Il passo del Vangelo: Gv 10, 1-10
«In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori. E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.»
Il Vangelo di questa quarta domenica di Pasqua rivela con grande forza l’identità di Cristo, attraverso la similitudine del pastore e le sue pecore. Questo testo è pieno di dettagli significativi sul modo in cui Gesù incontra e salva gli uomini, in contrapposizione agli “estranei” e ai “ladri”. Confrontarci con questo testo può aprire la strada a un cambiamento radicale del modo in cui ognuno di noi si relaziona con Dio e gli altri.
Il Pastore
L’immagine del pastore non ci raggiunge con l’intensità con cui raggiungeva gli uomini del tempo di Gesù: per loro il pastore rappresentava quasi il modello dell’esistenza umana. I Patriarchi di Israele, a partire dallo stesso Abramo, erano pastori. Le pecore costituivano una fonte di sopravvivenza e di ricchezza per una famiglia, per un villaggio e per l’intero popolo. Condurre le greggi al pascolo, difenderle dai ladri o dagli altri predatori era un ruolo fondamentale, a cui dedicare la vita, in cui subentrava anche una dimensione affettiva di riconoscimento e di cura.
Entrare dalla porta
Il discorso inizia distinguendo chi entra dalla porta, luogo preposto proprio all’ingresso e all’uscita, da coloro che entrano da un’altra parte. È un richiamo all’agire di Gesù, nei riguardi dell’uomo, in modo trasparente, fedele alla realtà e alla natura delle cose. C’è chi entra nel recinto seguendo strade tortuose e non oneste, che, in qualche modo, manipolano le persone e si impongono ad esse.
Stare alla porta e bussare (Ap 3,20) significa offrire la propria presenza senza obbligarla, lasciando la libertà di aprire o di lasciare chiuso. Questo agire è un modello per noi, che spesso, anche mossi della migliori intenzioni, elaboriamo strategie tortuose per portare un messaggio, persino il messaggio evangelico, e avere un posto nella vita degli altri.
Riconoscere una voce
Un guardiano, una figura enigmatica, fa entrare il pastore. Potrebbe rappresentare quella tensione vigile che difende il cuore dell’uomo da ciò che vuole entrarvi. Le pecore ascoltano una voce. È con la Parola che Cristo entra nella vita dell’uomo. L’essere chiamati per nome, conosciuti e toccati nella parte più intima di noi stessi, è ciò che irresistibilmente attrae di Gesù. Egli cammina dinanzi alle pecore, non dietro per spingerle ma davanti, per essere seguito nella libertà, condotti dal desiderio, sospinti dalla bellezza e non da alcuna forzatura.
Il pastore e il ladro
Siamo messi profondamente in discussione da questa immagine, perché richiama la nostra capacità di distinguere la voce di chi ci ama da quella di chi vuole sfruttarci. Il Pastore ha realmente a cuore le pecore. Egli è l’unico, in un mondo in cui tutti, in diverse misure e più o meno consapevolmente, si mettono in relazione con noi per un certo tornaconto. Egli non giova di nessun beneficio da parte nostra. Questo brano ci rivela, ancora, una verità che ci è poco familiare: Gesù è diverso da un ladro, anche se alcune volte ce lo siamo immaginati come qualcuno che ci chiede privazione. Dio non viene per toglierci qualcosa ma soltanto per donare, perché possiamo avere abbondanza di vita.
Fuori del recinto
Un’altra immagine interessante è che il Pastore conduce fuori le pecore, verso i pascoli. L’uomo non è fatto per stare dentro un recinto ma per vivere e crescere nella libertà. Una libertà che non esclude la presenza di una guida, anzi è da essa tutelata. Seguire Cristo significa entrare e uscire dai recinti del cuore dentro i quali ci siamo trincerati, sempre volti verso il pascolo, che rappresenta il nutrimento e la vita.
Solo Lui
L’intera similitudine rappresenta una denuncia nei riguardi dei farisei, a cui si sta rivolgendo, che comunque non ne afferrano il senso. Essi non guidano il popolo con l’amore del pastore, ma guidati dall’interesse e dal tornaconto. Le parole che seguono, secondo cui tutti, prima di lui, sono ladri e briganti, vanno però ben oltre la denuncia verso i farisei. Ci dicono che solo attraverso Cristo si accede alla verità dell’uomo, al bene vero e alla salvezza. Entrare nella vita degli altri senza Cristo qualifica anche noi, venuti dopo di lui, come ladri e briganti. Nessuno si colloca nell’esistenza umana come Gesù, nessuno si può avvicinare all’uomo senza ferirlo, se non Lui. Nessun uomo, anche guidato dai più nobili sentimenti, è radicalmente libero da furto, assassinio e distruzione nella relazione con l’altro. Solo Lui. In questo senso Egli è la porta, unica via per rendere giustizia e verità agli altri.
Lascia un commento