La democrazia nella crisi
La crisi prodotta dal Covid-19 ha messo duramente alla prova il modello sociale, politico, economico e culturale promosso dall’occidente. Tale modello trova sintesi negli istituti democratici recentemente incalzati dalla crescita dei populismi e dei sovranismi. Ritornare alle radici del pensiero democratico promosso da uomini come Luigi Sturzo potrebbe rappresentare un’importante occasione di riforma tanto del pensiero quanto della prassi connesse alle odierne democrazie.
Discutiamo di questo tema con Flavio Felice. Professore ordinario di Storia delle dottrine politiche all’Università del Molise, Felice è presidente del Centro Studi Tocqueville-Acton e del Consiglio Scientifico dell’Istituto di Studi politici San Pio V. Per i tipi della Rubbettino, Felice ha recentemente pubblicato il volume I limiti del popolo. Democrazia e autorità politica nel pensiero di Luigi Sturzo.
– Professore, fra populismo e popolarismo esiste una notevole differenza. Perché il pensiero di Sturzo è fondamentale per comprendere tale diversità?
Per la semplice ragione che il popolo del populismo non è quello del popolarismo. Credo che esista un’idea di popolo che accomuni le svariate forme di populismo decisamente distante da quella che anima il popolarismo sturziano. Possiamo sintetizzare l’idea di popolo in Sturzo affermando che, nella sua prospettiva, non c’è spazio per quel populismo contemporaneo in cui il leader presenta se stesso come l’incarnazione del popolo, categoria mistica, incarnata da un capo carismatico, né per una nozione di popolo organicistica: l’attributo popolare sta a indicare piuttosto il metodo della partecipazione alla vita civile.
Il popolo per Sturzo esprime una forza sociale di controllo, in quanto esercita la funzione di limite mediante organismi procedurali istituzionali. Per questa ragione il popolo in Sturzo è un concetto «plurarchico», dal momento che il limite esercitato sarà di ordine giuridico, istituzionale e culturale, andando ben oltre la classica distinzione dei poteri di matrice montesquieuiana. Radicando la categoria politica del popolarismo in tale nozione di popolo è evidente che Sturzo individua il problema della politica nella ricerca dei limiti al potere.
Sturzo individua tre categorie di limite che il popolo esercita sul potere politico. Innanzitutto, ciò che egli chiama il «limite organico del potere»: la presenza di una pluralità di centri d’interesse che relativizzano la pretesa primazia del politico sul sociale. In secondo luogo, il «popolo come forza morale di controllo». Il popolo, dunque, come luogo di resistenza etica, mediante la sua articolazione in partiti, sindacati, mass-media, società civile. Infine, il «popolo come limite politico», attraverso l’organizzazione democratica e l’esercizio delle libertà politiche, ciò che Sturzo chiamava il “metodo di libertà”; così inteso, il popolo non esprime la «giustificazione del potere», ma una spina nel fianco nell’esercizio dell’azione politica.
– Sturzo elabora una peculiare riflessione sull’autorità politica e sui limiti della stessa all’interno dei sistemi democratici. Perché anche su questi temi il pensiero del sacerdote siciliano è attuale?
Sturzo vede nel concetto di autorità un principio d’ordine, un mezzo di unificazione, il simbolo stesso della socialità. Egli parte dalla convinzione che non si possa parlare di società, se non come una compartecipazione di idee, di sentimenti, di affetti, di valori e di interessi. Sarà proprio il confliggere e l’intersezione delle azioni poste in essere in nome di tali valori e interessi che conducono Sturzo ad affermare che gli individui in società concorrono, ciascuno nel modo che gli è proprio alla “creazione, attuazione e solidificazione dell’autorità”; per questa ragione egli ribadisce che “l’essenza dell’autorità è la stessa coscienza permanente, attiva, unificatrice e responsabile”. Sturzo riconduce l’autorità alla dimensione personale e alla coscienza individuale, dal momento che nessuno può avanzare la pretesa di possedere il quid dell’autorità su un altro uomo. Certo, per ordinare e orientare al meglio la convivenza civile, gli uomini si organizzano in modo tale che l’autorità di ciascuno non leda e, piuttosto, promuova la libertà degli altri, ma così la persona non rinuncia all’autorità, semmai la orienta ad un fine che giudica superiore (trascendente) proprio per il perseguimento del bene che gli è proprio.
Come armonizzare le autorità? A questo proposito, Sturzo parla di due tendenze: una immanente ed una trascendente. La prima ha a che fare con le passioni e gli interessi che sono presenti nella vita quotidiana di ciascun uomo: lavorare, guadagnare, crescere i figli, realizzare opere. La seconda tendenza è la ragione che trascende le intenzioni immediate, chiedendosi, in definitiva: perché, nonostante tutto: le angosce, le sofferenze, le miserie mie e delle persone che mi stanno accanto, continuo a sacrificarmi? Il fine trascendente è la ragione ultima che ci spinge a vivere e ad andare avanti quando tutti gli indicatori umani ci consigliano di andare indietro; citando Giovanni Paolo II, è la ragione ultima che ci spinge a dire di no alla logica dettata dalle proposizioni ad ogni costo e a qualsiasi prezzo.
– I moderni sovranismi, nel prendere le mosse da una concezione abbastanza controversa di nazione, sembrano minare il cammino già in salita dell’Unione Europea. Sturzo definiva la nazione come “il vincolo morale del popolo”. La sua era una concezione capace di connettersi ad una visione europeista?
Sturzo era convinto che nazionalismo e internazionalismo fossero i due poli attorno ai quali ruotasse la politica e dalla quale dipendessero le sue evoluzioni e involuzioni. In pratica, riprendendo il problema tipicamente kantiano, affermava la necessità di costruire fra gli stati un legame istituzionale vincolante, dunque un vero e proprio ordinamento giuridico che assumesse la forma dello Stato federale. Ecco la condizione ineludibile per eliminare il diritto di guerra e edificare un “internazionalismo senza più guerre”. Sturzo coglie una tendenza che è data dagli innumerevoli tentativi di unificazione del continente e la “federazione europea” sarebbe stata l’ultima fase di un’idea di ordine politico, le cui origini risalgono al crollo dell’impero romano. Quella di un’Europa unita è una tendenza che troviamo in tutti i secoli e assume sempre nuove forme, cercando in tutti i modi di affermarsi. Tuttavia, Sturzo ammette che gli sforzi e i sacrifici si sono sempre infranti contro la “dura realtà” rappresentata dal prevalere dei diritti sovrani delle “case regnanti” o delle “assemblee nazionali”.
La preoccupazione di Sturzo è che l’unione europea possa avvenire nel campo del totalitarismo, piuttosto che in quello della libertà. Di qui il dovere di “potenziare e far valere” le forze di resistenza e di ricostruzione, tra le quali: 1. un’organizzazione interna dei singoli stati moralmente ed economicamente “salda e coerente”; 2. La volontà da parte dei governi di “difendere l’ordine del paese da qualsiasi attentato sovvertitore, sia all’interno sia all’esterno”; 3. Il superamento di inutili e spesso dannosi residui nazionalistici e di puntigli di sovranità. Sturzo proponeva la creazione di un’assemblea formata dai rappresentanti delle camere di ogni paese membro, riconoscendo a ciascuno stato membro l’autonomia di stabilire le modalità procedurali per la scelta dei propri rappresentanti. Sturzo ammette che i rappresentanti dei parlamenti, e non dei governi, tanto che siano espressione della maggioranza quanto della minoranza, possano essere portatori di istanze che si distanziano dalla linea di governo ed essere persino contrarie ad esse.
– Nel suo ultimo libro su Sturzo lei lo definisce un pensatore – oltre che un leader politico – personalista. Le caratteristiche del personalismo sturziano in cosa differiscono dal movimento francese promosso da studiosi come Mounier e Maritian?
Sturzo è un pensatore originale e decisamente fuori dagli schemi. Il suo personalismo si basa sul fatto che la “base del fatto sociale” è la persona, definendo la società come “la proiezione multipla simultanea e continuativa” dell’azione individuale. A tal proposto, vorrei riportare lo stralcio di un’interessante lettera che Sturzo indirizza a Maritain nel 1942, in riposta all’invito che il filosofo francese gli rivolge di firmare un manifesto redatto dallo stesso Maritain. Credo che questo estratto possa mostrare la peculiarità del personalismo sturziano e, dunque, le differenze con altre espressioni del personalismo.
Sturzo appare disturbato da una certa «riserva antiparlamentare» che egli ravvisa nel documento e così risponde a Maritain: «Per me, leader della democrazia cristiana da 47 anni (1895), ancora in prima linea, sarà molto difficile accettare la definizione e i limiti proposti nel documento. Ero contro la democrazia individualista, ma se devo scegliere tra questa e qualsiasi regime autoritario, sceglierò la prima, perché sarò libero di combatterla. Esiste anche una riserva antiparlamentare che mi sembra ambigua. Nessun sistema democratico moderno è possibile senza un parlamento legislativo; il suffragio universale sarebbe inutile senza un parlamento».
Il personalismo di Sturzo coglie il contributo del liberalismo anglosassone, del cosiddetto modello Westminster, si pensi alla declinazione al plurale della nozione di popolo e, nel secondo dopoguerra, alla condivisione del sistema elettorale maggioritario, al suo rifiuto categorico di qualsiasi organicismo e al definitivo abbandono di ogni nostalgia corporativistica che ancora affascinava non pochi cattolici in Europa. Sturzo, sin da giovane, fa una precisa scelta di campo: la democrazia liberale fondata sul metodo della libertà e sul principio di rappresentanza; il portato stesso del liberalismo. Tale scelta comporta la democrazia come “regime dell’opinione e del diritto” e l’economia di mercato come strumento di inclusione sociale; la democrazia sta ai processi politici come il mercato sta a quelli economici, i due pilastri di un ordine sociale indisponibile al privilegio e argine alla deriva oligarchica, dove la dignità di ciascuna persona svanisce in nome della ragion di Stato, del privilegio cetuale e della cristallizzazione delle élite. La democrazia liberale e il mercato competitivo implicano la contendibilità del potere e la potenziale riduzione delle rendite di posizione, strumenti umili e contingenti nelle mani di persone imperfette, in quanto fallibili ed ignoranti, ma desiderose di migliore la propria condizione e di farlo insieme ad altri e non contro altri. Credo che questa visione della democrazia liberale e del mercato competitivo abbia rappresentato una specificità del pensiero sturziano rispetto al personalismo continentale e lo abbia arricchito di alcuni aspetti della cultura politica liberale anglosassone.
– In occasione della ricorrenza del centenario dalla fondazione del Partito Popolare, alcuni intellettuali come padre Bartolomeo Sorge hanno sostenuto l’esistenza di un legame fra il pensiero politico di Sturzo e il magistero sociale di papa Francesco. Concorda?
Sinceramente non amo questo tipo di accostamenti, per la semplice ragione che l’elaborazione teorica di uno studioso e il Magistero pontificio sono su due piani differenti. Il pensiero di Sturzo è solido, sistematico e strutturato, tutti lo possono studiare e criticare; l’opera omnia è online e si può consultare facilmente. Se padre Sorge ha colto un legame tra il pensiero di Sturzo e il pensiero di Papa Francesco mi fa piacere e ne prendo atto, questo vuol dire che il pensiero politico ed economico sturziano è ancora vivo anche nel Magistero sociale della Chiesa e da sturziano non posso che rallegrarmene. Vediamo però di fare chiarezza su che cosa significhi essere sturziani sul fronte politico ed economico. La declinazione del pensiero sturziano in ambito politologico ed economico comporta l’individuazione di tre categorie concettuali alle quali Sturzo assegnava la funzione di “male bestie” della democrazia: “statalismo”, “partitocrazia” e “spreco del denaro pubblico”, come indicatori del modello popolare.
Lo statalismo, che andrebbe contro il principio di libertà, consiste nel sistematico e pervasivo intervento dello Stato nelle questioni che riguardano la libera e responsabile capacità delle persone di dar vita ad iniziative economiche; per Sturzo «Lo Stato è inabile a gestire una semplice bottega di ciabattino». La partitocrazia andrebbe contro il principio di uguaglianza e consiste nell’ingerenza irresponsabile dei partiti e dei sindacati nelle funzioni del potere legislativo. Come conseguenza della partitocrazia e dello statalismo, Sturzo intravede le fauci della terza “mala bestia”: lo spreco di denaro pubblico che impedirebbe il perseguimento della giustizia. Questo è, per sommi capi, il programma politico ed economico di Sturzo che, come abbiamo visto, scaturisce da una precisa interpretazione delle nozioni di popolo al plurale e di autorità politica limitata. Egli denuncia la mistificazione che si palesa allorquando si accetti la mitizzazione della nozione di popolo: puro, buono e fedele. Il che comporterebbe uno stravolgimento della tradizionale procedura liberale e democratica, condito da una retorica populistica in nome della volontà del popolo, come se tale volontà esistesse realmente e non fosse invece una delle possibili rappresentazioni convenzionali dell’incerta categoria di “maggioranza”; gli obiettivi polemici di Sturzo sono il “popolo” al singolare, nella sua interezza e nella sua purezza, e l’autorità politica svincolata dal controllo; in breve: un solo popolo, una sola volontà un solo partito.
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