Senza categoria

La fecondazione assisitita fra libertà di scelta e diritto alla vita

Loading

 

 

di Luciano Sesta  

 

 

  Come è noto, il considerevole sacrificio di embrioni umani richiesto per una buona riuscita delle tecniche di fecondazione assistita (d’ora in poi FA) è uno dei problemi più controversi del dibattito sul tema[1].

  Secondo un punto di vista che vanta una lunga tradizione e che oggi sembra prevalere, il problema potrebbe essere risolto in modo analogo a quello dell’aborto, ricorrendo a quello che, in letteratura, è stato chiamato “argomento dell’asimmetria morale”.      

  Secondo questo argomento, di matrice schiettamente liberale, di fronte ad azioni moralmente controverse il modo più ragionevole di procedere non è quello di vietare, ma quello di lasciare libero chiunque, e, pertanto, non soltanto coloro che, eventualmente, volessero compiere tali azioni, ma anche coloro che, non condividendole, volessero astenersene.

    E infatti, come scrive per esempio Maurizio Mori, mentre «il divieto obbliga tutti ad astenersi dal comportamento indicato, il permesso non impone l’azione, ma semplicemente la consente a chi vuole compierla, e questa asimmetria è garanzia di libertà per tutti»[2]. Ciò varrebbe anche nel caso della FA, dal momento che «mentre chi decide di ricorrere alle tecniche di fecondazione assistita lascia liberi coloro che non le ritengono lecite di non ricorrervi – coloro che lo considerano un atto intrinsecamente sbagliato o dannoso per il nascituro vogliono impedirlo a tutti, indipendentemente dalle loro opinioni.

  Chi chiede la limitazione della libertà, in altre parole, ha l’onere della prova (fino a “prova contraria” infatti sussiste una presunzione in favore della libertà, per cui la libertà di un soggetto non ammette limiti se non quelli posti dall’esercizio della libertà altrui)».[3] In quest’ottica «l’ultima parola circa l’utilizzo di una determinata tecnologia» spetta «alle persone direttamente coinvolte», «a meno che non possa essere mostrato un evidente danno agli interessi di altri»[4]. E un “danno agli interessi di altri” che sia “evidente” potrà esserci, secondo questa tesi, solo se gli “altri” in questione possono rivendicare in prima persona i loro interessi.

Insieme ai suoi innegabili pregi, l’argomento dell’asimmetria morale presenta anche un evidente difetto, che consiste nell’aggirare il problema che pretende di aver risolto, poiché dà per scontato che il principale oggetto del contendere, e cioè gli eventuali interessi del concepito, non abbiano rilevanza. Non a caso, uno dei più celebri e influenti sostenitori del liberalismo in bioetica, Hugo Tristram Engelhardt, afferma senza mezzi termini che «non ha senso parlare di rispetto dell’autonomia per feti, infanti, o adulti gravemente ritardati che non sono mai stati razionali. Essi non possiedono un’autonomia suscettibile di essere lesa dagli altri»[5].

L’argomento dell’asimmetria morale, da questo punto di vista, è meno “liberale” di quanto non sembri prima vista, se si pensa che anche escludendo gli esseri umani allo stadio embrionale dall’orizzonte del rispetto morale e affermando di non voler imporre la FA a chi non la condivide, si finisce per imporre comunque un determinato punto di vista. Per una curiosa eterogenesi dei fini, infatti, chiedendo di non preoccuparsi di come gli altri trattano gli embrioni umani, i liberali attribuiscono ai loro interlocutori, la cui opinione pure dichiarano di voler rispettare, l’esatto contrario di ciò che essi sostengono, e cioè un disinteresse per la sorte degli embrioni. I sostenitori della tesi liberale non si avvedono cioè di una verità elementare: chi vuole proteggere la vita umana non può in alcun modo ritenersi soddisfatto da una legge che mentre non gli impone di uccidere autorizza però gli altri a farlo.

Si obietterà che sopprimere embrioni umani non può essere equiparato all’omicidio. Ma non si tratta di una buona obiezione. Se infatti il pluralismo liberale si vanta di poter garantire il rispetto di tutte le opinioni in campo, dovrà essere capace di garantire anche il rispetto dell’opinione di coloro che ritengono un omicidio l’uccisione degli embrioni umani. E rispettare questa opinione, si badi, non significa considerarla valida ma, più semplicemente, accettare di discuterla. Censurarla a priori confinandola dentro la coscienza privata del singolo, invece, significa distruggerla, non rispettarla. Come ha scritto Robert Spaemann, «sulla questione se i bambini non ancora nati debbano essere protetti, si può discutere […], ma è insensato lo slogan secondo cui la soluzione di tale questione dovrebbe essere affidata alla coscienza di qualcuno (la madre, il medico, i parlamentari ecc.). Infatti o non c’è un diritto alla vita dei bambini non ancora nati e allora non occorre assolutamente scomodare la coscienza, oppure sussiste tale diritto e allora non può essere messo a disposizione della coscienza di altri uomini»[6].

Se davvero è così, si comprende come coloro che chiedono il rispetto della dignità umana degli embrioni non possano essere facilmente liquidati invocando la libertà di scelta, la laicità dello Stato o il pluralismo morale. Coloro che nella prima modernità lottavano per i diritti degli indios, infatti, non pensavano che dovessero rispettarli come persone soltanto coloro che li ritenevano tali[7]. Piuttosto, chi sosteneva che anche gli indios fossero persone umane chiedeva per essi diritti umani, indipendentemente da coloro che la pensavano diversamente.

Che in una società nessuno possa imporre un pensiero e un comportamento a chi non lo condivide è innegabile, ma nel caso in cui si tratti di tutelare la vita e i diritti della persona – o anche degli animali – il tentativo di modificare l’opinione di coloro che non riconoscono tali diritti o li calpestano è non solo lecito ma anche doveroso. E questo vale anche nel caso in cui la natura personale degli embrioni umani rimanga una questione controversa.

Anzi, è proprio a partire da questa mancanza di certezze che tutti coloro che ritengono che gli embrioni umani non siano persone, se sono davvero in buona fede, dovrebbero concedere che chiunque li ritenga persone sia autorizzato a trarre da questa convinzione le conseguenze necessarie e, dunque, a lottare per la tutela dei loro diritti[8].

Chi non lo concede, ritenendo che chi afferma i diritti dell’embrione «non ha diritto di difendere questi diritti che egli stesso gli attribuisce»[9], dovrebbe anche interrogarsi, in modo spregiudicato, sulle conseguenze di queste affermazioni. Infatti, se egli stesso si trovasse in una situazione in cui fosse convinto del carattere pienamente umano, per esempio, degli ebrei o di chiunque altro fosse discriminato, non tenterebbe di difenderli né avrebbe rimorsi di coscienza se non lo facesse.

E a chi lo dovesse accusare di omissione di soccorso, egli potrebbe pur sempre rispondere di non essere autorizzato a costringere altri al rispetto di vite umane che essi non ritengono meritevoli di tutela[10].  

Il principio di asimmetria morale, secondo cui nella disputa tra chi contesta la FA e chi la accetta l’onere della prova spetterebbe ai primi, ovvero a coloro che vogliono limitare la libertà degli altri, comincia, a questo punto, a cambiare di segno: c’è una palese differenza, nel caso in cui la FA venga vietata o permessa per legge, fra ciò che dovrebbero tollerare i fautori della libertà procreativa, ovvero la rinuncia ad avere un figlio biologicamente proprio, e ciò che dovrebbero invece tollerare i suoi critici, e cioè la soppressione di vite umane innocenti.

A prescindere da qualunque opinione si abbia in merito, infatti, è oggettivamente preferibile dover tollerare la limitazione della libertà di un essere umano piuttosto che la sua ingiusta soppressione.

 



[1] Riportiamo in questo articolo, con lievi modifiche, quanto abbiamo discusso con maggiore ampiezza in L. SESTA, L’origine controversa. Un’indagine sulla fecondazione “in vitro”, Phronesis, Palermo 2009, pp. 91-99.

[2] M. MORI, Aborto e morale, Il Saggiatore, Milano 1996, p. 34.

[3] E. MANCINI – A. MORELLI, Le frontiere della bioetica, Giunti, Firenze 2004, p. 58.

[4] J.A. ROBERTSON, Children of Choice. Freedom and the New Reproductive Technologies, Princeton University Press, Princeton 1994, p. 42.

[5] H. T. ENGELHARDT, Manuale di Bioetica, Il Saggiatore, Milano 1991, p. 160.

[6] R. SPAEMANN, Concetti morali fondamentali, Piemme, Casale Monferrato 1993, p. 98.

[7] Cfr. R. SPAEMANN, Verantwortung für die Ungeborenen, in ID., Grenzen. Zur ethischen Dimension des Handeln, Klett-Cotta, Stuttgart 2002, pp. 367-382: 372.

[8] Ibidem. Persino Peter Singer, decisamente favorevole alla FA, ritiene fasullo l’argomento che non si dovrebbe tentare di convincere gli altri a seguire le proprie concezioni morali: «La mia opinione che ciò che Hitler fece agli ebrei è sbagliato è un’opinione morale, e se ci fosse una prospettiva di ripresa del nazismo farei certamente del mio meglio per costringere gli altri a non agire in modo contrario alla mia opinione» (P. SINGER, Etica pratica, Liguori, Napoli 1992, p. 117).

[9] G. VATTIMO, Intervista, in “Lo Specchio”, 19 marzo 2005, pp. 33-34.

[10] Cfr. R. SPAEMANN, Verantwortung für die Ungeborenen, cit., p. 372.

 

 

{jcomments on}

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *