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La vita è la vita

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di Giuseppe Savagnone 

 

 

«Quando parliamo dell’uomo, non dimentichiamo mai tutti gli attentati alla sacralità della vita umana. È attentato alla vita la piaga dell’aborto. È attentato alla vita lasciar morire i nostri fratelli sui barconi nel canale di Sicilia. È attentato alla vita la morte sul lavoro perché non si rispettano le minime condizioni di sicurezza. È attentato alla vita la morte per denutrizione. È attentato alla vita il terrorismo, la guerra, la violenza; ma anche l’eutanasia. Amare la vita è sempre prendersi cura dell’altro, volere il suo bene, coltivare e rispettare la sua dignità trascendente».

Sono le parole che papa Francesco ha rivolto ai membri dell’Associazione “Scienza e Vita” in occasione del decennale della sua fondazione. E suonano cariche di significato. Perché l’Associazione è nata nel contesto delle grandi battaglie sui temi bioetici, collegate alla legge 40 sulla  fecondazione assistita  e ai referendum che, nel giugno del 2005, videro vincere la linea astensionista indicata dal card. Ruini. Da allora “Scienza e Vita” ha continuato a battersi, meritoriamente, per la tutela dei nascituri e contro ogni forma di eutanasia,   andando contro corrente rispetto a  un’opinione pubblica che, nel referendum del 1981,  aveva confermato la legge 194 sull’aborto, e di cui sono espressione, in questi ultimi dieci anni, anche una serie di sentenze che gradualmente hanno modificato in senso permissivo la stessa legge 40.

Con un possibile equivoco, però, insito nella parola da  cui il Comitato trae la propria denominazione: “vita”. Perché la vita umana non è soltanto quella dell’embrione e dei malati in stato vegetativo persistente. Difendere la dignità di queste persone è importantissimo e bisogna farlo con sempre maggiore energia. Ma se si assume questa come unico obiettivo, si rischia di far credere  che ai cristiani stia a cuore la vita non dal momento del suo concepimento a quello del suo termine naturale, ma nel momento del suo concepimento e in quello del suo  termine naturale, lasciando   cadere il silenzio sull’arco di tempo che si svolge tra l’inizio e la fine. Senza colpa del Comitato, c’è stata una fase della storia della Chiesa in Italia – quella contrassegnata dalla difesa dei cosiddetti «valori non negoziabili» – che ha trasformato questo rischio in una dolorosa realtà.

È accaduto così che, avendo circoscritto la qualifica di “non negoziabili” a tre punti, per quanto fondamentali, dell’etica sociale cattolica – la vita biologica, la famiglia fondata sul matrimonio e la libertà di educazione – , si è data l’impressione che tutti gli altri fossero, invece, negoziabili. In assoluta rottura con la tradizione della Chiesa, che ha sempre considerato altrettanto irrinunciabili, per la costruzione di una società a misura d’uomo, anche valori come la solidarietà, la giustizia, il lavoro, la verità. È stato il tempo in cui molti cattolici, in regioni di forte tradizione cattolica – emblematico il caso del Veneto – , hanno appoggiato con convinzione formazioni politiche come la Lega, che sbandierava ad ogni occasione quei tre valori mentre, al tempo stesso, calpestava esplicitamente tutti gli altri.

Senza dire che restringere in questo modo il campo della protezione della vita dà luogo a quello che Luca Diotallevi ha giustamente segnalato come lo scivolamento da una logica politica, che aveva caratterizzato a lungo la presenza dei cattolici in Italia a partire dalla fine della guerra, a una lobbistica. Dove con “lobby” non si intende necessariamente un fenomeno negativo, ma solo quello per cui un gruppo assume come discriminante per il proprio appoggio a una qualsiasi forza politica l’assicurazione circa uno o due punti. Negli Stati Uniti, per esempio, la lobby ebraica non si interessa dell’insieme dei programmi dei candidati alla presidenza, ma chiede in modo assoluto garanzie circa l’appoggio allo Stato d’Israele. Come osserva Diotallevi, il limite di questo modo di impostare i problemi è che si passa da una prospettiva di “offerta” politica, a una di “domanda”, e ci si mette in condizione di essere al traino di chiunque prometta di soddisfare questa domanda, cessando di essere soggetti autonomi di proposta e di iniziativa in vista del bene comune. È ciò che è accaduto, in questa Seconda Repubblica, ai cattolici.

Siamo grati a papa Francesco di aver ricordato che la vita che i credenti devono avere a cuore è, semplicemente, la vita, tutta la vita, non l’una o l’altra delle sue fasi. Può essere la premessa fondamentale per un rilancio dell’impegno politico dei cattolici, che sia volto a tutto l’arco dei valori di cui si sostanzia la dignità dell’uomo, in un mondo che calpesta ogni giorno senza ritegno questa dignità e in cui i credenti possono e devono tornare a far sentire, anche sulla scena della politica, la loro voce.

 

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