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“Amoris Laetitia” apre la via sacramentale alle “situazioni dette irregolari”

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di Andrea Volpe

 

 

    E’ possibile individuare per ciascuna sezione di “Amoris laetitia”(AL) delle “chiavi di lettura”, che Papa Francesco sembra voler fornire per inquadrare ogni questione affrontata. Per il Capitolo VIII, che tratta delle situazioni dette “irregolari”, le chiavi di lettura sono più di una. Tuttavia quella che meglio fa sintesi dello spirito della trattazione, appare essere proprio il titolo del capitolo “ACCOMPAGNARE, DISCERNERE E INTEGRARE LA FRAGILITÀ”, in cui si configura che l’accompagnamento comunitario e il discernimento spirituale devono pervenire al recupero delle persone toccate da traversie esistenziali e alla loro piena integrazione nell’ambito ecclesiale.

 

    Di seguito si riportano le tappe più significative del percorso indicato dal Pontefice per raggiungere questo obbiettivo.

   

   Ad inizio capitolo (AL291) così Papa Francesco contestualizza la materia: «la Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto, riconoscendo che la grazia di Dio opera anche nelle loro vite dando loro il coraggio per compiere il bene, per prendersi cura con amore l’uno dell’altro ed essere a servizio della comunità nella quale vivono e lavorano».

 

    Quindi la prima constatazione è che, nelle situazioni dette “irregolari”, la grazia opera nelle opere buone delle persone coinvolte.

 

   Dopo un cenno alla “legge della gradualità” di Giovanni Paolo II e la constatazione che “ogni essere umano «avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio e delle esigenze del suo amore definitivo ed assoluto nell’intera vita personale e sociale dell’uomo»” (AL295), il Papa precisa che «La strada della Chiesa, dal Concilio di Gerusalemme in poi, è sempre quella di Gesù: della misericordia e dell’integrazione […]. La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero […]. Perché la carità vera è sempre immeritata, incondizionata e gratuita!» (AL296) e così prosegue: “Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo! Non mi riferisco solo ai divorziati che vivono una nuova unione, ma a tutti, in qualunque situazione si trovino” (AL297).

 

    Quindi è lo stesso Vangelo ad esigere che non ci siano condanne definitive per nessuna delle condizioni esistenziali umane.

 

   Poi, con le parole del Sinodo, il Papa perviene alla constatazione che le situazioni dette “irregolari”, non devono essere emarginate nei servizi ecclesiali e, nello specifico, neanche per il bene della prole frutto di queste unioni: «i battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità […]. La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate. […]. Questa integrazione è necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli, che debbono essere considerati i più importanti» (AL299) e subito dopo il Papa precisa: “«il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi», le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi”. È qui inserita la seguente prima nota cruciale, la n. 336, ai fini della riammissione delle “persone in situazioni dette irregolari” ai sacramenti, che va letta in continuità al testo principale: “Nemmeno per quanto riguarda la disciplina sacramentale, dal momento che il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave. Qui si applica quanto ho affermato in un altro documento: cfr Esort. ap. Evangelii gaudium(24 novembre 2013), 44.47”.

 

   Per rendere esplicita la posizione del Papa si riporta EG47: “nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi. […]. L’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana”.

 

   Il Pontefice conclude con una raccomandazione normativa ai pastori: “I presbiteri hanno il compito di «accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo […]»” (AL300).

 

    In definitiva qui compare in modo incontrovertibile la possibilità della riammissione all’Eucaristia anche dei divorziati risposati e l’obbligo fatto ai presbiteri a “facilitarne” l’accesso.

 

   Il Papa procede motivando questa indicazione nei successivi numeri e al n. 303 riconosce alla coscienza personale un ruolo decisivo sulla via del discernimento per la riammissione ai sacramenti: “la coscienza delle persone dev’essere meglio coinvolta nella prassi della Chiesa in alcune situazioni che non realizzano oggettivamente la nostra concezione del matrimonio. […] questa coscienza […] può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo” (AL303).

 

   Qui il Papa distingue tra quella che è una coscienza oggettiva ecclesiale e la coscienza soggettiva del fedele, che addirittura può riconoscere la volontà di Dio nella propria singolare situazione esistenziale.

 

   Al seguente n. 304, sulla scorta della teologia morale tomistica, Papa Francesco affronta la questione del rapporto tra norma generale e situazioni particolari in questi termini: “È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano. Prego caldamente che ricordiamo sempre ciò che insegna san Tommaso d’Aquino e che impariamo ad assimilarlo nel discernimento pastorale: «Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione […]” (AL304).

 

    Qua il rifiuto dell’applicazione cieca della norma, fondato sulla teologia tomistica, è chiaro e inequivocabile.

 

   Dopo, in AL305, arriva anche il conseguente richiamo ai Pastori, con una seconda nota, la n. 351, che ribadisce e rafforza la nota n. 336, già sopra analizzata: “Pertanto, un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa «per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite».[…]. A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa”. Qui è inserita la seconda nota cruciale, la n. 351: “In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. Per questo, «ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore» (Esort. ap. Evangelii gaudium[24 novembre 2013], 44: AAS 105 [2013], 1038). Ugualmente segnalo che l’Eucaristia «non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli» (ibid., 47: 1039)”. E, di seguito, il Pontefice, dopo che si è ancora una volta ricollegato a EG47, continua a indicare la via ai ministri e alle comunità: Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio. Ricordiamo che «un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà». La pastorale concreta dei ministri e delle comunità non può mancare di fare propria questa realtà” (AL305).

 

   Appare evidente che Papa Francesco più chiaro di così non poteva essere circa la possibilità della riammissione all’Eucaristia dei divorziati risposati.

   

   

 

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