Il balzo della Schlein
Il balzo in avanti dei consensi (un milione e ottocentomila voti!) che il partito democratico ha registrato, secondo tutti i sondaggi, all’indomani dell’elezione di Elly Schlein alla segreteria, premia senza dubbio una scelta coraggiosa di rinnovamento che la figura della nuova segretaria sembra impersonare, non solo per la sua giovane età, ma anche per una “storia” personale che la colloca al di fuori delle logiche burocratiche dell’apparato del PD e la rende felicemente “alternativa”.
E ce n’era davvero bisogno, in una struttura partitica che da troppo tempo sembrava aver perso la carica innovativa delle origini e appariva a molti più la garante dell’esistente che non la promotrice del cambiamento. Significativo il suo declino elettorale, sia a livello nazionale che nelle ultime elezioni regionali, caratterizzate da un dilagante astensionismo – sei elettori su dieci! – che tutto lascia pensare abbia riguardato soprattutto l’elettorato di sinistra.
Già nella tornata elettorale del 2018 gli italiani avevano cercato altrove – nei 5stelle soprattutto – chi potesse far sperare in un rinnovamento radicale (che poi non c’è stato). Ora, dopo le delusioni di queste aspettative, si sono rivolti a un partito come Fratelli d’Italia (l’unico vero vincitore, stando al responso delle urne) e a un volto nuovo, com’era Giorgia Meloni, preferendo correre il rischio della novità che la certezza della routine.
È questa voglia di uno stacco dal passato che probabilmente ha giocato un ruolo decisivo anche nell’ascesa della Schlein. E lei ha subito corrisposto a questa istanza della base assumendo atteggiamenti ben più dinamici di quelli a cui ci avevano abituato gli ultimi segretari del PD e interpretando con maggiore decisione il suo ruolo di leader dell’opposizione.
È in questo contesto che si colloca anche la partecipazione, a Milano, alla manifestazione di protesta contro le restrizioni imposte dal nuovo governo alla registrazione dei figli delle coppie gay.
Problemi di stile
Ma proprio quest’ultima mossa, insieme all’annuncio di una prossima proposta di legge del PD per riconoscere i diritti delle famiglie omogenitoriali, ha suscitato una serie di riserve non solo e non tanto da parte della destra, quanto di personalità della stessa sinistra e di osservatori indipendenti.
Alcune di queste riserve si riferiscono al metodo. È il caso dei bonari, ma espliciti, avvertimenti provenienti dal “padre nobile” del PD, romano Prodi, alla nuova segretaria: «Se riduciamo tutto a una piazza finiamo male», ha detto l’anziano leader. Ricordando che «la piazza è anche un modo di rincuorare, è un modo di stare insieme, è importante. Ma guai alla piazza sola».
Un monito che appare particolarmente significativo in un contesto in cui la nuova segretaria, sull’onda del’entusiasmo del raduno milanese, ha affermato che «è già pronta una legge per il Parlamento scritta assieme alle associazioni», senza neppure aver avuto il tempo di consultare la nuova direzione, appena costituita, in cui sono rappresentate e avrebbero dovuto confrontarsi le diverse anime del partito.
Sono in gioco i diritti dei bambini o i desideri degli adulti?
Ma i problemi sollevati dalla presa di posizione della Schlein sono soprattutto quelli che riguardano il merito della sua iniziativa. La manifestazione di Milano ha avuto come bandiera la difesa dei diritti dei bambini delle coppie omogenitoriali. «Contro questi bambini e bambine crudelmente si sono scagliati coloro che oggi governano il paese, ma sono bimbi come tutti», ha detto la segretaria del PD al termine.
Il punto è che, per quanto riguarda i bambini già nati da queste coppie esiste una sentenza della Corte costituzionale che prevede la possibilità della cosiddetta step child adoption, l’«adozione in casi particolari», che, scavalcando tutti i criteri a cui devono sottostare normalmente le coppie eterosessuali, consente al giudice di dare in adozione un bambino anche in situazioni che non avrebbero consentito di giungere all’adozione piena, per tutelare il diritto del minore alla famiglia.
Sul terreno di una ragionevole sanatoria delle situazioni già in atto si possono naturalmente fare ulteriori passi, ma non è quello che chiedevano i manifestanti di Milano e a cui mira la segretaria del PD. Ciò che essi vogliono è piuttosto che sia garantito anche per il futuro un regime di automatica trascrizione delle genitorialità riconosciute all’estero, anche quando siano realizzate in forme contrarie alle leggi del nostro paese, com’è la maternità surrogata o “gravidanza per altri” (Gpa), una pratica vietata in Italia ma permessa in altri paesi, tra cui alcuni aderenti alla UE, anche se in questi ultimi solo a titolo gratuito.
Il problema riguarda dunque i bambini che ancora non sono nati (anzi, neppure concepiti) o, per essere più precisi, le coppie di adulti – siano esse omo o eterosessuali – intenzionate ad averli ricorrendo a questa pratica. È a tutelare queste coppie, non i figli (che ancora non ci sono), che è evidentemente volta la proposta di legge annunciata dalla Schlein.
E quando si parla di “diritti”, non si parla di quelli indiscutibili (e indiscussi) dei bambini, ma di quelli, più problematici, degli aspiranti genitori, per cui vale evidentemente la logica oggi dominante secondo cui ogni desiderio viene trasformato automaticamente in un bisogno, ogni bisogno in una pretesa, ogni pretesa in un diritto.
Ora, come ha notato una nota femminista, Luisa Muraro, «non esiste un diritto di avere figli a tutti i costi», anche se «ce lo vogliono far credere». E il più che legittimo desiderio di averne non può essere realizzato attraverso una pratica che, per usare le parole di un’altra femminista militante, Sylviane Agacinski, tratta «una donna come un mezzo di produzione di bambini» e che implica inevitabilmente «relazioni economiche sempre diseguali», tra un committente ricco e una donna che per denaro accetta di far crescere dentro di sé un bambino – stabilendo con lui quell’intimo rapporto che ogni gravidanza comporta, per poi essere obbligata a separarsene.
Il corpo in vendita
A questo punto si dovrebbe legittimare anche la vendita degli organi, magari invocando i “diritti” degli acquirenti ad essere sani. La verità è che la maternità surrogata o Gpa, la si chiami come si vuole, è la forma più estrema di mercificazione del corpo umano e l’ultimo atto di un neocapitalismo che, con essa, assoggetta alla logica mercantile perfino l’evento profondamente umano della maternità.
Che poi, in qualche paese, sulla carta ciò venga subordinato alla condizione della gratuità è, come è stato detto a chiare lettere da una sostenitrice di questa pratica, solo «una grande menzogna»: «desiderare una Gpa altruistica e senza scambi di denaro non solo è mostrare di vivere al di là del mondo reale, ma è anche un’opzione estremamente pericolosa: è solo dare l’opportunità ai delinquenti e criminali di ogni genere di schiavizzare davvero le donne e usare i loro grembi a fine di lucro».
In realtà, la nuova battaglia in cui Elly Schlein sta imbarcando il Partito Democratico non è affatto, contrariamente a quanto continuano a sostenere i giornali di destra, una forma di estremismo di sinistra. A dire il vero non è neppure una vera svolta nella linea di questo partito, che da molto tempo, ormai, si occupa molto più dei cosiddetti “diritti” individuali che delle questioni legate alla giustizia sociale.
Una linea che ha alle spalle una visione rigorosamente “di destra”, che si ispira alla definizione data da uno dei padri dell’ideologia liberale, il filosofo del Seicento John Locke, il quale propose di sostituire il concetto medievale di persona, caratterizzato dall’ “essere”, con uno fondato invece sull’ “avere”.
“Persona” vorrebbe dire, secondo lui, essere proprietari di se stessi, del proprio corpo, delle proprie facoltà, del proprio lavoro e poterli perciò dare liberamente in vendita o in affitto.
Coerentemente, anche la libertà del singolo – modellata sul concetto di proprietà privata – veniva definita in termini assolutamente insulari, come autonomia e potere di fare ciò che si vuole di se stessi senza doverne rispondere a nessuno. Una definizione perfettamente adeguata alle esigenze del capitalismo nascente, che si basò su di essa per giustificare la mercificazione degli operi salariati e del lavoro.
Lo stesso figlio concepito e generato in quest’ottica mercantile è ridotto a “cosa”. Perché, come dice la Agacinski, «ordinare un bambino e saldarne il prezzo alla nascita significa trattarlo come un prodotto fabbricato e non come una persona umana». Altro che “diritti del bambino”!
La sinistra deve decidere cosa essere
È questa la “filosofia a cui si è sempre più ispirata la cosiddetta “sinistra” (ma il liberalismo è di destra!), nelle sue battaglie per l’aborto (“l’utero è mio e ne faccio quello che voglio”), per l’eutanasia e ora per la maternità surrogata.
Questa linea ha progressivamente svuotato, negli anni, la concezione originaria del Partito democratico, nato dall’unione tra socialisti e cattolici democratici sulla base della comune battaglia contro quella che Marx chiamava la «reificazione» (riduzione a res, a “cosa”, dell’essere umano) e contro il selvaggio individualismo che, nella società capitalistica, la legittima, rompendo i legami di fraternità (secondo il cristianesimo) e di solidarietà sociale (secondo il socialismo) che rendono ogni essere umano responsabile nei confronti degli altri.
Da qui l’indebolimento della carica rivoluzionaria che sia il socialismo sia il cristianesimo dovrebbero avere nei confronti della società del profitto e della sopraffazione del più forte nei confronti del più debole. Sotto i governi di cui il PD è stato parte in questi ultimi anni si è arrivati in Italia a cinque milioni e mezzo di cittadini in condizioni di povertà assoluta ed è stato un ministro dell’interno di questo partito, Minniti, a inaugurare la politica di accordi con la Libia che ha dato luogo ai disumani campi di detenzione sul territorio africano. Senza dire che anche l’accoglienza verso i migranti che sono riusciti ad arrivare in Italia non si è finora mai tradotta in un progetto organico di integrazione.
A dire il vero la Schlein, proprio all’indomani della sua elezione a segretaria, ha parlato di problemi di giustizia sociale, come il salario minimo. Questa sì sarebbe una svolta rispetto al passato e un ritorno alle origini autentiche del PD. Ma siamo davanti a una filosofia opposta e incompatibile rispetto a quella dell’individualismo possessivo ed egocentrico che sta dietro la logica della maternità surrogata.
Questa proposta porta all’estremo una tendenza già esistente ed evidenzia ancora più fortemente il problema. È ora che il Partito democratico faccia una scelta coerente. Consapevole che, se essa fosse quella di continuare ad essere una riedizione del vecchio partito radicale (che di sinistra non aveva nulla), i cattolici e i socialisti degni di questo nome non potrebbero più considerarlo casa loro.
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