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La porta delle pecore – Gv 10, 1-10

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Introduzione alla lectio divina su Gv 1o, 1-10

11 maggio 2014 – IV domenica del tempo di Pasqua

«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2 Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3 Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4 E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5 Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6 Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. 7 Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8 Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9 Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10 Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

 

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Lorenzo Pietrogrande, «Io sono la porta delle pecore», 2011

 

La liturgia della IV domenica di Pasqua mantiene ferma la sua attenzione al Risorto, a Colui che sostiene e fonda la fede dell’intera comunità dei discepoli e si affida all’evangelista Giovanni per affermare solennemente che Gesù è e deve restare al centro della Chiesa.

Il contesto da cui viene tratto il brano, però, cambia decisamente rispetto all’ultima immagine lucana dei discepoli di Emmaus, il cui viaggio si svolgeva nella sera dello stesso giorno di Pasqua: si ritorna idealmente indietro ai momenti più drammatici dello scontro tra i capi farisei e Gesù (nel racconto giovanneo il brano è, infatti, inserito tra la diatriba conseguente alla guarigione del cieco nato in giorno di sabato e quella intervenuta durante la festa della Dedicazione).

L’evangelista Giovanni, notoriamente poco accondiscendente con le guide spirituali del popolo di Israele che avevano rifiutato e messo a morte il Messia, conclude l’episodio del cieco nato criticando aspramente quei giudei che ritenevano di “capire” delle cose di Dio, pur essendo accecati dalla ricerca del potere personale o ecclesiale (v.9,41: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato, ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane”).

In questo contesto di forte contrapposizione, l’evangelista inserisce il nostro brano e propone la sua visione della Chiesa tutta imperniata sulla figura di Cristo, che viene definito la “porta”, il limen fra chi appartiene e non appartiene al novero dei veri discepoli, ma anche fra chi è ecclesialmente credibile come guida e chi non può esserlo.

Per far questo viene sviluppata (secondo la tecnica narrativa dell’enigma, che genera incomprensione e, poi, viene progressivamente disvelato) una attualizzazione cristiana di Ez 34, che peraltro era una lettura sinagogale propria della festa della Dedicazione:

 

2 Figlio dell’uomo, profetizza contro i pastori d’Israele, profetizza e riferisci ai pastori: Così dice il Signore Dio: Guai ai pastori d’Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? 3Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. 4 Non avete reso forti le pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. 5 Per colpa del pastore si sono disperse e sono preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate. 6 Vanno errando le mie pecore su tutti i monti e su ogni colle elevato, le mie pecore si disperdono su tutto il territorio del paese e nessuno va in cerca di loro e se ne cura. 7 Perciò, pastori, ascoltate la parola del Signore: 8 Com’è vero che io vivo – oracolo del Signore Dio -, poiché il mio gregge è diventato una preda e le mie pecore il pasto d’ogni bestia selvatica per colpa del pastore e poiché i miei pastori non sono andati in cerca del mio gregge – hanno pasciuto se stessi senza aver cura del mio gregge -, 9 udite quindi, pastori, la parola del Signore: 10 Così dice il Signore Dio: Eccomi contro i pastori: a loro chiederò conto del mio gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge, così non pasceranno più se stessi, ma strapperò loro di bocca le mie pecore e non saranno più il loro pasto. 11 Perché così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. 12 Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine. 13 Le farò uscire dai popoli e le radunerò da tutte le regioni. Le ricondurrò nella loro terra e le farò pascolare sui monti d’Israele, nelle valli e in tutti i luoghi abitati della regione. 14 Le condurrò in ottime pasture e il loro pascolo sarà sui monti alti d’Israele; là si adageranno su fertili pascoli e pasceranno in abbondanza sui monti d’Israele. 15Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. 16 Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia.

 

Giovanni riprende l’invettiva contro i falsi pastori e la traduce in una nuova teologia, utile in primo luogo agli stessi discepoli: le pecore bisognose di protezione sono i fedeli e sono protetti in un recinto (aulh, aulé, termine che indica nel greco biblico generalmente il vestibolo antistante il tempio) sotto gli occhi attenti di un guardiano che sorveglia e fa entrare chi passa per la porta.

Chi non passa attraverso la porta è, invece, un ladro o un brigante, qualcuno che potrà anche spacciarsi per pastore, riuscire a vestire porpore e talari, ma che non ha davvero a cuore la salvezza dei fedeli, talvolta utili strumenti di benemeriti progetti di (auto)affermazione ecclesiale, ma non davvero soggetti amati in una relazione, dunque curati. Attraversare autenticamente l’esperienza di Gesù è l’unica strada per comprendere l’amore verso coloro che ci sono stati affidati fino al punto di deporre la propria vita per essi.

Il ruolo della porta (porta delle pecore, cioè per le pecore, non porta del recinto) è, comunque, anche quello di consentire alla pecora un discernimento sulla propria guida: solo se esprime la sua adesione al Cristo, se passa attraverso l’unico mediatore con il Padre, il pastore può essere tale e svolgere la sua funzione primaria, ossia quella di “fare uscire le pecore dal recinto”, una funzione liberante ed essenziale per la vita stessa di chi gli è affidato. La guida, in questo modo, non è il mediatore con il Padre, ma un discepolo che si pone radicalmente alla sequela (in modo assai più drastico, fuori dalla nostra pericope, Gesù stesso sembra escludere che qualcuno diverso da Lui possa essere realmente pastore delle pecore, attribuendo a sé tale figura).

Il pastore, secondo Giovanni, si fa riconoscere sia dal guardiano, sia dalle pecore che egli conosce bene (“una per una”); il pastore chiama le pecore, le interpella venendole a trovare nel luogo in cui si trovano; il pastore si fa ascoltare dalle pecore; il pastore aiuta la pecora ad uscire, a liberarsi dagli spazi angusti in cui è ristretta per trovare quel nutrimento che è essenziale alla sua vita; il pastore traccia il cammino, ponendosi alla guida del gregge.

Fuori dal recinto, nel mondo, il legame profondo tra la pecora ed il suo pastore è quell’ascolto della sua Voce, che era stato coltivato in precedenza all’interno del recinto.

Un vero pastore mette, quindi, in primo piano Gesù che è l’autore della nostra fede ed è al contempo l’autore del nostro essere Chiesa. “Nella Chiesa ci sono persone che seguono Gesu’ per vanita’, sete di potere o soldi; il Signore ci dia la grazia di seguirlo solo per amore” (papa Francesco, la preghiera a Santa Marta, del 6.5.2014).

 

Lorenzo Jannelli

 

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