Il contributo dei cattolici in politica
Quella fra i cattolici e la politica è una delle relazioni più discusse e problematiche della storia del nostro Paese. Terminata da quasi trent’anni l’egemonia democratico-cristiana, oggi, si è giunti ad una presenza dei credenti tanto in compagini di centrodestra quanto in quelle di centrosinistra. Sul contributo che, in un nuovo scenario culturale e politico, i cattolici possono continuare ad offrire alla nostra comunità nazionale, ne discutiamo con Ernesto Preziosi.
Presidente del Centro di Ricerca studi storici e sociali (Cerses) Preziosi – alle elezioni politiche del 2013 – è stato eletto deputato per il Partito Democratico. É stato direttore delle Pubbliche Relazioni dell’Istituto Giuseppe Toniolo, ente fondatore dell’Università Cattolica e vicepresidente nazionale dell’Azione Cattolica italiana per il settore adulti. È, inoltre, autore di saggi di storia contemporanea e presidente di Argomenti2000.
– Nel 2019 abbiamo ricordato il centenario della fondazione del Partito Popolare Italiano ad opera di don Luigi Sturzo. In quel tempo, i cattolici riuscirono ad esprimersi attraverso una compagine politica aconfessionale in grado di perseguire valori comuni come la libertà e la giustizia. Cosa c’è di attuale in quella lezione?
Direi in primo luogo il metodo. Nel senso che la scelta di Sturzo di fondare un partito rispondeva ad una lettura della società di quel tempo. Si usciva dalla Prima Guerra Mondiale, vi erano profondi rivolgimenti sociali, il sistema istituzionale dello stato liberale era come ingessato e inadeguato ad accogliere la spinta che veniva dalla società. I cattolici, che proprio con la guerra si erano avvicinati alla patria sentendosi parte dello stato unitario, poterono cogliere l’occasione per porre in essere uno strumento politico che, per le sue caratteristiche era aperto alla partecipazione di tanti. Infatti il Partito Popolare nasce come aconfessionale, aperto al riformismo sociale e fortemente legato all’ideale democratico.
Lo stesso metodo verrà utilizzato alla fine Seconda Guerra Mondiale quando, proprio una lettura della realtà nazionale e internazionale, porterà i cattolici a mettere in campo uno strumento diverso dal PPI, la Democrazia Cristiana. Vorrei dire l’impegno per la politica è una costante, gli strumenti con cui si partecipa sono contingenti.
– Finita la lunga stagione democristiana, in Italia i cattolici hanno operato scelte politico-partitiche plurali sulla scia di quanto già aveva affermato negli anni Sessanta la Gaudium et spes. Se è stata giustamente garantita la possibilità di optare per le diverse visioni politiche in campo, i cattolici in politica non hanno forse perso, e parecchio, d’efficacia?
Difficile far risalire unicamente al pluralismo espresso dai cattolici dopo la fine della DC (ma in certa misura anche prima), l’afasia e l’irrilevanza del cattolicesimo politico. Occorrerebbe analizzare ciò che è accaduto, a partire dalla seconda metà degli anni ’90 nel contesto ecclesiale, la crisi culturale oltre che sociale acutizzatasi nel passaggio del secolo e, tra i molti motivi da considerare, andrebbe messo anche il ritardo nella recezione del Concilio Vaticano II e delle novità proposte nel rapporto Chiesa-mondo.
Mi pare importante riflettere su come già Giovanni Paolo II a Palermo nel ’95, nel riconoscere un legittimo pluralismo, avesse raccomandato di mantenere una tensione unitiva sul piano culturale. Molte delle difficoltà con cui ci misuriamo oggi sono legate a quella sorta di analfabetismo di ritorno che ha investito la dimensione formativa nella comunità cristiana, alla frammentarietà di ciò che avevamo chiamato movimento cattolico e in particolare all’abbandono di uno strumento come l’Azione Cattolica la cui funzione di acculturazione e di collante del cattolicesimo italiano andava ben oltre i confini dell’associazione.
– Il nuovo movimento delle “Sardine” legato al crescente astensionismo e a degenerazioni politico-culturali sempre più evidenti, ci mostrano come il vissuto democratico del nostro Paese attraversa un periodo di transizione non privo di rischi. Quanto e perché, in questa nostra epoca, abbiamo bisogno di recuperare il senso profondo e diffuso della cittadinanza responsabile?
La fase che stiamo vivendo, dentro una lunga transizione, mette in evidenza una crisi drammatica di partecipazione che investe il senso stesso della democrazia. Il che è a rischio non è questa o quella modalità di partecipare (una democrazia rappresentativa, una deliberativa o diretta…) ma il senso stesso di riconoscersi in una casa comune da costruire insieme e da lasciare alle future generazioni.
Di fronte alle derive populiste, alla semplificazione e alla rozzezza del linguaggio politico, tutto ciò che aiuta a riconnettere la vita dei cittadini con le istituzioni, tutto ciò che fa abbassare i toni e va nella direzione di un recupero del senso di cittadinanza, va salutato come qualcosa di positivo. La politica dei partiti deve mettersi in ascolto, lasciarsi interpellare da tutto ciò che dà vita a forme di protesta inizialmente antiistituzionali (penso al sorgere dei 5 Stelle), così come a chi va in piazza per chiedere che si rispettino i diritti e le forme stesse di una cittadinanza condivisa.
– Le associazioni cattoliche, fra questi l’Azione Cattolica Italiana, sono attive su tutto il territorio nazionale sia per la trasmissione della fede alle nuove generazioni sia per l’educazione ad un umanesimo responsabile verso gli uomini e a tutela dell’ambiente. Nello specifico, tali gruppi come possono contribuire alla riforma della politica nel nostro Paese?
Vorrei dire “facendo il loro mestiere”. C’è sempre il rischio nelle situazioni di bisogno che ci si lasci interpellare e si corre dove la criticità è maggiore. Occorre invece, riconosciuto il bisogno e l’emergenza ed eventualmente attuata una breve supplenza, tornare a svolgere il proprio compito che nel caso dell’AC e dell’associazionismo ecclesiale è la formazione delle coscienze. Non è poco e non va sottovalutato. La politica ha bisogno di persone formate, motivate, in grado di resistere alle lusinghe del potere ed esercitarlo come servizio. Tutto ciò non si improvvisa. Basta pensare alle grandi figure che i cattolici hanno saputo mettere in campo nella diaconia della politica.
Chiamare a raccolta tutte le associazioni, non distinguere tra associazioni ecclesiali e associazioni di categoria, a carattere sindacale, pur d’ispirazione cristiana, può rispondere ad una finalità di mobilitazione, forse può riempire le piazze, ma non risolve il problema di una presenza politica cristianamente ispirata vissuta secondo i criteri della laicità e finalizzata al bene comune.
Poi verranno associazioni create ad hoc, strumenti nuovi (con alcuni amici ad esempio abbiamo avviato Argomenti2000), luoghi e modi per assumere scelte sotto la propria responsabilità di laici cristiani.
– Argomenti 2000 si definisce come un’associazione di amicizia politica. Dalla fondazione ad oggi, vi siete occupati tanto di elaborare una voce critica all’interno dello scenario politico italiano quanto di realizzare progetti per la promozione di nuovi contenuti e metodi. Come giudicate l’attuale governo giallorosso e quali saranno i vostri prossimi appuntamenti?
Una scelta faticosa è stata quella di puntare sui contenuti più che sui contenitori. Come a dire che oggi la “unità politica dei cattolici” prima che in un contenitore comune è difficile sui contenuti stessi dell’agenda politica del Paese. Il caso delle migrazioni è eclatante, ma come questo ce ne sono altri. I credenti che idea hanno della sanità pubblica? Sostengono solo la scuola cattolica o si preoccupano che essa giustamente viva ed abbia i fondi necessari preoccupandosi allo stesso tempo dell’intero sistema formativo del Paese? E così via. Noi cerchiamo di mettere insieme una rete di amici che si stimano, che ascoltano la realtà che hanno intorno e che contribuiscono ad elaborare proposte politiche, ispirate cristianamente e offerte a tutti. È un momento delicato da cui dobbiamo uscire con una maggiore tessitura di relazioni.
Un’ultima considerazione sul governo giallo-rosso. Ha aspetti di anomalia, è nato da una necessità, ma non può vivacchiare nel giorno per giorno. Come spesso accade nella storia da un cammino forzoso, potrebbe venire un’opportunità. Non si tratta solo di fare una maggioranza che impedisca la vittoria di un centrodestra che si è andato estremizzando con forme e numeri che non hanno precedenti nella storia repubblicana; occorre individuare un programma (e non un contratto che forma privatistica estranea alla politica) comune da realizzare in modo da andare incontro alle esigenze reali del Paese.
Per ciò serve che il Movimento 5 Stelle chiarisca la sua identità attraverso un passaggio congressuale (o come altro lo voglio chiamare), magari perdendo anche una parte ma facendo quel passo in avanti che li porti ad essere forza parlamentare a tutti gli effetti. Il PD da parte sua risulta in difficoltà anche per i danni prodotti dalla guida leaderistica del recente passato. Ma anche qui occorre un chiarimento identitario: il PD intende riprendere il disegno ulivista di un partito plurale che offre una nuova sintesi al Paese? Oppure si vuole collocare sulla posizione della sinistra tradizionale, una sorta di evoluzione dei DS. Possibilità ineccepibile ma che finirebbe per contrarre la proposta politica che non potrebbe più essere attrattiva per tanti. Su questo scorcio sta anche una parte del tema della presenza dei cattolici nelle attuali formazioni politiche così come la possibilità di dar vita a nuovi contenitori.
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