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La buona coscienza di escludere

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Quale differenza corre tra la coscienza e le calze?

Hegel risponderebbe che per le calze è sempre meglio venire in qualche maniera rammendate anziché restare lacerate, per la coscienza no.

Questo strano paragone – contenuto nella Fenomenologia dello Spirito – voglio riferirlo al nostro trovarci coinvolti dalla questione migratoria, dalle sue complesse implicazioni ma soprattutto dallo sfacciato, quasi insostenibile, peso di tragicità con cui ci incalza.

Sarebbe del tutto inadeguato dire che essa bussa alle porte della coscienza singolare e comune, perché invero urla e batte i pugni.

Non ho alcuna pretesa di esaminare i vari aspetti che rendono realisticamente difficile gestire il “problema” a livello nazionale ed europeo. Voglio solo concentrarmi su un fatto: mi impressiona vedere come si è rapidamente diffusa nel sentire delle persone, e come ha trovato eco e rilancio nell’atteggiarsi muscolare di ministri in auge, una sicura e grintosa buona coscienza di escludere. Rivendicata contro il vuoto semplicismo e magari lo sdegno ipocrita che sarebbe appannaggio dei cosiddetti buonisti, i quali rompono le scatole a chi con fiera responsabilità, ancorato ai problemi seri degli italiani, ha capito che non deve mollare, non deve transigere, non deve fare il “finto” sentimentale.

Questa buona coscienza di escludere si manifesta certo in maniere diverse, va dal brutale “anneghino pure, se la sono cercata” al fatalistico “per loro non possiamo fare niente, la colpa è di chi li ha illusi”.
E però mantiene fermo questo: non è il caso di sentirsi inquietati, non è il caso di entrare in crisi, non è il caso di avvertire che forse io…noi… dobbiamo fare qualcosa.

Non è il caso neanche solo di accennare alla sofferenza di assistere impotenti, al pensiero lacerante dei nostri privilegi e delle colpe di un maledetto sistema che scava sempre più differenze e inchioda tanti a un destino atroce. No, la coscienza deve stare ben rammendata, al riparo da scosse inopportune.

Siamo rimasti colpiti, mia moglie ed io, scambiando qualche parola con un ex migrante che, ormai da quasi sistemato, non trova di meglio da dire se non “hanno ragione a fermarli, ora siamo troppi”.
Poter escludere con buona coscienza, non è a questo che siamo sempre costretti in qualche modo? Un autore a me caro, Levinas, ha speso tutte le sue energie per riaffermare che dove c’è ancora coscienza umana resta accesa e preme una domanda, spesso sopita, rimossa, derisa e però mai cancellabile: ho un tranquillo diritto ad esserci? Ho diritto a godermi il mio posto al sole se il prezzo è lasciare fuori un altro? Domanda che rende la “cattiva” coscienza assai più vicina al richiamo del bene di quanto non sia quella “buona”, intenta a un continuo rattoppo.

Follia evangelica che invita a voler escludere proprio l’esclusione, follia capace di respiro laico universale: se smettesse di inquietarci ci lascerebbe nel buio e nella grettezza dei nostri calcoli, preoccupati di volta in volta di individuare a chi va indirizzato il nostro sempre giustificabile negare posto.

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