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Il rischio dell’interpretazione

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di Giuseppe Savagnone

 

Nessuno è in grado di prevedere quali saranno i risultati del Sinodo sulla famiglia, apertosi domenica scorsa. Due notazioni, però, sono possibili fin da ora per definirne la novità.

La prima è il clima di forte attesa e di conflittualità che, almeno all’interno del mondo cattolico, ne ha caratterizzato la fase preparatoria. Non ricordo nulla di simile per nessuna delle analoghe assise che si sono svolte in passato. La famiglia rappresenta un nodo essenziale per la vita di ogni uomo e donna ed è comprensibile che a proposito di essa si scatenino passioni contrastanti, in particolare tra chi  chiede a gran voce che la Chiesa adegui le sue posizioni alla situazione attuale e chi, invece, teme una sua resa alle pressioni che vengono dal mondo.

Ognuna delle due fazioni in campo ha, in effetti, delle buone ragioni da esibire. La prima, facendo notare che il Vangelo non è un blocco di dottrine immutabili, ma contiene dei princìpi di fondo che devono volta a volta concretizzarsi nei diversi climi culturali in cui viene annunziato, superando e a volte contraddicendo soluzioni date in contesti diversi – col solo limite delle verità dogmatiche (che tuttavia, come mostrò a suo tempo il cardinale Newman, hanno anch’esse un loro processo di sviluppo nella storia). La seconda, appellandosi alla irriducibilità del punto di vista della Rivelazione divina, di cui la Chiesa dev’essere fedele custode, alle mode e alle preferenze umane, pena il rischio di vanificare lo scandalo del Vangelo e di trasformare i cristiani in quel sale che, come dice Gesù, una volta divenuto scipito è buono solo ad essere calpestato dagli uomini.

 

 

Non esiste da nessuna parte un criterio precostituito per dire in che misura far valere il primo ordine di argomentazioni, e in che misura il secondo, di fronte a questioni concrete. Quello che è sicuro è il valore imprescindibile di entrambi, che dovranno sempre essere tenuti presenti dai padri sinodali in questa riflessione  sulla famiglia. Dio ha messo nelle mani degli uomini non solo la stesura, ma anche l’interpretazione della sua Parola.

Forse preferiremmo avere delle regole assolute e indiscutibili, sottratte alla valutazione umana. Qualcosa del genere di ciò che, nella tradizione islamica, ha portato a rifiutare perfino la traduzione del Corano in lingue diverse da quella – l’arabo – in cui sarebbe stato dettato da Dio a Maometto.

Ma nella visione cristiana le cose stanno diversamente.  In forza del principio dell’incarnazione, il Dio di Gesù Cristo si è consegnato personalmente alla nostra storia e alla nostra responsabilità. Nella persona dei padri sinodali, la Chiesa è chiamata ad assumersi questa responsabilità e dovrà perciò, anche questa volta, correre il rischio di interpretare la Parola, per applicarla alla realtà sempre nuova delle vicende umane, facendo emergere dal testo sacro e dalla tradizione, al di là di ciò che esplicitamente in essi è detto, il non detto (questo significa, appunto, l’interpretazione) che pure vi si nasconde.

Una seconda notazione riguarda l’atteggiamento a cui papa Francesco ha richiamato i partecipanti inaugurando i lavori: «Nessuno dica: questo non si può dire; qualcuno penserà di me così o così… Bisogna dire tutto ciò che si sente con parresìa. E, al tempo stesso, si deve ascoltare con umiltà e accogliere con cuore aperto quello che dicono i fratelli».

Il limite dei sinodi precedenti era stato, secondo molti osservatori, un certo stile ingessato, che aveva impedito al dibattito di uscire dai binari prefissati dall’alto – in altri termini, dalla curia romana e dal papa. Ora tutto sembra indicare che questa volta sarà possibile una discussione senza remore e senza censure. Rientra in questa logica anche la decisione di Francesco di non far dipendere dalla propria revisione la pubblicazione delle conclusioni raggiunte dai vescovi, ma di farle valere, così come saranno al termine dei lavori, senza un preventivo controllo. Sinodo “senza rete”, dunque. Ancora una volta, un rischio. Ma se Dio ha voluto correrlo, mettendosi nelle mani degli uomini, chi siamo noi per cercare a tutti i costi di neutralizzarlo?

 

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