di Giuseppe Savagnone
«L’Europa ha smarrito la sua anima». Non sono mai stato un sostenitore del “governo delle larghe intese”, ma apprezzo che il nostro presidente del Consiglio abbia avuto la lucidità di denunciare il vero problema del vecchio continente. Letta puntava il dito contro il comportamento dei governi europei nei confronti degli immigrati che vengono a morire in vista delle nostre coste. Quella di oggi, egli ha detto, è «un’Europa che ha smarrito la sua anima, che ha scritto la parola solidarietà nei trattati ma poi non riesce a esercitarla». E ha aggiunto: «Non possiamo conformarci all’internazionalizzazione dell’indifferenza, né tanto meno nell’europeizzazione dell’indifferenza».
E le vittime non sono solo coloro che fuggono, senza riuscire ad essere accolti, ma anche coloro che restano, prigionieri di paesi in cui sono gli occidentali – e in larga misura proprio gli europei – a fomentare instabilità, corruzione, guerre, in vista dei loro interessi economici e strategici. Siamo produttori di armi e a qualcuno dobbiamo venderle. Siamo sempre in caccia di fonti energetiche e da qualche parte dobbiamo trovarle. Siamo affamati di mercati e da qualche parte dobbiamo procurarceli. Per garantire il nostro tenore di vita.
Letta ha ragione: veramente quella che manca all’Europa è l’anima. Ce n’era, in passato, una cristiana, che non aveva certo impedito infamie di ogni genere, ma che almeno le aveva coperte col velo del pudore e sottoposte al giudizio di criteri su cui in definitiva si era, almeno dal punto vista etico, concordi. Anche nelle operazioni coloniali, in primo piano venivano posti gli ideali, anche se si sapeva che dietro di essi spingevano interessi ben più materiali. Si voleva portare la civiltà e il progresso, anche se poi in realtà si depredavano interi continenti in funzione delle proprie economie nazionali.
Il passo decisivo è che ormai non c’è più nemmeno la retorica. Può sembrare un progresso. In realtà essa ha lasciato il posto al cinismo. Ormai si teorizza che le parole – come quella, così forte, “solidarietà” – sono solo parole. Come scrive Umberto Eco alla fine de Il nome della rosa, della realtà ci sono rimaste solo dei segni verbali vuoti: «Nuda nomina tenemus». È rimasto il vuoto. Questa Europa, che non vuol essere cristiana, non ha neppure trovato un altro straccio di ideale alternativo per cui almeno sperare di dare un senso non solo al proprio presente, ma al proprio passato e al proprio futuro.
Il problema non riguarda solo la sua politica internazionale, ma condiziona tutte le scelte pubbliche. La filosofia dominante è ormai quell’“individualismo possessivo” che sbraita ad ogni occasione che ognuno è proprietario del suo corpo e delle sue facoltà, dunque anche del suo denaro. I famosi slogan «l’utero è mio e ne faccio quello che voglio» e «nessuno metta le mani nelle tasche degli italiani» sono i tristi fratelli gemelli che, declinati a gran voce ora dalla “sinistra” (che però non parla più, infatti, di solidarietà), ora dalla destra, hanno dominato la scena non solo nel nostro paese, ma in tutto il continente. Rivendicando per gli individui il diritto di essere e di fare ciò che preferiscono (purché non si danneggino gli altri).
Da qui la politica verso le migrazioni. Anche gli immigrati hanno un corpo, certo, ma nessuno lo vuole (nemmeno quando è morto!); forse anche delle tasche, ma non c’è pericolo che qualcuno ci frughi dentro. Secondo i nostri canoni, sono a posto! Se ognuno basta a se stesso, se è sufficiente che nessuno lo “invada”, se anzi bisogna evitare che gli altri “invadano” loro le nostre vite, l’Europa sta facendo la cosa giusta: lasciare che se la sbrighino da soli.
C’è solo un problema, piccolo, a prima vista, perché non rilevabile come i livelli del Pil o dello spread, ma non insignificante: una società che adotta questa filosofia perde la sua anima. Il rapporto con gli immigrati che vengono da lontano è solo il sintomo, il banco di prova visibile, di un deserto che sta invadendo le nostre coscienze e i nostri rapporti tra vicini. Il trionfo della categoria del “single” ha come risvolto quella della categoria di “straniero”. Anche il dirimpettaio di pianerottolo ormai lo è. E buon per lui che non debba un giorno bussare alla nostra porta, chiedendoci un aiuto che è ormai fuori dei canoni correnti.
L’anima, però, a dispetto del primato indiscusso del Pil, non è un optional. Sono scelte culturali e morali che si pagano. Non sono un fan del governo delle larghe intese, ma sono contento che il suo presidente abbia detto che l’Europa non può continuare in questa indifferenza. E che, «se lo fa, muore».
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