di Valeria Viola
Stando ad uno studio recente dell’O.E.C.D., Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo (http://www.oecd.org/site/piaac/surveyofadultskills.htm), gli individui con scarse doti ed abilità hanno più di altri difficoltà a trovare lavoro.
Questa cosa potrebbe sembrare ovvia se ritenessimo, come siamo abituati a fare, che l’acquisizione delle competenze dipenda dal grado di istruzione: in altre parole, riterremmo logico che chi va più avanti con il suo corso di studi (scuola dell’obbligo – scuola superiore – università – specializzazione) abbia più competenze e, quindi, più possibilità di trovare lavoro.
Questo modo di pensare, radicato nella nostra tradizione umanistica, è ormai superato e la percentuale di disoccupazione dei nostri laureati avrebbe già dovuto evidenziarlo abbondantemente.
Il sondaggio, infatti, approfondisce questo punto e sorprendentemente rivela il gap tra le competenze di base ed i livelli di formazione tradizionali: come elemento misuratore sono state prese in considerazione le capacità di lettura e di calcolo, nonché la familiarità con le nuove tecnologie e si è rilevato che, tra i laureati, queste sono straordinariamente basse nei paesi (tra cui l’Italia, ahimè) in cui non si è incentivato il livello di competenza generale della popolazione; al contrario, in paesi come Giappone e Finlandia (che, oltre tutto, hanno sistemi di istruzione molto diversi fra loro), le competenze di base sono già largamente raggiunte da individui che non hanno il diploma superiore.
C’è di più: in Italia (come anche in Inghilterra, Germania, Polonia e USA) il background sociale gioca ancora la parte del leone, ciò vuol dire che, laddove ci sono genitori istruiti (generalmente di ceto medio-alto) ed attenti alla formazione – anche extra-scolastica – dei loro figli, questi ultimi riescono ad acquisire delle abilità da sfruttare non solo in campo accademico ma anche in quello lavorativo, mentre nel caso di famiglie con un livello di istruzione basso, sarà bassa anche la prestazione (nello studio e nel lavoro) dei loro figli, ferme restando le pochissime lodevoli eccezioni.
Tutto ciò decreta il fallimento dell’istruzione pubblica che molti insegnanti testano quotidianamente.
D’altra parte, è stato calcolato che le persone di grandi capacità che si immettono nel mondo del lavoro, sono sempre in numero più o meno uguale a quelle che si ritirano, non c’è, in nessun paese tra quelli citati, un aumento delle competenze e delle abilità al mutare della generazione. Il dato ovviamente si fa più drammatico in un momento di crisi del lavoro com’è quello attuale, quando non solo i posti di lavoro diminuiscono e la concorrenza per essi si fa spietata, ma molti di quelli che hanno un alto livello prestazionale sono costretti ad emigrare perché nella lotta non vedono valorizzati i propri meriti. Il caso narrato nel romanzo “Un barca nel bosco” di Paola Mastracola (Premio Campiello nel 2004) diviene, quindi, tristemente esemplificativo.
La soluzione? L’OECD afferma che l’apprendimento non debba assolutamente fermarsi alla scuola e dichiara necessario puntare sulla formazione continua, i cui benefici non sono solo individuali ma sociali ed economici.
In questa direzione si inserisce il lavoro dei musei e, quindi, la nostra ricerca per vedere chi a Palermo si è adeguato alla nuova formula di “museo come luogo di formazione”.
Oggi abbiamo le risposte della Galleria d’Arte Moderna (http://www.galleriadartemodernapalermo.it), che da anni porta avanti un lavoro egregio da questo punto di vista.
Così ci hanno risposto la Direzione del Museo congiuntamente allo staff Didattica di Civita Sicilia:
Da quanti anni Vi occupate di Didattica alla GAM?
La GAM si occupa di didattica da tanto tempo ma dal 2006 è stata inaugurata una nuova formula. La Direzione del Museo, grazie ad una sapiente rete di relazioni scientifiche, ha promosso la nascita di un Comitato scientifico di riferimento sulle collezioni. Le attività didattiche dal 2006 sono affidate ad un gestore privato, ma la progettazione è sempre sottoposta al vaglio della Direzione e raccoglie i suggerimenti del Comitato Scientifico. Dunque noi ci occupiamo di attività educative alla GAM dal dicembre 2006.
Cosa pensate che il museo abbia lasciato alla città in questi anni?
La principale conquista credo sia stata contribuire a diffondere un’idea nuova di museo, superare le resistenze soprattutto del pubblico adulto, nei confronti del quale tanto lavoro rimane da fare. L’idea nuova è quello di un museo come luogo di educazione e di intrattenimento, spazio per apprendere nel senso più attuale che si dà al termine, come processo e non come effetto. Il Museo è un luogo dove essere attivi, dove si possono fare delle domande senza paura a se stessi e agli altri e dove tali domande hanno un’importanza maggiore delle risposte. Il Museo è un luogo dove giocare perché apprendere giocando è più facile e funziona. Il Museo è un luogo dove è bello incontrarsi, dove ritrovare un tempo per stare con i bambini, nella calma ma non nell’immobilità.
Cosa pensate che l’esperienza abbia lasciato al museo?
Noi crediamo che l’esperienza educativa del Museo abbia un ruolo fondamentale anche e soprattutto per il Museo stesso. L’incremento di visitatori dal 2006 ad oggi, la cospicua presenza di bambini ha dato un senso ancora più profondo all’esistenza del Museo, motivando di per sé il lavoro del personale. Anche l’attività educativa accanto a quella espositiva ha contribuito a portare la GAM all’interno di una rete nazionale di riferimento, a far sì che di GAM si parli sotto i diversi aspetti della vita museale.
Ringraziando tutto lo staff della GAM per la disponibilità , Vi lasciamo con una piccola chicca: cosa succede se chi vuole apprendere non può raggiungere la sede del museo?
Ha risposto a questo inconveniente il Museo di Arti Applicate di Racine, in Wisconsin (USA), che mette a disposizione un variopinto furgoncino per portare fin dentro le scuole, i centri civici o le case d’accoglienza per anziani, la qualità dei suoi programmi di apprendimento.
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