di Giuseppe Savagnone
I commenti che la stampa ha dedicato alla Esortazione sinodale Amoris laetitia insistono, per lo più, sulle “aperture” del testo nei confronti dei divorziati. Assai minore, per non dire assente, è l’attenzione all’impianto teologico-morale che giustifica queste aperture.
In realtà, proprio in esso sta la vera svolta che il documento contiene e che, al di là del caso specifico dei divorziati, apre nuove prospettive alla morale cristiana, senza per questo escludere il valore di quelle finora dominanti:
Ma qual è questa novità? Può essere una buona sintesi ciò che il papa stesso scrive: «È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari» (n.304). E si appoggia sull’autorità di Tommaso, il quale scriveva: «Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione (…). In campo pratico non è uguale per tutti la verità o norma pratica rispetto al particolare».
In altri termini: la valutazione morale di un comportamento non si può basare solo sulla legge morale (che è generale), ma deve anche tenere conto delle situazioni concrete in cui quel comportamento si colloca (che sono particolari). Perciò, scrive Francesco, «è meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano» (ivi).
L’applicazione al caso dei divorziati è illuminante, anche se in fondo è solo un esempio tra i tanti possibili: «I divorziati che vivono una nuova unione, per esempio, possono trovarsi in situazioni molto diverse, che non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare spazio a un adeguato discernimento personale e pastorale» (n.298).
Perciò, mentre tutti si aspettavano che l’Esortazione contenesse o una conferma della normativa finora vigente (come volevano i “conservatori”), oppure una nuova normativa (come speravano i “progressisti”), in realtà essa non segue né l’una né l’altra linea, perché nega il presupposto di entrambe, nella convinzione che «non esistono “semplici ricette”» (ivi). Il papa lo dichiara espressamente: «Se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni concrete, come quelle che abbiamo sopra menzionato, è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi. E’ possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari, che dovrebbe riconoscere che, poiché “il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi”, le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi» (n.300).
Perciò, «a causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa» (n.305). «Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo precorsi di santificazione che danno gloria a Dio. Ricordiamo che “un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i sui giorni senza fronteggiare importanti difficoltà”» (ivi).
A questo punto diventa fondamentale il ruolo della coscienza personale. In linea di principio esso non era mai stato negato. Ma nella pratica esso non è stato mai abbastanza valorizzato: «Stentiamo a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle» (n.37).
Il rischio, naturalmente, è quello di un soggettivismo che porti a giustificare ogni comportamento. Per questo l’Esortazione non si stanca di ricordare che «i presbiteri hanno il compito di “accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo”», sollecitando anche «un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento» (n.300).
Si tratta di un cammino. In nome dell’importanza del tempo nella vita umana, Francesco si appella al principio della gradualità e chiede di «accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno» (n.308).
In conclusione, resta il fatto che «una coscienza illuminata, formata e accompagnata dal discernimento responsabile e serio del Pastore (…) può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo» (n.303).
La conseguenza pratica di questa prospettiva è che anche persone in stato di irregolarità oggettiva possono trovare posto nella comunità ecclesiale senza sentirsi giudicate. «Si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale» (n.297).
Siamo davanti a qualcosa di diverso e di molto più rilevante di una pura e semplice “apertura” pastorale verso i divorziati. Quello che Francesco propone è il superamento di una impostazione morale basata sul primato dell’obbedienza indiscriminata alle regole e l’adozione di una nuova logica, che privilegia l’educazione delle coscienze a discernere come applicarle nelle situazioni concrete. La tradizione cristiana più antica conosceva questa prospettiva: basti pensare al «Dilige et fac quod vis», “ama e fai ciò che vuoi”, di Agostino. E anche Tommaso, come si è visto, sottolinea l’inadeguatezza di una morale fondata solo sul rispetto astratto della norma generale.
È un’etica della maturità, che chiede a ognuno di assumersi la responsabilità del proprio cammino umano e cristiano e a tutti il rispetto del cammino altrui. Un antidoto potente contro quel moralismo soffocante con cui spesso la fede è stata confusa, suscitando la reazione degli spiriti liberi. Resta da chiedersi se la società in cui viviamo e lo stesso popolo di Dio, nel suo complesso, siano in grado di recepire questo messaggio di libertà e di rispetto. Ma siamo debitori a papa Francesco di avere avuto il coraggio di lanciarlo.
{jcomments on}
Lascia un commento