentali ed esprimono una politicizzazione che auspico non abbia più posto nelle scuole».
Questo è il punto: nella scuola non ci deve essere spazio per la politica. Ma è davvero così? Certo, se per politica si intende la squallida propaganda partitica a cui da troppo tempo siamo abituati, una istituzione che mira alla crescita culturale delle nuove generazioni non può prenderla in considerazione che per denunziarne l’inconsistenza. Ma già questo compito critico ha una valenza politica.
E ad esso la scuola deve educare dei cittadini e futuri elettori. Come deve aprire loro le prospettive e le regole di una “vera” politica, che cerchi, come è nella sua natura, non la difesa di interessi particolari, ma il bene comune. Non è questo che dovrebbe fare l’Educazione civica, da poco introdotta come materia obbligatoria nelle scuole?
La falsa alternativa delle occupazioni studentesche
Proprio il distacco della cultura scolastica dalla politica, con la conseguente incapacità di valorizzarla nel contesto di una formazione globale della personalità, è una delle cause della disaffezione dei giovani nei confronti di essa.
Né si può considerare un’alternativa a questa incapacità la pratica – risalente agli anni ruggenti del Sessantotto, ma poi sempre più scaduta nelle sue motivazioni e nei suoi contenuti – delle “occupazioni” e delle “autogestioni” studentesche, ridotte ormai, nella stragrande maggioranza dei casi, ad essere pretesto per una pausa dalle lezioni curricolari.
E del resto, anche là dove l’intento di “parlare di politica” è in esse sinceramente perseguito, è chiaro il loro limite di essere solo delle parentesi, dopo le quali riprende inesorabile il ritmo di un impegno scolastico che ignora l’apertura costante ai temi della politica. Benvenuta, dunque, una lettera autenticamente “politica”, come quella della preside Savino. Che si spera possa essere seguita da una riflessione non occasionale dentro le aule, proprio nei quadri di una seria Educazione civica.
Non con gli insulti e le minacce
Dove il ministro ha ragione è nella denunzia di reazioni scomposte, che invece di contribuire al recupero della dimensione politica ne sono la negazione. Non è certo con gli insulti e con le minacce che si cresce e si fa crescere nella lotta per la verità e la giustizia.
Questo era proprio ciò che facevano i fascisti. Così la democrazia muore, stritolata tra il pericolo dell’autoritarismo da parte di istituzioni sempre meno rappresentative (in Lazio e Lombardia i vincitori rappresentano in realtà due cittadini su dieci!) e quello di una protesta che le contesta con cieca violenza. Abbiamo già visto questi scenari al tempo delle Brigate rosse e non abbiamo alcun interesse, come cittadini, a riprodurli. Anche da essi la scuola oggi deve mettere in guardia.
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