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L’accoglienza dei minori stranieri nel documentario “Io sono qui” di Gabriele Gravagna

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“È la voce di tutti quei minori migranti che riescono ad arrivare soli in Italia e che vogliono ricominciare a vivere, a sperare e a credere nel proprio futuro”. Con queste parole, due mesi fa è stato introdotto e proiettato al teatro Politeama il documentario “Io sono qui” di Gabriele Gravagna, prodotto da On The Road Again Pictures in collaborazione con l’associazione Asante onlus e patrocinato da Unicef, Intersos e comune di Palermo.

“Io sono qui”può considerasi una sorta di testimonianza corale di quel viaggio che migliaia di migranti sono costretti ad intraprendere per fuggire da guerre, violenze e povertà: una produzione artistica a lieto fine, piena di speranza, gratitudine, desiderio di riscatto e proiezione verso un futuro diverso.

In particolare, l’opera è un racconto in prima persona del viaggio, del percorso di accoglienza nei centri e di integrazione in città dei giovani Dine, Magassouba e Omar. I ragazzi raccontano di aver affrontato un pericoloso e faticosissimo viaggio lungo il deserto, di aver subito violenze, di aver vissuto l’esperienza della forte prigionia in Libia, fino al tanto desiderato arrivo in Italia.

Il momento più intenso del documentario è quello che attesta la profonda amicizia, nata con il gioco del calcio, tra il giovane Omar e un ragazzo italiano. Omar nel tempo viene accolto e invitato spesso a pranzo dalla famiglia del ragazzo che lo accoglie con tutta la sua semplicità quasi ‘adottandolo’ e facendolo sentire in ‘famiglia’. Dopo la proiezione sono stati invitati a salire sul palco oltre i tre protagonisti del documentario, il sindaco Orlando e la famiglia amica di Omar con quattro figli che per la sua accoglienza ha ricevuto un lunghissimo applauso. “Sono felice tutte le volte – dice Omar – che posso stare con la famiglia del mio amico –. Quando gioco con la sorellina più piccola, mi sento voluto molto bene ed è come se mi sentissi a casa mia”.

Il documentario fa emergere anche la voce degli operatori – che operano nel centro di prima accoglienza più grande di Palermo: Asante onlus che ospita circa 145 migranti – che diventano un punto di riferimento per i ragazzi: li assistono legalmente e psicologicamente per formarli e prepararli a una professione, agevolando il più possibile la loro integrazione. “I ragazzi, che arrivano profondamente lacerati e provati, dopo alcuni giorni si affidano a noi – dice la psicologa del centro Francesca Sorce –. L’accoglienza è fatta, oltre che di tanto ascolto anche di sorrisi e di comprensione reciproca”. Dentro il centro oltre all’ospitalità vengono svolti corsi di italiano e diversi laboratori creativi: pittura, musica, teatro, radio, calcio e corsi professionali come quello appena avviato per pizzaioli.

“Non si tratta di un viaggio di piacere: io amo il mio Paese – dice Dine della Guinea africana – ma si metteva a rischio la mia vita e sono stato costretto a lasciarlo. Ricordo la traversata nel deserto che è stata peggiore del viaggio in mare. Nessuno parla dei morti nel deserto ma solo di quelli in mare”. Magassouba, invece, nell’opera oltre a raccontare la tragica morte del fratello durante il viaggio in un incidente stradale, parla anche della forza che è riuscito ad avere per riuscire oggi a pensare al suo futuro come mediatore culturale. “Quando ho deciso di partire in mare insieme ad altre 135 persone, avevo molta paura – racconta nel documentario Magassouba anche lui della Guinea Bissau – Il viaggio è stato terribile, ho vomitato tanto. Quando ci hanno soccorso e siamo arrivati al porto la gioia è stata grandissima”. “Sono ospitato nel centro da cinque mesi – dice pure il giovane C. A. di 16 anni della Costa d’Avorio che ha partecipato al documentario –. Sono contento di tutto quello che finora mi avete dato. Il film mi emoziona e mi fa soffrire soprattutto quando si parla del viaggio fino alla Libia ma, nello stesso tempo mi dà anche molta speranza. Il mio sogno è quello di rimanere nella vostra città e di diventare un calciatore”.

“L’idea è quella di programmare qualcosa di diverso – spiega Umberto Palma il presidente regionale di Unicef – perché come Unicef stiamo lavorando tantissimo anche nelle scuole con il progetto ‘scuola amica’ dove faremo vedere questo documentario. I nostri ragazzi africani sono ‘palermitani’ come tutti gli altri che sanno stare nella società e che con grande coraggio hanno superato i traumi che ben conosciamo. È importante fare capire alla gente che questi giovani, quelli che ce l’hanno fatta, nonostante abbiano attraversato il deserto e subito violenze e maltrattamenti, una volta arrivati da noi ritrovano la luce e la voglia di rivivere. Proprio per questo, hanno bisogno ogni giorno di percepire la nostra accoglienza interagendo con tutti noi, perché sono ragazzi capaci, pieni di vita che vogliono impegnarsi per crescere insieme alla città”. “Quando mi chiedono quanti immigrati abbiamo a Palermo – sottolinea pure il sindaco Orlando intervenuto dopo la proiezione – dico nessuno perché per noi sono già palermitani. Palermo è la città che accoglie tutti cercando di dare il massimo nei limiti delle sue possibilità. Ricordo che da sempre ci dissociamo con forza dal genocidio dei tanti ragazzi che continuano a morire in mare e per terra per leggi e permesso di soggiorno che non condividiamo”.

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