Riceviamo da Andrea Volpe e volentieri pubblichiamo:
Una delle questioni che oggi nel sentire comune viene considerata dirimente tra credenti e non credenti è la teoria dell’evoluzione, che sostiene che l’uomo e gli esseri viventi in genere siano il risultato di una selezione naturale, in accordo agli studi effettuati dal noto antropologo Charles Darwin, e non il frutto di una volontà divina che materializza il suo amore nella creazione dell’universo, avente al suo culmine creativo proprio l’uomo.
In effetti la contrapposizione tra evoluzione e creazione appare una questione mal posta, mal conosciuta e troppo spesso strumentalizzata.
In alcuni ambiti scientifici l’evoluzionismo darwiniano viene utilizzato per negare il creazionismo biblico e con esso per negare anche la realtà di un essere supremo che è all’origine della ragione stessa dell’esistenza.
A questa posizione in alcuni ambiti cristiani, soprattutto di matrice fondamentalista protestante, ha fatto da contraltare un’intransigente rivendicazione del creazionismo biblico, fondato sulla scorta dell’interpretazione letterale dei testi, per negare alla radice la teoria dell’evoluzione di Darwin.
Malgrado ancor oggi la teoria darwiniana dell’evoluzione sia solo un’ipotesi, non essendo ancora provata scientificamente in via definitiva, il Magistero dei Papi ha più volte evidenziato che qualora essa venisse pienamente provata e accettata universalmente dal mondo scientifico, non potrebbe esistere comunque “a priori” incompatibilità tra la teoria dell’evoluzione e
Illuminante è il brano dell’Enciclica Humani generis di Pio XII, addirittura del 12 agosto 1950, che ha aperto queste fondamentali questioni al dialogo con il mondo scientifico e che di seguito riporto:
«Per queste ragioni il Magistero della Chiesa non proibisce che in conformità dell’attuale stato delle scienze e della teologia, sia oggetto di ricerche e di discussioni, da parte dei competenti in tutti e due i campi, la dottrina dell’evoluzionismo, in quanto cioè essa fa ricerche sull’origine del corpo umano, che proverrebbe da materia organica preesistente (la fede cattolica ci obbliga a ritenere che le anime sono state create immediatamente da Dio). Però questo deve essere fatto in tale modo che le ragioni delle due opinioni, cioè di quella favorevole e di quella contraria all’evoluzionismo, siano ponderate e giudicate con la necessaria serietà, moderazione e misura e purché tutti siano pronti a sottostare al giudizio della Chiesa, alla quale Cristo ha affidato l’ufficio di interpretare autenticamente
Si è spinto molto più avanti Giovanni Paolo II, che nel suo Messaggio alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze del 22 ottobre
«Prima di proporvi qualche riflessione più specifica sul tema dell’origine della vita e dell’evoluzione, desidero ricordare che il Magistero della Chiesa si è già pronunciato su questi temi, nell’ambito della propria competenza. Citerò qui due interventi.
Nella sua Enciclica Humani generis (1950) il mio predecessore Pio XII aveva già affermato che non vi era opposizione fra l’evoluzione e la dottrina della fede sull’uomo e sulla sua vocazione, purché non si perdessero di vista alcuni punti fermi (cfr AAS 42, 1950, pp. 575-576).
Da parte mia, nel ricevere il 31 ottobre 1992 i partecipanti all’Assemblea plenaria della vostra Accademia, ho avuto l’occasione, a proposito di Galileo, di richiamare l’attenzione sulla necessità, per l’interpretazione corretta della parola ispirata, di una ermeneutica rigorosa. Occorre definire bene il senso proprio della Scrittura, scartando le interpretazioni indotte che le fanno dire ciò che non è nelle sue intenzioni dire. Per delimitare bene il campo del loro oggetto di studio, l’esegeta e il teologo devono tenersi informati circa i risultati ai quali conducono le scienze della natura (cfr AAS 85, 1993, pp. 764-772); Discorso alla Pontificia Commissione Biblica, 23 aprile 1993, che annunciava il documento su l’interpretazione della Bibbia nella Chiesa; AAS 86, 1994, pp. 232-243).
Tenuto conto dello stato delle ricerche scientifiche a quell’epoca e anche delle esigenze proprie della teologia, l’Enciclica Humani generis considerava la dottrina dell'”evoluzionismo” un’ipotesi seria, degna di una ricerca e di una riflessione approfondite al pari dell’ipotesi opposta. Pio XII aggiungeva due condizioni di ordine metodologico: che non si adottasse questa opinione come se si trattasse di una dottrina certa e dimostrata e come se ci si potesse astrarre completamente dalla Rivelazione riguardo alle questioni da essa sollevate.
Enunciava anche la condizione necessaria affinché questa opinione fosse compatibile con la fede cristiana, punto sul quale ritornerò.
Oggi, circa mezzo secolo dopo la pubblicazione dell’Enciclica, nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell’evoluzione una mera ipotesi. È degno di nota il fatto che questa teoria si sia progressivamente imposta all’attenzione dei ricercatori, a seguito di una serie di scoperte fatte nelle diverse discipline del sapere. La convergenza non ricercata né provocata, dei risultati dei lavori condotti indipendentemente gli uni dagli altri, costituisce di per sé un argomento significativo a favore di questa teoria. […].
Con l’uomo ci troviamo dunque dinanzi a una differenza di ordine ontologico, dinanzi a un salto ontologico, potremmo dire. Tuttavia proporre una tale discontinuità ontologica non significa opporsi a quella continuità fisica che sembra essere il filo conduttore delle ricerche sull’evoluzione dal piano della fisica e della chimica? La considerazione del metodo utilizzato nei diversi ordini del sapere consente di conciliare due punti di vista apparentemente inconciliabili. Le scienze dell’osservazione descrivono e valutano con sempre maggiore precisione le molteplici manifestazioni della vita e le iscrivono nella linea del tempo. Il momento del passaggio all’ambito spirituale non è oggetto di un’osservazione di questo tipo, che comunque può rivelare, a livello sperimentale una serie di segni molto preziosi della specificità dell’essere umano. L’esperienza del sapere metafisico, della coscienza di sé e della propria riflessività, della coscienza morale, della libertà e anche l’esperienza estetica e religiosa, sono però di competenza dell’analisi e della riflessione filosofiche, mentre la teologia ne coglie il senso ultimo secondo il disegno del Creatore».
Ma ancora più illuminanti e quasi definitive sulla questione sono le affermazione fatte da Benedetto XVI che nel Messaggio alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze del 31 ottobre 2008 così si esprimeva:
«Nella scelta del tema “Comprensione scientifica dell’evoluzione dell’universo e della vita”, cercate di concentrarvi su un’area di indagine che solleva grande interesse. Infatti, oggi molti nostri contemporanei desiderano riflettere sull’origine fondamentale degli esseri, sulla loro causa, sul loro fine e sul significato della storia umana e dell’universo. In questo contesto, è naturale che sorgano questioni relative al rapporto fra la lettura che le scienze fanno del mondo e quella offerta dalla rivelazione cristiana. I miei predecessori Papa Pio XII e Papa Giovanni Paolo II hanno osservato che non vi è opposizione fra la comprensione di fede della creazione e la prova delle scienze empiriche. […] Affermare che il fondamento del cosmo e dei suoi sviluppi è la sapienza provvida del Creatore non è dire che la creazione ha a che fare soltanto con l’inizio della storia del mondo e della vita. Ciò implica, piuttosto, che il Creatore fonda questi sviluppi e li sostiene, li fissa e li mantiene costantemente».
C’è un’ultima prospettiva da considerare, che è quella dell’antropologia teologica cattolica, che vede nell’evoluzione la possibilità di riconoscere l’assistenza permanente di Dio alla sua Creazione. Per documentare questo aspetto ci si riferisce a quanto scrive il Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede Mons. L. F. Ladaria nel suo testo Antropologia teologica, Editrice Pontificia Università Gregoriana, Edizioni Piemme, Casale Monferrato 20023, alle pp. 97-100 e 166-168, che di seguito per estratti riporto:
«A questa considerazione si aggiunge necessariamente quella della visione evolutiva dell’universo. Ormai non abbiamo più una visione fissista del mondo, secondo la quale le cose sarebbero date una volta per sempre sin dal principio. Anche se è certo che con la comparsa dell’uomo sulla terra, al quale Dio ha affidato la sua stessa creazione, si è arrivati ad una meta in un certo senso insuperabile, non possiamo dire che non si producano più novità nell’universo. Non possiamo quindi nemmeno dire da questo punto di vista che in assoluto la creazione sia stata conclusa. Le concezioni scientifiche evoluzioniste, ampiamente diffuse, hanno creato nei nostri contemporanei la mentalità di un mondo aperto a nuove possibilità. Nella stessa linea bisogna situare quanto abbiamo detto sulla cooperazione dell’uomo all’opera creatrice, il lavoro umano, la trasformazione del mondo che ha luogo per l’azione dell’essere umano su di esso. Neppure si può separare quest’opera dell’uomo e la sua responsabilità nella costruzione della storia dall’azione creatrice di Dio. […]In virtù della sua fedeltà Dio non solo “conserva” quanto realizzato, ma porta a compimento quanto iniziato fino alla consumazione escatologica. Questa “conservazione” non ha luogo, secondo San Tommaso, per una nuova azione di Dio, ma è la continuazione dell’azione mediante la quale dà l’essere. La nozione di creazione appare così con una dimensione dinamica; si può di conseguenza parlare di creazione continua o continuata per riferirci a quest’azione costante di Dio in favore della sua creatura. La conservazione è un aspetto di quest’azione».
A conclusione di questa esposizione sullo status quaestionis sull’argomento, riporto in veste di testimone diretto, le intenzioni recentemente espresse da Sua Eminenza Card. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificium Consilium de Cultura, che, nell’ambito dei lavori del convegno organizzato a Roma dall’Associazione Biblica Italiana sul Libro della Genesi, il 6 ottobre
Andrea Volpe
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