Che cosa ci porterà l’anno nuovo che è appena iniziato? La tradizionale formula “Anno nuovo vita nuova” esprimeva un’esigenza di rinnovamento radicale che le vicende dell’anno appena trascorso – e forse non solo di quello – hanno reso ancora più attuale. Veramente sono in tanti, oggi, a desiderare un simile rinnovamento, a tutti i livelli. Il nostro Paese vive ormai da tempo una crisi profonda, di cui sarebbe riduttivo isolare l’aspetto economico, che pure è fondamentale, dimenticando le sue valenze culturali, etiche e spirituali.
I nostri giovani non sono senza futuro solo perché il mercato del lavoro non riesce più ad accoglierli, quando escono dagli istituti superiori o dall’Università, ma anche perché non hanno più sogni, non sperano nulla di grande, di nuovo, di veramente bello, per la società in cui vivono e per se stessi. Poche generazioni fa, non si pensava solo a studiare per “sistemarsi”. Si voleva cambiare il mondo. Certo, in questa pretesa c’era una buona dose di ingenuità, spesso accompagnata da arroganza. Si contestava l’esistente in nome di un modello di umanità più pieno, anche se poi questo modello, ispirato all’Uomo a una dimensione di Herbert Marcuse, mescolava alla sincera ansia di autenticità molte idee di Freud e di Marx che a molti di noi già allora apparivano sbagliate e che oggi sono in gran parte superate. Ormai la maggior parte dei giovani non sa più nemmeno chi fosse Marcuse e, piuttosto che rivoluzionare la realtà, aspira solo a potervisi inserire più comodamente possibile. Un desiderio, più che comprensibile, da non disprezzare, ma che, se viene a occupare tutto l’orizzonte, taglia le gambe a ogni possibile svolta nell’ambito socio-politico.
E anche nella propria vita personale, c’è da chiedersi quanto siano ancora in circolazione domande di senso, desiderio di verità, ansia di giustizia sufficientemente forti da spingere chi le sperimentasse – di nuovo pensiamo ai giovani – a vivere in modo diverso, alternativo al consumismo e alle sue tiranniche mode. A vivere in un atteggiamento di ricerca, con lo stile di attenzione interiore e di riflessione che esso comporta; a vivere i rapporti con le persone senza cedere alla tentazione di considerarle in funzione di se stessi, ma lasciando che i loro volti balzino fuori dal velo dell’abitudine e si impongano, con la loro silenziosa implorazione di rispetto e forse d’amore, ai nostri occhi stupiti.
“Anno nuovo vita nuova”. Parole che possono apparire sbiadite e convenzionali, in un quadro che a volte fa venire in mente, se mai, la teoria di Nietzsche sulla storia come divenire senza novità, eterno ritorno di ciò che sempre è stato e sempre sarà. A livello pubblico, quanti vecchi slogan, quante vecchie cariatidi a ripeterli, quanto vecchio torpore di chi li continua ad ascoltare senza esplodere in un grido di indignazione! A livello privato, quanta superficialità e mediocrità! È questo l’anno nuovo?
Eppure, sotto la coltre di silenzio a cui li condanna un’informazione prevalentemente scandalistica, vivono e crescono i germi del nuovo. Ci sono anche tanti uomini e donne che, senza rumore, costruiscono il futuro con piccoli e grandi gesti quotidiani di consapevolezza, di impegno, di responsabilità verso se stessi e verso gli altri. La festa dell’Epifania ci ha messo sotto gli occhi il modello rivoluzionario che vi sta dietro: i saggi venuti dall’Oriente non si prostrano davanti a un vecchio sovrano potente, assiso sul suo trono regale, ma a un bambino appena nato, la cui forza è la sua stessa debolezza, che rimanda dal suo fragile presente all’indeterminato futuro. L’oro, l’incenso, la mirra, sono i doni che civiltà giunte al loro compimento portano a questa vita ancora in germe, un sacrificio offerto alla speranza.
È vero, non sarà neppure questo capodanno a salvare il nostro Paese. I frenetici sforzi per essere allegri e divertirsi che ancora una volta si sono ripetuti allo scoccare della fatidica mezzanotte non hanno potuto cambiare nulla. Decisiva è piuttosto la scelta che a ogni uomo e a ogni donna – ai giovani in primo luogo – si presenta, se appena si fermano a pensare alla vanità di questa euforia. Restare imprigionati nella rete di ciò che è sempre stato, di ciò che si è sempre stati, oppure mettersi dalla parte del nuovo che nasce senza chiasso, liberi dal mito del consumismo (non dai consumi, che migliorano la qualità della vita!), con coloro che operano, a volte con semplici scelte di vita quotidiana, per cambiare la propria vita personale e la nostra società, rivivendo e rinnovando il miracolo che la nascita di quel bambino ha costituito duemila anni fa. Per quanti prendessero sul serio questa alternativa e l’affrontassero con coraggio, l’espressione “vita nuova” contenuta nell’antica formula non si ridurrebbe a vuota retorica. Ed è a loro – chiunque essi siano – che vorrei augurare sinceramente: “Buon anno!”.
Giuseppe Savagnone
{jcomments on}
Lascia un commento