31Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. 34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
Il brano del Vangelo della quinta domenica di Pasqua, che oggi celebriamo, è breve ma decisivo per la nostra identità cristiana. Gesù, poco dopo la lavanda dei piedi e la cena con i discepoli, consegna un “comandamento” che racchiude in sé tutta la novità evangelica: il comandamento dell’amore.
Un contenitore vuoto
Riflettere sulla natura dell’amore comandato da Cristo è fondamentale, affinché questa parola non diventi un contenitore vuoto, da riempire a piacimento, né un concetto vago che assorbe in sé ogni generico buon sentimento. Il significato sentimentale e emotivo che diamo all’amore è già in aperto contrasto con il concetto di comandamento. Il comando di Gesù non intende in nessun modo “forzare” il cuore dell’uomo, ma è più simile alla legge mosaica, alle dieci Parole del Sinai. Anche in esse è prescritto l’amore a Dio, al prossimo e a se stessi. Tali comandi non sono da intendersi come leggi formali, a cui aderire, anche solo esteriormente. Essi riflettono il disegno originario di Dio per la felicità dell’uomo, e delineano una strada per perseguirlo.
Glorificazione
A differenza della “vecchia” legge, Gesù non pone come criterio per l’amore vicendevole quello che ognuno ha per se stesso, bensì l’amore di Gesù. Questo amore è radicalmente nuovo, e si collega alla glorificazione, come leggiamo all’inizio del testo. L’episodio inizia con l’uscita di Giuda dalla sala in cui Gesù aveva lavato i piedi ai discepoli e cenato con loro. Il dono totale che Cristo destina ai discepoli è lo stesso per il traditore: Gesù ama il suo nemico, colui che lo condurrà alla distruzione e al dolore. In questo dono l’evangelista Giovanni vede già lo splendore della gloria, che è già presente sulla croce, prima ancora della Risurrezione.
Un amore riconoscibile
La glorificazione è, quindi, strettamente collegata all’amore di Gesù per l’umanità, compresa quella parte di umanità carica di inimicizia e odio verso di Lui, che è presente in ognuno di noi. Il dono totale del Maestro, anticipato dalla lavanda dei piedi, è la pietra di paragone del nostro amore reciproco. È un amore “divino” che nulla ha a che vedere con emotivismo e sentimentalismo. Noi non possediamo un simile amore, ma possiamo impararlo nel corso dell’intera vita. Se le reazioni spontanee nei confronti del nemico sono l’autodifesa, il contrattacco e l’odio, Cristo ci insegna che, anche a partire dall’odio, può esserci un’occasione di dono.
L’amore di Gesù non è un semplice moto dell’animo: è concreto, tangibile e riconoscibile. Grazie a esso, infatti, la comunità cristiana sarà riconosciuta dal resto degli uomini. Amare in questo modo disinnesca l’odio, vivifica il mondo, rigenera le relazioni. È libero, perché nessuna violenza può fermarlo. È un amore che si imprime nella realtà e la trasforma.
Dono
Siamo invitati a vivere questo amore non come frutto di uno sforzo personale (sarebbe vano), ma facendo un progressivo spazio a Cristo nel nostro cuore. Egli ci comanda ciò che è impossibile da comandare – l’amore – proprio perché Lui stesso ce ne fa dono e ci rende capaci, se ci mettiamo alla sua sequela, di sperimentarlo.
Imparare ad amare
Imparare ad amare è la cosa più importante della nostra vita: c’è in gioco felicità, pienezza, salvezza, santificazione. Questo apprendimento deve coinvolgere ogni comunità cristiana. L’ultima frase del brano evangelico ci provoca in modo molto serio: il riconoscimento della Chiesa non è il culto, né la predicazione, ma l’amore che sa testimoniare al mondo. Ogni inimicizia e divisione, oltre a lacerarci dentro, nasconde e mistifica il volto della Chiesa al mondo. Ogni atto di amore vero, concreto e pacificante apre agli uomini una finestra sulla comunità dei credenti ed è la più efficace evangelizzazione.
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