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La necessaria rivoluzione culturale

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di Giuseppe Savagnone

 

   Lo sforzo di papa Francesco per spostare l’asse dell’evangelizzazione  dal primato della morale a quello dell’annuncio di salvezza (v. Evangelii gaudium)  e, nell’ambito della stessa sfera etica, dalla morale delle regole a quella della coscienza (v. Amoris laetitia), è certamente sulla linea di una esperienza cristiana più autentica e più matura. Per troppo tempo si è insistito in modo unilaterale sui “valori non negoziabili”, come il messaggio evangelico consistesse nel “no” all’aborto e all’eutanasia, nella difesa della famiglia fondata sul matrimonio eterosessuale e nella tutela della libertà di educazione (in pratica nel sostegno pubblico alla scuola cattolica).

 

   Suona dunque come una liberazione e un recupero dell’essenziale la svolta data da papa Francesco. Il pontefice l’aveva già annunciata  nell’intervista alla «Civiltà cattolica» del settembre del 2013: «Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto (…). Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale».

 

  Nella Evangelii gaudium, Francesco ha ripreso la questione approfondendola. Là egli fa notare che oggi, nella presentazione mediatica, «alcune questioni che fanno parte dell’insegnamento morale della Chiesa rimangono fuori del contesto che dà loro senso. Il problema maggiore si verifica quando il messaggio che annunciamo sembra allora identificato con tali aspetti secondari che, pur essendo rilevanti, per sé soli non manifestano il cuore del messaggio di Gesù Cristo», oscurando il loro intimo rapporto «con il nucleo essenziale del Vangelo che gli conferisce senso, bellezza e attrattiva» (n.34).

 

   È questo il punto: una morale sganciata dall’annuncio salvifico rischia di trasformarsi, agli occhi delle persone, in una incomprensibile lista di comandi e di divieti. Sempre nella Evangelii gaudium si osserva a questo proposito: «Quando si assume un obiettivo pastorale e uno stile missionario, che realmente arrivi a tutti senza eccezioni né esclusioni, l’annuncio si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario. La proposta si semplifica, senza perdere per questo profondità e verità, e così diventa più convincente e radiosa» (n.35).

 

   E l’essenziale del cristianesimo  non sono i valori morali, ma la «Buona Notizia” dell’amore che Dio ha riversato su di noi per salvarci dal male  del peccato e della morte: «In questo nucleo fondamentale ciò che risplende è la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto» (n.36).

 

   L’Amoris laetitia è venuta a precisare ulteriormente che, nella stessa sfera morale, «è meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano» (n.304). Là papa Francesco recupera l’insegnamento dei grandi dottori cristiani sul ruolo della coscienza, spesso caduto nel dimenticatoio: «Stentiamo a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle» (n.37).

 

   Siamo davanti a una prospettiva che – contrariamente alle accuse degli oppositori del papa – non solo risponde alle esigenze del nostro tempo, ma affonda le sue radici in tutta la tradizione cristiana. Tuttavia sarebbe un grave errore sottovalutarne i rischi, legati anche al clima culturale della nostra società,   e trascurare di mettere bene a fuoco gli antidoti per neutralizzarli nei limiti del possibile.

 

   Mi riferisco in modo specifico a quella ideologia,  oggi dominante nel mondo occidentale, che fa credere nell’esistenza dell’individuo come ente autonomo, completo, indipendentemente da ogni relazione con la realtà che lo circonda e soprattutto con gli altri esseri umani. Quello che esiste, in effetti, è la persona, che è se stessa solo nelle relazioni con gli altri, con la verità delle cose, con Dio.

 

   Tra le due concezioni  c’è un abisso. Perché la persona, a differenza dell’individuo, non si illude di essersi “fatta da sé”, ma conosce la gratitudine per ciò che ha ricevuto e continuamente riceve; non identifica la propria libertà con l’autonomia da ogni legame, ma esercita la sua autonomia in funzione della responsabilità e della fedeltà; non scambia le proprie pulsioni con dei veri desideri, ma parte da esse per un discernimento e  una progressiva umanizzazione; non cerca narcisisticamente un’autorealizzazione considerata come unico obiettivo, ma la vede come risvolto del servizio reso alla comunità; non fa dei suoi stati emotivi un equivalente della propria coscienza, ma sa che quest’ultima emerge solo da una sinergia tra sentimento e ragione; non assume la coscienza stessa come ultimo, ma come penultimo criterio del bene e del male, perché ne rispetta il dinamismo, che non è autoreferenziale,  ma proteso a scoprire l’armonia segreta della realtà e a tradurla in scelte corrispondenti ad essa.

 

  Come evitare che il messaggio evangelico, riproposto da papa Francesco, venga fagocitato dalla cultura dell’individualismo e metabolizzato secondo le sue logiche? La risposta è già in una precisazione dell’Amoris laetitia che abbiamo appena citato: «Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle» (n.37). Se non si vogliono sostituire le coscienze – e questo è giustissimo – , bisogna però impegnarsi a formarle. Ciò comporta, però, una rivoluzione culturale di cui la nostra pastorale oggi è chiamata a farsi carico. Dal modello di parrocchia-supermarket di riti e sacramenti bisogna passare a quello di una parrocchia-comunità che educhi a una mentalità radicalmente alternativa a quella dominante. Il vecchio catechismo per la prima comunione non basta più. Se si vuole che la svolta di Francesco si attui davvero, bisogna formare le persone.

 

 

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