Il Vangelo: Gv 3, 14-21
4E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». 16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. 17Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è gia stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. 19E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. 20Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. 21Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.
La quarta domenica di quaresima è caratterizzata dalla gioia: la gioia della fine del lutto, la gioia del ritorno dall’esilio, la gioia di essere stati salvati per grazia mediante la fede.
La rovina di Gerusalemme non è definitiva
La prima lettura ci presenta la conclusione del libro delle Cronache in cui viene narrata la caduta di Gerusalemme: le truppe di Nabucodonosor, dopo avere abbattuto le mura della città, incendiano i palazzi ed il Tempio. La catastrofe dell’esilio si abbatte sul popolo che si è pervertito, contaminando il Tempio e ribellandosi contro Dio e le sue Leggi. Tutta la storia d’Israele è dipinta dal narratore sacro come un generale e costante atteggiamento di ribellione, un peccato che si ripete ininterrottamente; nonostante i ripetuti inviti alla conversione da parte dei profeti, il popolo tutto, segnato dalla cupidigia e dalla corruzione, cammina verso la rovina.
La predicazione dei profeti è segnata dal rifiuto e dal martirio, come ci ricorda anche Neemia: “Ma poi hanno disobbedito, si sono ribellati contro di te, si sono gettati le tue leggi dietro le spalle, hanno ucciso i tuoi profeti, che li ammonivano per farli tornare a te” (Ne 9,26). Il crollo di Gerusalemme, la distruzione del Tempio, l’uccisione della famiglia reale e l’esilio del popolo, anche se frutto del rifiuto di Dio e dei suoi inviati non lascia indifferente JHWH, che pone un limite alla condanna del suo popolo aprendo la storia non solo a un ritorno dall’esilio, ma soprattutto a una liberazione definitiva nella partecipazione alla vita di Dio.
La strada della rinascita
Nella pericope odierna del vangelo di Giovanni leggiamo una parte del dialogo tra Nicodemo e Gesù, che ci mostra come per sperimentare la salvezza occorre partecipare alla vita di Dio in Cristo. Nicodemo, importante rappresentante dei farisei, si reca di notte per incontrare Gesù: il racconto inizia con la sottolineatura che esso avviene di notte e finisce con gli uomini chiamati a passare dalle tenebre alla luce, un invito che riguarda il popolo d’Israele ma anche ogni uomo che incontra Cristo. Durante lo sviluppo del dialogo, Nicodemo gradualmente scompare dalla scena e il discorso di Gesù passa dal “tu” (Gv 3,1-10) al “voi” (Gv 3,11-21), coinvolgendo tutti i lettori. Nicodemo, che era arrivato sicuro nelle sue certezze, diviene pian piano un silenzioso uditore della Parola, attento ad accogliere il mistero che gli viene rivelato e che conduce il credente dalle tenebre alla luce.
La luce della Croce
Gesù amplia il suo discorso e mostra a tutti gli uomini quale strada percorrere per passare dal buio alla luce, dalla morte alla vita: credere nel Figlio dell’uomo innalzato sulla croce. Ci viene mostrato il paradosso più stridente e sconcertante: la croce non è per la morte ma per la vita; non è il trionfo delle tenebre ma l’irrompere di una nuova luce, la luce che emana dall’amore di Dio per noi, un amore totalizzante, che giunge fino all’estremo nel dono del Figlio, “perché chiunque creda non vada perduto ma abbia la vita eterna” (3,16). La storia trova allora una nuova luce proprio a partire dall’amore di Dio per l’uomo e per il mondo.
Davanti al male del mondo, al peccato, alla sofferenza del dolore innocente, all’uomo che rivendica il giudizio di Dio, Dio mostra la sua giustizia in Gesù Cristo crocifisso. A chi invoca il giudizio divino sul mondo, l’evangelista Giovanni indica la croce di Cristo: lì il giudizio, il dono, la grazia. In Cristo Crocifisso si infrangono il desiderio di vendetta, il fallimento e l’insuccesso; egli prende le nostre situazioni di morte e tutto il nostro esistere su di sé, così che tutto ciò che ci opprime e ci condanna viene con lui crocifisso. Solo nell’amore crocifisso di Cristo l’uomo può passare dalle tenebre alla luce, perché in questo amore, anche la storia più tenebrosa e tormentata, può essere illuminata e compresa. Davanti a questo dono, ognuno di noi è chiamati ad aprirsi al mistero o decidere di rimanere nelle tenebre, infatti «Coloro dunque che sono rinati, appartenevano alla notte ed ora appartengono al giorno: erano tenebre, ed ora sono luce» (Sant’Agostino).
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