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La Chiesa che verrà…

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 di Andrea Volpe

 

Le inaspettate dimissioni di Benedetto XVI hanno posto alla Chiesa universale e ad ogni singolo cristiano nuovi interrogativi e di fatto hanno proiettato tutti in una inedita condizione esistenziale della vita ecclesiale.

In primo luogo, scartando ordinarie, quanto contingenti, dietrologie, bisogna convenire sul dato che le dimissioni del Sommo Pontefice mettono in evidenza che l’azione dello Spirito nella Chiesa non è una funzione concessa “ad personam”, ma sempre un’assistenza divina a favore di tutta la comunità umana. Da questo consegue che l’azione dello Spirito, nella sua illimitata libertà salvifica, non è, comunque, a prescindere dalla condizione personale del mediatore umano, che, se è pur vero che possa essere debole quanto lo Spirito possa concedere, tuttavia mai può presentarsi come possessore a titolo privato del potere conferitogli dalla Grazia divina.

In questa prospettiva le dimissioni di Benedetto XVI per l’ambito ecclesiale sono un atto rivoluzionario, perchè interrogano la teologia e le impongono di dare risposte nuove e non stereotipate, sia a livello speculativo che pratico.

Limitandosi qui alle conseguenze pratiche, certo non sarebbe immaginabile che dopo un evento di tale portata, la risposta ecclesiale fosse quella di un puro mantenimento dello “status quo ante”, non tanto per il giudizio corrente che può darsi sulla situazione attuale della Chiesa universale, ma perché non può essere sprecata l’opportunità di una lettura dei “segni dei tempi”, che al contrario appare imposta dalla situazione ecclesiale attuale.

Il successore di Benedetto XVI, l’Episcopato tutto nella sua organizzazione collegiale e l’intera comunità ecclesiale non potranno ignorare le istanze nuove e vecchie, sulle quali talvolta sono state date risposte discordanti dalla Gerarchia ecclesiastica.

 

 

1) Collegialità episcopale

In primo luogo è il ruolo del Collegio Apostolico, che oggi, quasi senza mediazioni, viene assimilato al Ministero Petrino, laddove invece la collegialità ecclesiale è stata l’anima della Chiesa delle origini, che ha le sue radici normative negli Atti degli Apostoli al cap. 15 (il cosiddetto Concilio di Gerusalemme nell’anno 48 d.C.), ma che trova riprese magisteriali, non sempre convergenti, in diversi Concili, a partire dal Concilio di Costanza, dopo nel Concilio di Trento e nel Concilio Vaticano I e, infine, nel Concilio Vaticano II, dove il ruolo della fraternità episcopale assume un ruolo centrale.

Oggi un ritrovato ruolo delle Chiese locali appare indifferibile per una Chiesa universale sempre più diffusa e articolata, che vuole porre al centro del suo ministero la missione di rispondere alle istanze di evangelizzazione, sempre più specifiche secondo le peculiari caratteristiche di inculturazione richieste dai popoli ai quali si indirizza.

 

2) Uscire dal minimalismo moralistico

Con un certo sbigottimento, perché non dovrebbe meritare una tale posizione nelle emergenze poste alla comunità cristiana ecclesiale, è da porre al secondo posto la situazione della Chiesa, che appare sempre più ripiegata ed obbligata ad una eccessiva concentrazione su temi di morale sessuale. Questo sta comportando che, soprattutto in contesti secolari, la Chiesa rischia di essere avvertita come un’identità, con la quale l’unica interlocuzione possibile è quella relativa alle problematiche correlate alla sessualità. Una tale comprensione della Chiesa oscurerebbe la sua reale identità di annunciatrice e promotrice della salvezza universale e, soprattutto, la relegherebbe ad un ruolo di autorità morale, per lo più settorializzata alle questione sessuali, oscurando la sua vera identità di autorità spirituale.

Da questo punto di vista la Chiesa dovrebbe poter trovare il modo di uscire da questa sorta di minimalismo moralistico e ritrovare le ragioni per parlare al cuore di tutti gli uomini della salvezza universale, che, certo, perviene anche alla morale sessuale, ma non può né partire da essa o essere ridotta ad essa.

Questo è l’ambito dei cosiddetti “valori non negoziabili”, relativi alla procreazione e alle questioni di inizio e fine vita. Qui figurano molti residuati di questioni mal poste e/o mal recepite, a partire dal dato evidente che i “valori non negoziabili” non possono riferirsi solo a problematiche di ordine sessuale, ma che al contrario essi caratterizzano tutta la vita umana e spirituale dell’uomo: per questo altri valori devono essere inclusi, a partire da quelli che riguardano la dignità della persona, la libertà dell’uomo, il lavoro, l’emancipazione dalla soggezione e dalla sopraffazione, solo per indicarne alcuni aspetti.

Se la Chiesa, nella sua veste di strumento divino di salvezza dell’umanità, ha eminente titolo per inspirare i fondamenti teologici della convivenza umana, che sono perenni e universalizzabili, risulta meno probante laddove volesse pure definirne le modalità applicative nell’ambito sociale, comportamentale o persino sessuale, cioè in ambiti in cui fattori culturali, scientifici, tecnologici, temporali, locali e personali, mancando delle caratteristiche essenziali di perennità e/o di universalizzabilità, comportano significative varianti nella valutazione della condotta umana contestualizzata nel momento storico di riferimento.

 

3) Ministero ordinato

Una prima emergenza è quella connessa ad un ministero ordinato, cioè diaconi, presbiteri e vescovi, sempre più sparuto, a causa della progressiva diminuzione del numero di giovani che si propongono a ricevere gli ordini. Al calo dell’offerta quantitativa, spesso inesorabilmente non può che corrispondere anche il calo dell’offerta qualitativa: infatti, diminuendo la possibilità di selezione, i responsabili dei seminari potrebbero esser portati ad abbassare il target richiesto per l’ammissione agli ordini dei giovani.

Nel prossimo futuro una soluzione obbligata anche per la Chiesa latino-romana potrebbe essere quella di adottare un sistema simile a quello delle Chiese Orientali, nelle quali è possibile ammettere agli ordini uomini coniugati . Il Concilio Vaticano II ha consentito il conferimento dell’ordine del diaconato ad uomini sposati e su questa strada non appaiono serie incompatibilità per consentire anche una successiva ordinazione presbiterale, quantomeno a livello teologico .

Più problematica appare il conferimento dell’ordine sacro alle donne, sebbene altre confessioni, come quella anglicana, l’abbiano adottata, ricavandone significativi benefici per la comunità ecclesiale .

 

4) Ruolo ecclesiale dei laici

All’emergenza del deficit vocazionale corrisponde un’altra situazione critica, soprattutto perché inedita per la Chiesa Romana, consistente nel dato di fatto che, grazie alla diffusione degli studi teologici, promossa ancora una volta dal Concilio Vaticano II, e all’apertura delle Facoltà Teologiche ai laici, potrebbe prefigurarsi una condizione in cui la gerarchia ecclesiastica possa venirsi a trovare sempre più dipendente dai laici proprio nell’ambito della riflessione teologica. Questo risulta immediatamente chiaro se si pone mente locale al fatto che il laico, che si consacra allo studio teologico, lo fa per passione ed in questo, sovente, mostra di avere una marcia in più rispetto a chi segue gli studi teologici solo perché sono la via obbligata per ricevere l’ordine sacro.

Tuttavia, ciò che in un’ottica miope potrebbe apparire come una condizione critica, la Gerarchia ecclesiastica, invece, potrebbe trasformarlo in risorsa per la Chiesa universale, come riesce a fare Medard Kehl, che così affronta questa problematica: « […] sarebbe certamente pensabile che […] possa essere riportato in vita nella Chiesa come ministero autonomo il servizio dei maestri di teologia presente nella Chiesa primitiva. Essi potrebbero, ad esempio, impiegare la loro competenza teologica per offrire a numerosi membri della comunità, attraverso una “scuola della Bibbia e della fede” ben concepita, gli strumenti per conciliare la propria fede con le concrete esperienze nel mondo vitale moderno, così da essere maggiormente adeguati al “compito secolare” dei cristiani» .

 

5) Sobrietà ecclesiale

La Chiesa a ragione della volontà di Cristo e sull’esempio delle comunità primitive, la cui testimonianza è normativa per tutte le generazioni cristiane, non può che essere una Chiesa povera, per i poveri e dei poveri .

Questa prospettiva, che è insieme evangelica, magisteriale ed ecclesiale, impone tra l’altro anche una sobrietà, che potrebbe meglio mettere in dialogo fecondo la Chiesa con la società contemporanea.

Sovrastrutture politiche, finanziarie, territoriali e, talvolta, perfino comunicative, storicamente sovrapposte all’essenzialità del messaggio cristiano, appesantiscono la Chiesa e ne affaticano l’opera missionaria.

Anche una diversa sobrietà rituale e formale potrebbe meglio illustrare al mondo moderno la natura spirituale della Chiesa e la sua missione salvifica, tanto più efficace quanto più vicina e diffusa nel corpo sociale costituito dall’esistenza umana (Mt 13,33).

 

In sintesi, una comunità ecclesiale in grado di stare in permanente ascolto dello Spirito, piuttosto che vivere nell’ansia di anticiparlo, forse risponderebbe meglio al modello apostolico e si troverebbe più a suo agio nell’evangelizzazione del mondo contemporaneo, scoprendosi ancora capace di stupirsi davanti l’azione dello Spirito Santo, che, come riporta la Sacra Scrittura (At 10,34-36.44-48), spesso precede, e non segue, l’opera umana dell’annuncio cristiano.

 

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