di Giuseppe Savagnone
I numeri sono sconvolgenti: gli italiani, nel 2000, giocavano d’azzardo 4 miliardi di euro; nel 2015, ne hanno giocati 88,2! In termini statistici, ben oltre un decimo della spesa complessiva delle famiglie. Senza contare i soldi che sono stati giocati in nero, nel giro clandestino, che secondo stime approssimative ammontano a un’altra ventina di miliardi. Certo, una parte di questi soldi rientra nelle tasche dei giocatori, con le vincite. Ma si calcola una perdita secca complessiva di 17 miliardi. Per gli italiani, in media, 284 euro a testa (per avere un’idea dell’entità, per l’istruzione in Italia se ne spendono 100 a persona!).
Eppure, malgrado l’assoluta svantaggiosità di questo investimento del proprio denaro, rispetto a tutti gli altri possibili, si continua a giocare. Non è un calcolo razionalmente spiegabile: i termini utilizzati nei convegni e nelle pubblicazioni, ormai sempre più frequenti, dedicati al problema, parlano del dilagare di una malattia: la “ludopatia”. Secondo i dati forniti dagli esperti, nel nostro Paese i giocatori “patologici” sono almeno 256.000; quelli “ad alto rischio” di cronicizzazione, circa un milione.
Degli effetti di questo male sappiamo qualcosa da un rapporto del Ministero della salute: «La ludopatia non è solo un fenomeno sociale, ma è una vera e propria malattia, che può portare a rovesci finanziari, alla compromissione dei rapporti e al divorzio, alla perdita del lavoro, allo sviluppo di dipendenza da droghe o da alcol fino al suicidio». Non si parla di ipotesi, ma di fatti già accaduti.
Non siamo davanti a una piaga del sottosviluppo: secondo i dati forniti dal sottosegretario all’Economia, con delega per il settore, Pier Paolo Baretta, la regione dove il gioco d’azzardo è stato più diffuso, nel 2015, è la Lombardia, seguita – a molta distanza – , in ordine, da Lazio, Campania, Emilia Romagna, Veneto, Piemonte, Toscana e, via via da tutte le altre. Come si vede, l’Italia più prospera e più civile è ampiamente rappresentata nei primi posti di questa triste graduatoria.
Viene spontaneo chiedersi cosa fa lo Stato per combattere una simile piaga. Una cosa la fa: ci guadagna. Sugli 88 miliardi e 249 milioni giocati dagli italiani nel 2015, l’erario ha incassato 8,7 miliardi. Nel solo primo trimestre di quest’anno, gli incassi statali sono cresciuti di altri 413 milioni: il doppio di quanto il governo abbia stanziato nel 2015 per la disoccupazione di lunga durata
Oltre la metà della cifra raccolta viene dalle slot machine, che dal 2008 sono in circolazione in una nuova versione – si parla di newslot – , a cui più recentemente si sono affiancate, incontrando sempre più la preferenza dei giocatori, le Vlt (acronimo di Video Lottery Terminal), simili a prima vista alle slot machine, dalle quali però si differenziano sia per caratteristiche tecniche sia, soprattutto, perché permettono puntate e vincite di importo molto più elevato.
Ebbene, il pericolo rappresentato da queste macchine è ben presente a governo e parlamento, tanto che periodicamente viene solennemente proclamata la decisione di limitarne la diffusione. Ma i fatti vanno in direzione opposta. Qualche giorno fa Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo hanno denunziato un esempio tra i tanti di questa politica oscillante tra le solite “gride contro i bravi” e il cedimento effettivo alle lobby del gioco d’azzardo. Nello scorso dicembre, la legge di Stabilità aveva stabilito un taglio del 30% del numero delle slot machine, che in questo modo, da 378.109, dovevano ridursi a 264.676. Senonché, improvvisamente, a fine dicembre, «salta fuori dalle liste dei concessionari un numero enorme di macchinette che si troverebbero nei magazzini». Numero subito smentito dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli che ribadisce la riduzione sulla base delle 378.109 accertate. «Falso allarme? Macché. Passa qualche settimana e la stessa Agenzia sforna una circolare che capovolge tutto (…). C’è scritto che la legge di Stabilità viene a fissare un tetto oltre il quale “è precluso il rilascio di nuove autorizzazioni”: ma che quel tetto si riferisce non al numero di slot machine operative al 31 luglio come previsto dalla finanziaria, bensì al 31 dicembre 2015. E precisa che “tale numero è pari a 418.210 unità”», superiore di ben 40.101 slot machine a quello indicata dalla legge. «Il risultato è che per tutto il 2016 resteranno così in vita 418.210 slot machine, una ogni 143 italiani. Il 10,6% in più dello scorso anno» («Corriere della Sera» del 9 maggio 2016).
Alla faccia dei proclami e, soprattutto – se quello che il Ministero della salute afferma è vero – , del bene comune. Ma forse il problema più grave non è l’inconsistenza e l’inaffidabilità dei nostri governanti, ma un costume che si deteriora sempre di più e, ancora una volta, in nome della libertà, porta a bollare come assurdo e obsoleto “proibizionismo” ogni tentativo di porre dei limiti alle preferenze individuali, ritenute insindacabili. Non si pone oggi lo stesso problema per la droga?
Certo, avere una media di tre slot machine per bar, con tanto di timbro di legalità, contribuisce a questo deterioramento. La legge può contribuire ad educare le persone e quando, con “aperture” che spesso mascherano precisi interessi, rinunzia ai criteri etici, per lasciare ai singoli soggetti il “diritto” di fare ognuno le proprie scelte, abdica in realtà a questo compito educativo. Resta vero, però, che il vuoto morale che si è aperto nella nostra società (e non solo in quella italiana) rende sempre più difficile al legislatore e ai governanti, anche quando (raramente) sono in grado di vedere anch’essi la pericolosità di certe derive, fare delle scelte controcorrente.
La verità è che il vecchio mito liberale, continuamente sbandierato, secondo cui anche chi non farebbe mai certe cose (in questo caso giocare d’azzardo) non deve impedire, a chi vuole, di farle, spinge oggi molti ad assistere, in un atteggiamento di neutralità (che è cosa molto diversa dall’oggettività), a tutto ciò che sta accadendo intorno a loro. Non ci si rende conto che la pretesa libertà dei singoli, soprattutto dei più giovani, è sempre condizionata da un clima culturale che ognuno deve sentire la responsabilità di orientare col proprio impegno nella direzione del bene comune, influendo così anche sull’azione del governo e del legislatore. Se non vogliamo prima o poi trovarci a scoprire che anche i nostri figli si sono “liberamente” dati al gioco d’azzardo.
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